CORSI E RICORSI DELLA FORMA IMPERO – TERZA PARTE
Definizioni
In un saggio apparso oltre mezzo secolo fa M. Cartier34 ha individuato alcuni fattori strutturali, garanzia di continuità degli imperi. Ma troppe eccezioni impediscono di definire strutturali alcuni di essi. Vediamoli distintamente.
– Un’organizzazione egemonica, che si costituisce oltre le strutture etniche o politiche naturali, tendente a dominazione universale.
La definizione di Molinari si avvicina in qualche modo ad essa: l’impero come <<la volontà o la capacità di un’entità di governo di estendere il proprio controllo – con metodi e forme differenti – in un’area geopolitica assai più vasta dei propri confini >>35. La definizione di Cartier come quella di Molinari assumono due elementi condivisibili, egemonia e tendenza al dominio universale, ma non convincono nella parte che presuppone la “naturalità” etnica e politica, componente storica, non naturale. Si pensi, per tornare all’oggi, alla Russia di Putin che rivendica la continuità “etnica e naturale” con l’Ucraina: la “Grande Madre Russia” è la legittimazione dell’aspirazione e della pratica imperiale.
– Le trasformazioni della maturità: da imperi a “monarchie burocratiche”.
Troppe sono le eccezioni di questa definizione di Cartier: l’impero romano che, nel suo processo di trasformazione, si appoggia, per sostenersi, alla borghesia provinciale terriera; l’impero turco, sul timar, che, a differenza del feudo occidentale, è una concessione non ereditaria, revocabile; il caso cinese, caratterizzato dall’opposizione alla formazione di una classe di funzionari ereditari (come per l’impero ottomano).
– Il livellamento culturale.
34 M. Cartier, Imperi, in Enciclopedia Einaudi, vol. VII, Torino, Einaudi, 1979, pp. 145-155.
35 35 M.Molinari, op.cit., p. 15.
Anche in questo caso non mancano le eccezioni al livellamento. Cina e impero romano dimostrano che l’omogeneità culturale non è necessaria per la continuità degli imperi.
– La gerarchizzazione dei gruppi.
L’eccezione più importante è costituita dall’impero mongolo (XIII-XIV secolo) in cui cooperano numerosi gruppi etnici.
– Le capitali:
Conservano effettivamente un ruolo di lunga durata e comune a gran parte degli imperi. Le loro caratteristiche sono: la centralità del ruolo politico, la funzione di residenze del sovrano, la dimensione demografica (Roma passa da un milione a trentamila abitanti dopo la caduta dell’Impero), la loro stabilità come Costantinopoli (dall’impero di Oriente a quello bizantino a quello turco) e Pechino.
– La dimensione universale
L’imperatore è sovrano universale in Cina, “figlio del cielo” che riconosce e legittima gli altri sovrani. Il Califfo è erede di Maometto nell’Islam.
Le definizioni generali di “impero” sono più accettabili di quelle che contemplano più aspetti particolari non riscontrabili nella esemplificazione storica. Quattro i caratteri più generalmente riconoscibili nella comparazione spazio-temporale: comando universale di realtà politiche subordinate, carisma del capo, continuità, tendenza all’universalità.
Classificazioni:
Stephan Breuer ha scritto: <<Gli imperi sono sistemi politici con aspirazioni ecumeniche, che nell’evoluzione storica si collocano fra le società tribali e arcaiche e la moderna economia-mondo capitalistica dall’altro >>36. Egli ha proposto la seguente classificazione degli imperi: sultaniale ossia accentrato, autocratico,
36 S.Breuer, Imperi, in Enciclopedia delle Scienze Sociali, Roma, Treccani, 1994, on line.
dispotico; patrimoniale, nei casi in cui il centro stabilisce compromessi con le élite locali; imperi primari, quando sorgono da un processo endogeno, dal centro di un sistema pluristatale urbano, come in Cina, in Mesopotamia, in Assiria; imperi secondari, quando si costituiscono dalla periferia interna o esterna dei primari; imperi delle popolazioni nomadi, come quello persiano, arabo, mongolo, turco; imperi delle città-stato rappresentati dai tentativi delle zone di confine dell’Asia Minore; le Simmachie, leghe di varie città con relativa autonomia (lega etrusca, Peloponneso); impero di Cartagine e di Atene, caratterizzati dalla centralizzazione di tendenza, dall’assenza di un’amministrazione imperiale e di un’ideologia ecumenica, universalistica; impero romano come prodotto della città-Stato mediterranea. Nel caso degli imperi secondari di secondo ordine in Occidente la Chiesa di Stato carolingia e ottoniana favorisce la formazione di nuovi centri statali nelle zone di confine germanizzate dell’antico impero, indirizza verso l’Italia, ma il tentativo dei Franchi di ricostituire l’impero romano non va oltre Carlomagno. Più stabile è il “Sacro Romano Impero della nazione germanica” che raggiunge la sua massima estensione sotto Federico II. Poi la crisi per l’elettività della carica imperiale, la difficile coesistenza con l’ereditarietà della carica, la lotta col Papato che ridimensiona il controllo dell’Impero sulle chiese autonome e determina la conseguente perdita di potere e di autorità.
Breuer applica ai moderni imperi coloniali la tesi delle pseudomorfosi storiche di Osvald Spengler: sarebbero, cioè, formazioni ibride nate dall’incontro tra vecchie e nuove culture. Alla loro origine sarebbe un’economia-mondo che poggia su imprese private, genovesi, compagnie di commercio britanniche. Gli imperi coloniali sono frenati, nella loro crescita, dallo sviluppo del multipolarismo. Alla genesi degli imperi coloniali non sarebbero, per Breuer, l’esigenza di controllare una rete più ampia già esistente, ma il bisogno dei coloni di avere più terra, la spinta di missionari e commercianti ad ampliare il proprio raggio d’azione, il crollo dei governi locali, la politica dell’equilibrio perseguita dalle diplomazie europee. Alla fine del processo si registrano vincitori e vinti. Ma i territori sarebbero, per Breuer, privi di valore dal punto di vista dell’economia – mondo. Non sorprende pertanto – scrive – che dopo il 1945 il processo di decolonizzazione sia avvenuto in modo relativamente agevole se paragonato alla dissoluzione degli imperi veri e propri. La maggior parte degli Stati coloniali probabilmente dovette rendersi conto alla fine che gli imperi non erano un affare.
Imperi e formazioni statali
Nel rapporto fra imperi e formazioni statali, i primi non riconoscono vicini dotati di eguali diritti, i loro confini sono distinti da quelli statali, si sovrappongono all’ordine degli Stati ma non lo sostituiscono. Alcuni storici distinguono “imperialità” come relazione centro-periferia oltre gli Stati da egemonia ossia supremazia fra attori dotati di uguali diritti, quindi relazione fra centri con uno più forte suscettibile di esprimere “imperialità potenziale”.
Münkler, nel suo saggio Imperi, analizza il passaggio dall’espansione al consolidamento imperiale37. Gli imperi zarista, ottomano, spagnolo non riescono a sviluppare la forza economica nella stessa misura di quella militare. La periferia può salvare gli imperi in condizioni di crisi, ma può alimentare anche un crescendo al centro. Gli imperi occidentali investono nella periferia per creare una civiltà; a Oriente prevale lo sfruttamento delle risorse. E’ importante in Münkler il concetto di soglia augustea applicato all’analisi dei fattori positivi e limiti dell’impero mondiale spagnolo: un insieme di apparato militare moderno, assenza di una dinamica economica indipendente, deficit finanziario permanente, ristretta base demografica. I vantaggi dell’annessione del Portogallo nel 1580 sono vanificati dalla lunga guerra con i Paesi Bassi. L’autore critica il modello ascesa – culmine – declino e propende per il modello ciclico. La soglia augustea allude alla stabilità dell’impero romano attraverso le riforme: meno potere militare, più economico, politico e ideologico,
37 H. Munkler, Imperi. Il dominio del mondo dall’antica Roma agli Stati Uniti, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 35 ss.
evoluzione ed estensione della cittadinanza e scomparsa delle differenze tra centro e periferia. La Spagna si arresta sulla soglia augustea, non è in grado di oltrepassarla. Altro esempio: gli Ottomani per i quali all’efficienza bellica corrisponde il deficit di potere economico. La Cina è senza rivali esterni per l’egemonia, ma deve far fronte a minacce dall’interno.
L’impero come forma più antica di organizzazione politica e più resistente nel tempo precede la nascita e lo sviluppo della forma – Stato, non tramonta durante l’affermazione degli Stati-nazione nell’Ottocento e sopravvive alla loro crisi.
Considerazioni penultime
Il coordinamento necessario singolare-plurale di impero e imperi vuole indicare sia l’impossibilità di subordinare l’uno agli altri e viceversa, sia la possibilità di pervenire ad una piena comprensione storica della problematica solo attraverso l’integrazione tra la singolarità e la pluralità. Così impero declinato al singolare, generalmente con aggettivo, è l’oggetto storico della differenza; il plurale imperi è l’oggetto del confronto e dell’analogia: ma il primo non può sussistere, nella considerazione storiografica, senza i secondi.
Qui la visione analogica della storia è lontana certo dalla sua posizione classica che le attribuiva fondamento e legittimità attraverso il ricorso alla ciclicità, all’omologia tra natura, biologia e storia, alla concezione della “historia magistra vitae”. Si vuole piuttosto esprimere altro. La “conditio sine qua non” dell’uso dell’analogia in storia è la realizzazione del delicatissimo equilibrio tra comparazione e contestualizzazione. La possibilità di analizzare gli imperi in prospettiva analogica significa allora: identificare ricorrenze e somiglianze nella struttura e nei funzionamenti di grandi sistemi imperiali su base giuridica e/o su base politica.