CORSI E RICORSI DELLA FORMA IMPERO – PRIMA PARTE
1. Ritorno degli imperi?
Lo studio del sistema imperiale spagnolo in Europa e fuori d’Europa tra XVI e XVII secolo, ossia della massima potenza mondiale in quel tempo, è stato centrale nella mia esperienza di ricerca e riflessione: come struttura storica interessante per se stessa; come forma politica ricorrente per alcuni suoi caratteri; come occasione e possibilità di confronto fra passato, presente, attualità della geopolitica mondiale.
Cinque gli elementi del modello: l’unità politica, religiosa e ideologica rappresentata dalla figura del sovrano; la regione-guida (la Castiglia); la presenza di sottosistemi, ossia sistemi di potenza regionale capaci di difendere l’intero impero da minacce esterne; il rapporto fra le linee unitarie di governo del sistema e la loro traduzione nei diversi territori; l’egemonia nelle relazioni internazionali. “Mutatis mutandis”, sono caratteri riconoscibili in numerose formazioni imperiali della storia 1 .
La riflessione che propongo è stimolata anche dalla recente pubblicazione del volume di Maurizio Molinari 2 .<<Il ritorno degli imperi – egli scrive – trae origine dal tramonto della globalizzazione>> 3 . A differenza della tesi sostenuta da Molinari, va osservato che gli imperi sono ricorrenti nella storia e non c’è rapporto direttamente proporzionale tra imperi e rafforzamento delle autocrazie come oggi. D’accordo invece con l’autore quando identifica le quattro forme imperiali del mondo contemporaneo: la Russia, la Cina, gli Stati Uniti, l’Europa. La Russia, in primo luogo, che si presenta come potenza militare, dotata di un solido collante religioso, di alleanze commerciali, di Stati satelliti quasi come all’epoca del “socialismo reale”, forte di un ambiguo patto con la Cina 4 . La legittimazione dell’invasione prima della Crimea poi dell’Ucraina ha a che fare proprio con l’affermazione dell’idea imperiale di Putin e della “Grande Russia”.
1 Cfr, A,Musi, L’impero dei viceré, Bologna, Il Mulino, 2013; Idem, Filippo IV, Roma, Salerno ed., 2021.
2 M.Molinari, Il ritorno degli imperi, Milano, Rizzoli, 2022.
3 Ivi, p. 3.
4 Ivi, pp. 16-17.
La Cina è l’altra forma-impero: con la sua leadership globale, tecnologica, col controllo dei mercati, influente in Estremo Oriente, in straordinaria espansione con la nuova “via della seta”, ponte logistico nel Mediterraneo, alla conquista del mercato globale 5 . Quella della Cina è una strategia imperiale perché << tende a imporsi – scrive Molinari – in aree geografiche estese e molto distanti tra loro facendo leva principalmente e in maniera aggressiva sui rapporti commerciali >> 6 , ma anche sulla
creazione di infrastrutture come in Africa. Gli Stati Uniti, in terzo luogo, si configurano per Molinari con la fisionomia di un impero come pluralità di democrazie 7 . E l’Europa? Per ora appare solo come un impero potenziale ma sulla difensiva, perché il rapporto fra Cina, Russia, Stati Uniti ed Europa è asimmetrico.
Molinari ci presenta dunque una pluralità di imperi, evocazione degli imperi del passato anche se con caratteristiche senza precedenti. Il suo libro, pubblicato oltre un anno fa, non poteva tener conto di un quinto protagonista della geopolitica internazionale. Mi riferisco all’India e alla sua leadership su una vasta area del mondo, rappresentata da quelli che un tempo si definivano “paesi non allineati”: forse
quella indiana può definirsi un’altra forma di sviluppo imperiale. E’ possibile altresì identificare altre forme che possono essere definite “imperialità potenziali”, per riprendere una proposta concettuale di Münkler, sulla quale mi soffermerò più oltre.
Si tratta della Turchia di Erdogan, col suo miraggio di ricostituire l’impero ottomano, e della “Mezzaluna sciita” iraniana, che mira alla continuità geografica e a realizzarsi come potenza-impero regionale.
La mia ipotesi è che la prospettiva di un’equilibrata governance mondiale passi per un multipolarismo imperiale. Ma questo significa che, per non soccombere, l’Europa deve risolvere l’asimmetria del rapporto con gli altri poli imperiali.
In un saggio di una ventina d’anni fa, dal titolo Digressioni su Impero e tre Roma, Massimo Cacciari scriveva: <<Deve tramontare l’Europa degli Stati separati, quella
5 Ivi, pp. 17-18.
6 Ibidem.
7 Ivi p. 19.
che ha saputo metaforizzare Roma unicamente in senso assolutistico o autocratico o imperialistico: solo così sarà possibile pensare ad una Europa soggetto di una nuova e diversa globalizzazione>> 8 . Cito i passi più importanti di questo saggio. <<L’impero dovrebbe configurarsi come una sorta di governance mondiale, proprio perché esso rifiuta ogni rappresentanza politica tradizionale e, dunque, ogni determinazione dei luoghi autonomi del Politico e il suo dominio è quello informale della capillare
subordinazione delle parti al tutto, della perfetta in-formazione delle parti da parte del linguaggio unico del tutto>> 9 . Quindi, prima articolazione del ragionamento: l’impero come governance mondiale. Seconda articolazione: <<In che termini possiamo oggi parlare di forma-impero? E chiaro quale presente stia inesorabilmente tramontando, quello degli organismi statuali tradizionali separati, dei nazionalismi imperialistici, del diritto internazionale come prodotto delle sovranità statuali territorialmente determinate. Ma in nessun modo questo processo ha l’impero come suo destino >> 10 .
Il modello di Cacciari è quello di Roma e del suo pluralismo politeistico. Dice ancora l’autore: bisogna reagire in termini adeguati all’unica vera forma di globalizzazione che c’è oggi, il terrorismo, che agisce localmente ma pensa globalmente. Egli propone un nuovo ordine federativo: <<una globalizzazione costruita per grandi spazi e autentiche polarità culturali. Io credo – scrive Cacciari – che il nuovo ordine della terra o saprà essere autenticamente federativo o diventerà inevitabile quell’apocalittico scenario che alcuni dei più grandi realisti politici del Novecento avevano disegnato decenni fa: una sola grande potenza, un solo impero e immerso in miriadi di conflitti locali, naturale humus di disperato e globale terrorismo >> 11 .
Era questo il periodo immediatamente successivo all’attentato dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle, evento rappresentativo della globalizzazione del terrorismo.
Alla tesi di Cacciari possono essere mosse varie obiezioni e diversi rilievi critici sia in relazione al tempo storico in cui venne espresse la posizione del filosofo, sia in relazione alla congiuntura che stiamo vivendo. Al primo livello alcune domande che
8 M.Cacciari, Digressioni su Impero e tre Rome, in “Micromega. Almanacco di filosofia”, 5, 2001, p. 57.
9 Ivi, p. 44.
10 Ivi, p. 55.
11 Ivi, p. 60.
restavano senza risposta: quali esattamente la natura e l’identità di quel patto federativo vagheggiato da Cacciari? Quali i soggetti del foedus? Sono da considerare proprio ineluttabili la fine dello Stato-nazione e il tramonto della rappresentanza? E poi c’è il secondo livello che, certo, Cacciari non avrebbe potuto prevedere vent’anni fa: il successo del sovranismo sulla scala europea e non solo; il ripiegamento entro i
confini statual-nazionali di molti paesi occidentali.
Le domande prima indicate come miei rilievi a Cacciari circolarono direttamente o indirettamente in altri contributi contenuti nel numero citato della rivista Micromega.
Le risposte che si profilarono indicarono due alternative. La prima fu esplicitata dall’intervento di Antonio Negri e dal suo libro Impero, tradotto in Italia da Rizzoli.
La seconda fu presente nei contributi e nelle posizioni di Salvatore Veca e Roberto Esposito 12 . La prima alternativa tendeva a considerare lo Stato-nazione come stato barbarico. Per Negri tale si era rivelato lo Stato-nazione da Verdun ad Auschwitz 13 . Il processo di globalizzazione aveva comportato la fine della rappresentanza. <<Il ritiro dalla politica della rappresentanza è ormai completamente compiuto. E d’altra parte che significato ha più una rappresentanza a livello globale? Che vuole più dire un uomo un voto? Provate ad applicarlo a livello della globalizzazione, non significa più niente >> 14 . Contro tutte le istituzioni rappresentative <<una nuova sinistra sarebbe potuta nascere solo dal movimento di Seattle, da un movimento che considera l’azione politica come una costruzione di vita oltre la rappresentanza 15 >>.
La seconda alternativa fu espressa da Veca ed Esposito: ripensare le istituzioni e la politica come mediazione. Scrisse Esposito: <<Il mezzo, la risorsa, il linguaggio per uscire dal vicolo cieco sta nella politica. In ogni tipo di politica. Quella, certo residua, ma non scomparsa, degli Stati – è evidente che un successo durevole nella costituzione di uno Stato palestinese vale più della cattura di dieci Bin Laden -; quella degli organismi internazionali: ma più in generale quella costituita da ogni azione
12 R.Esposito, T.Negri, S.Veca, Dialogo su Impero e Democrazia, in “Micromega”, 5, 2001, pp. 115-134.
13 Ivi, p. 117.
14 Ivi, p. 125.
15 Ivi, p. 129.
collettiva capace di creare spazio, forme, mediazioni in un mondo sempre più affidato alla nuda mediazione dei contrasti >> 16 . E Veca: <<La questione è se si debba rinunciare del tutto a ragionare sulle istituzioni – e dunque saltare sulla carretta o fare i libertini, a seconda dei gusti – oppure no. Io non credo: benché le istituzioni siano sciupate, sono convinto che continui ad avere senso il tentativo di ripensarle, di saggiarne la possibilità di riforma, e dare ragioni per rimodellarle >> 17 ”.
Tradurre dunque in maniera concreta la possibilità di una costruzione “imperiale” e non imperialistica della dimensione globale: forse è questa la prospettiva?