Darsi al Turco. I Corsari, i rinnegati e la flotta del Gran Signore
Uomini, navi, strategie e “passaggi di religione” che decisero l’esito degli scontri in mare
La presa di Costantinopoli (1453) permise agli ottomani di affacciarsi sul Mediterraneo, «un’immensa spugna che si è lentamente imbevuta di ogni conoscenza»(1) in cui transitavano merci, soldati e invenzioni.
Durante il Cinquecento si sviluppò la cantieristica navale con le imbarcazioni tipiche della marineria mediterranea: la galea, «legni con ciurme numerosissime limitata capacità di stivaggio»(2), adatta per navigare lungo le coste dai fondali bassi. Nel Seicento verrà sostituita dal galeone, imbarcazione olandese tipica della cantieristica navale atlantica: di fatto fu proprio tra il 1606 e il 1609 che il corsaro fiammingo Simon Simonsen(3), conosciuto nel mondo turco come Danzer o Tantzer, «insegna ai corsari barbareschi come costruire grandi navi a chiglia profonda adatti alla navigazione oceanica»(4). La base della flotta era situata a Gelibolu (Gallipoli), e di conseguenza il governatore della città era anche l’ammiraglio della flotta del sultano.
Le origini dell’armata navale ottomana si fanno risalire al sultanato di Orkhan (1281-1362). I marinai erano cristiani fatti schiavi e «ubbidiscono a tre Uffiziali generali, che sono il Capitano Pascià, o Grand’Ammiraglio; il Terzane-Kiajaffy, o Primo Vice Ammiraglio; il Terzane-Agasy, o Secondo Vice Ammiraglio. Oltre codesti Ufficiali generali, ogni Galera ha poi da per se i suoi; e sono il Beg o Capitano; il Guardian Baffy o Comito, cui si spetta il comando preciso sopra le Ciurme, ed il Reis, o Timoniere»(5).
All’interno della marina ottomana vi erano navigatori di un certo spessore del calibro del famoso Piri Reis, cartografo del periodo di Süleyman, autore del portolano dal titolo Kitab-ı Bahriye, che ricopriva la carica di Misir kaptani(6). E navigatori di religione non musulmana, noti come rinnegati, che preferirono “darsi al Turco” solcando il Mediterraneo e razziando le navi del nemico per eccellenza, ovvero la Spagna di Carlo V (1500-1558) e di Filippo II (1527-1598). Questi ultimi erano noti come corsari barbareschi che, dapprima pirati indipendenti, passarono al servizio del sultano come corsari.
Grazie alla mobilità sociale, che caratterizzò l’impero ottomano, riuscirono a ricoprire il ruolo di beylerbey (governatore capo) e di kapudan pascià. Si possono, in merito, citare casi esemplari: Khayr al-Dīn o Hayreddin (1466-1546) detto il Barbarossa, grande stratega di origini greche, divenne beylerbey di Algeria per volontà di Selim I. Tra le sue imprese più famose ricordiamo le incursioni di Reggio Calabria (1512-1526) e Sicilia e la battaglia di Prevesa (1538), in cui prevalse sull’ammiraglio genovese Andrea Doria(7). A seguito del successo ottenuto dal corsaro, Solimano il Magnifico convocò a Kostantiniyye il Barbarossa per nominarlo kapudan pascià.
Un altro caso esemplare è rappresentato da Uluç Alì o Ucciallì (1519-1587) «il suo nome significa Alì rinnegato, è di nazione italiana, di provincia calabrese, e di sangue bassissimo. Fu preso sopra quelle rive da Dragut, e tenuto sulla sua galera assai tempo al remo. Costui essendo venuto a parole con un altro schiavo cristiano, e avendo da esso ricevuto uno schiaffo, si risolse per disperazione a farsi turco; e facendo intendere questo animo suo al suo padrone, procurò di essere accettato.
Ma per essere egli infermo, e quasi inutile, furono lasciati passare alcuni giorni senza ritagliarlo. Pur finalmente dopo lunghe preghiere, e molti protesti, lo ammesse nella sua setta, non liberandolo però dal remo»(8). Nel 1568 venne nominato beylerbey di Algeri da Selim II (1524-1574), figlio del sultano Solimano il Magnifico. Mettendosi al servizio del sultano, Ucciallì si rese protagonista in occasione di varie spedizioni: la conquista di Tripoli (1551), l’assedio di Malta (1565) e il conflitto con la Lega Santa a Lepanto nel 1571, battaglia madre tra Cristianesimo cattolico e Islam, in cui il rinnegato calabrese comandò il corno destro in contrapposizione a Gianandrea Doria (1539-1606).
Sul conflitto tra le due religioni monoteiste, possiamo citare gli studi dello storico inglese Andrew Wheatcroft. Con il suo saggio “Infedeli 638-2003: il lungo conflitto fra cristianesimo e islam”, analizza i personaggi centrali che presero parte alla battaglia navale e le cerimonie prima del conflitto(9). Dopo aver dato una descrizione dei rispettivi cerimoniali e delle personalità, che guidavano le due flotte, Wheatcroft pone la sua attenzione sulla natura religiosa del conflitto, basato sul racconto biblico, poiché i musulmani erano visti come i discendenti di Caino. Di fatto essi venivano chiamati islam «figli di Caino» o «Anticristo»(10); durante il XVI secolo, infatti, i protestanti offendevano i cattolici in Baviera chiamandoli «gesuiti mamelucchi»(11).
Wheatcroft evidenzia un altro aspetto fondamentale: cioè che bisogna «distinguere l’Islam e il Cristianesimo in quanto fedi religiose, dall’«islam» e dal «cristianesimo» in quanto immagini costruite dai rispettivi nemici, «da studiosi che non alzarono mai gli occhi dalle pagine dei loro testi»(12).
La battaglia di Lepanto, come viene descritto da Alessandro Barbero, fu il frutto di una meticolosa pianificazione(13). La Repubblica di Venezia curò la rete di spionaggio nell’Egeo e, nonostante i rapporti commerciali con l’impero ottomano, fornì alla Lega Santa, di cui faceva parte anche la Spagna di Filippo II, sei galeazze – galee più grandi e «armate pesantemente»(14) – contro la flotta del sultano. Un altro aspetto, che fa emergere lo storico è la questione dell’antisemitismo presente nell’Europa cristiana, poiché al servizio del sultano vi erano banchieri e consiglieri ebrei come il banchiere Juan Migues(15), che sarà determinante per il sistema economico ottomano.
Lepanto, sul piano religioso, fu il trionfo del cristianesimo(16), ma da un punto di vista militare vide il già citato Uluç Alì come unico eroe dello schieramento musulmano, poiché riuscì a riportare in salvo trenta navi. Una volta ritornato a Costantinopoli, fu nominato kapudan pascià, quando i Turchi decisero di ricostruire la flotta per conquistare nuovamente Tunisi (1574); la quale era sotto il dominio spagnolo dalla conquista di Tunisi sotto Carlo V (1500-1558) nel 1535.
Il successo della Lega Santa a Lepanto non bloccò però l’espansionismo ottomano, tanto che tra il 1571 e il 1573 venne conquistata l’isola di Cipro, colonia della Repubblica di Venezia, fondamentale per quelle galee che dovevano fare rifornimento nel Mediterraneo orientale e fare vela nuovamente verso territori come l’Egitto, la Mecca e Medina e la Palestina.
Infine, un breve cenno alle imbarcazioni della marina ottomana e ai suoi reparti.
La flotta del sultano era composta da «Navigli da remi e vele sono Galeazze, Bergantini, Galee, Zacale, Galere Beylerey, Maone, e Orte Bastarde. I Navigli da sole vele sono i Galeoni, detti anche Sultane, e Caravelle»(17). Il reparto preposto alla flotta era quello degli Azap, «ripartiti in trecento e cinquanta Compagnie, numerose di sei in fette uomini, vogliono essere in tutti 1346»(18) e svolgevano varie mansioni: per esempio «fanno i legnajuoli, ed i calafati(19), e non bastando a tale uffizio suppliscono gli Azamoglani»(20).
Note
1 Braudel, Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Bompiani, Milano, 2017, p. 24.
2 M. P. Pedani, Breve storia dell’Impero Ottomano, Aracne, Roma, 2000, p. 94.
3 L. Scaraffia, Rinnegati Per una storia dell’identità occidentale, Editori Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 10.
4 G. Fiume, Schiavitù mediterranee. Corsari, rinnegati e santi d’età moderna, Bruno Mondadori, Milano, 2009, p. 14.
5 Anonimo, Dello Stato Militare Navale e Terrestre della Russia e dell’Impero Ottomano, Venezia, 1770, p. XVIII.
6 M. P. Pedani, Breve storia dell’Impero Ottomano, cit., p.64.
7 G.Fiume, Schiavitù mediterranee. Corsari, rinnegati e santi d’età moderna, cit., pp.10-11.
8 Garzoni, Relazione dell’impero Ottomano Del Senatore Costantino Garzoni Stato All’Ambasceria Di Costantinopoli Nel 1573, Firenze, Tipografia E Calcografia All’insegna Di Clio In VI° Dello Studio n.° 767, 1840, p. 15. Questa relazione del senatore Costantino Garzoni è una copia dell’originale relazione, contenuto nell’Archivio Mediceo, stampata a Firenze dal poligrafo Eugenio Alberi (1807-1878) nel 1840, grazie alla Marchesa Marianna Ginori.
9 I cristiani si riunirono a Napoli, in cui arrivò l’ammiraglio designato a guidare la Lega Santa, Don Giovanni d’Austria, fratellastro del re di Spagna Filippo II, a cui vennero consegnati dal cardinale Granvelle, rappresentante di papa Pio V (1504-1572), il bastone del comando e lo stendardo azzurro, simbolo della cristianità. Una cerimonia privata, speculare a quella che si tenne a Napoli, venne celebrata dai musulmani con uno stendardo verde inviato dal sultano Selim II al kapudan pascià Alì Pascià. Un altro aspetto interessante dell’analisi condotta da Wheatcroft è la descrizione delle personalità dei due condottieri, riscontrando analogie e differenze tra Alì Pascià e Don Giovanni: il kapudan pascià era figlio di un muezzin, colui che dal minareto chiama alla preghiera i fedeli; l’ammiraglio della Lega Santa invece era figlio bastardo di una relazione di pochi mesi intrattenuta dall’imperatore Carlo V con una giovane vedova di nome Barbara Blomberg nella città imperiale di Regensburg. (Cfr. A. Wheatcroft, Infedeli 638-2003: il lungo conflitto fra cristianesimo e islam, Editori Laterza, Roma-Bari, 2004, pp. 8-9).
10 Wheatcroft mette in luce l’origine del conflitto tra Occidente ed Oriente, prendendo in analisi Beda e il racconto biblico; di fatto esso si fondava sull’inimicizia tra i discendenti di Ismaele, figlio di Abramo e della schiava Agar che, secondo il Venerabile Beda, fu seppellita sotto la Ka’ba insieme allo stesso Ismaele, a vantaggio della progenie legale del patriarca, il figlio Isacco, da cui discendevano i cristiani. Su questo argomento si veda in A. Wheatcroft, Infedeli 638-2003: il lungo conflitto fra cristianesimo e islam, Editori Laterza, Roma-Bari, 2004, cit., pp. 7-8.
11 A. Wheatcroft, Infedeli 638-2003: il lungo conflitto fra cristianesimo e islam, cit., p. 46.
12 Ivi, pp. 46-47.
13 Uno dei punti focali della trattazione di Barbero è la fase di progettazione. Essa è vista dall’autore come il punto di arrivo di un percorso, mettendo in luce la difficoltà con cui vennero reperiti i materiali, dal legname alla pece; dall’arruolamento dei rematori delle galere al reclutamento dei soldati e alla fabbricazione del bi- scotto per sfamare gli uomini. Venezia, per esempio, per avere il biscotto necessario a sfamare i propri rematori, dovette rivolgersi al Granducato di Toscana per produrre questo mezzo di sostentamento a Pisa. Lepanto non fu soltanto uno sforzo economico delle potenze coinvolte, ma anche uno sforzo amministrativo per la burocrazia, grazie alla cui produzione ci sono rimaste fonti consultabili per lo studio su questa battaglia navale.
14 P. Bianchi, P. Del Negro, Guerre ed eserciti nell’età moderna, il Mulino, Bologna, 2018, p.
15 Don Juan Migues era un banchiere di religione ebraica, che risiedeva a Venezia. Egli era il nipote di due notabili Dona Gracia e Dona Brianda Nasi, entrambe mogli di banchieri e anch’esse di religione ebraica. Dona Brianda aveva una figlia di nome Beatriz, che sposerà il cugino, che aveva preso il cognome di Nasi e si faceva conoscere con il nome di Don Joseph Nasi. Il matrimonio tra i due i due cugini attirò le ira del consiglio dei dieci, poiché la Serenissima aveva perso una delle famiglie ebree più ricche. Arrivati a Costantino- poli e poco dopo raggiunti Dona Garcia, il Migues o Nasi impiantò i propri affari nella capitale ottomana con grande gioia del governo del sultano. Questo portò alla creazione di tesi sulla figura del Migues, che in Occidente venne visto come il burattinaio di congiure e intrighi. Per approfondire la figura di Juan Migues, (Cfr. A. Barbero, Lepanto La Battaglia dei Tre Imperi, Editori Laterza, Roma-Bari, 2012, pp.35-39).
16 A seguito del trionfo della Lega Santa sulla flotta ottomana, venne istituita da Papa Pio V la festività della “Madonna della Vittoria”. Con il papato di Gregorio XIII, la festività, che si celebra ogni 7 ottobre, cambiò nome in “Madonna del Rosario”; perché recitando il Rosario i cristiani avevano invocato la protezione della Vergine prima della battaglia. (Cfr. Niccolò Capponi, Lepanto 1571. La Lega santa contro l’Impero ottomano, Il Saggiatore, Milano, 2012, p. 246).
17 Anonimo, Dello Stato Militare Navale e Terrestre Della Russia e Dell’Impero Ottomano, cit., p. XVI.
18 Ibidem, cit., p. XVII.
19 Il calafati sono operai della cantieristica navale, specializzato nell’operazione di calafataggio. Questa operazione è molto complessa e consta dei seguenti passaggi: si introduce nelle fessure della stoppa incatramata per mezzo di uno scalpello a punta ottusa su cui si batte col maglio, quindi sui comenti così ristoppati si fa scorrere del catrame bollente che aggiunge forza alla stoppa introdotta e chiude tutti i piccoli vuoti rimasti. (Cfr. Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Enciclopedia della Lingua Italiana Treccani, Vol. VIII, Roma, 1949, p.308).
20 Ibidem, cit., p. XVII.