Da Conte a Draghi: la crisi di governo mediatica
Grazie alla copertura quasi totale da parte di giornali e reti televisive, l’attuale crisi di governo è entrata prepotentemente nelle case degli italiani
La meccanica della crisi di governo
In termini non giuridici, con “crisi di governo” si intende una contingenza nella quale un governo (o il premier) presenti le proprie dimissioni a causa della rottura del rapporto di fiducia con il parlamento. In pratica, vengono considerate come potenziali crisi tutte quelle situazioni in cui il governo in carica perda il sostegno della maggioranza in parlamento. Compreso quello in cui quest’ultima non riesca a costituirsi all’inizio legislatura.
Crisi di governo parlamentare
Si parla di crisi parlamentare quando, sia alla Camera che al Senato, dovesse verificarsi una votazione contraria inerente un provvedimento sul quale il governo abbia posto la questione di fiducia. Oppure, nel caso in cui passi ai voti, in uno dei due rami del parlamento, una mozione di sfiducia contro l’esecutivo o il primo ministro.
Crisi di governo extraparlamentare
La crisi extraparlamentare – come quella che ha portato alle dimissioni del Governo Conte bis – si manifesta invece attraverso una frattura politica all’interno della maggioranza, rendendo così impossibile approvare i provvedimenti necessari all’azione dell’esecutivo. Questa eventualità può portare alle dimissioni di un governo, o di un primo ministro, anche in assenza di una effettiva votazione formale.
Crisi di governo: le prerogative del presidente
Nel momento in cui si apra una crisi di governo, spesso certificata dalla salita al Colle di un presidente del Consiglio, non necessariamente ancora dimissionario, il presidente della Repubblica prende la situazione nelle proprie mani avviando la procedura di risoluzione, che solitamente prevede l’avvio delle consuetudini con le forze politiche.
Una volta completare le consultazioni, le prerogative del presidente della Repubblica prevedono:
- La possibilità di rinviare il premier alle camere per una ulteriore verifica del rapporto di fiducia.
- La nomina di uno governo bis, con lo stesso presidente del Consiglio, ma con una diversa compagine ministeriale.
- La nomina di un nuovo primo ministro all’interno della stessa maggioranza o di una diversa possibile maggioranza di governo.
- Un incarico esplorativo affidato a un esponente istituzionale sulla possibilità di creare un nuovo governo in seno alla maggioranza uscente.
- Lo scioglimento delle camere avviando l’iter per elezioni anticipate.
- La nomina di un presidente del Consiglio tecnico, quindi non espresso dalle forze politiche, con la possibilità di formare un governo tecnico, o tecnico con innesti politici.
Cronistoria della crisi di governo
Quella de Governo Conte bis è stata una crisi seguita dai media minuto per minuto. Questo ha permesso ai cittadini di partecipare dei momenti più importi quanto di quelli più confusi, rendendoli partecipi di quanto accade dentro e fuori dai palazzi della politica.
Il ritiro delle ministre
Il primo atto della crisi è arrivato con le dimissioni delle ministre di Italia Viva, Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, nonché del sottosegretario Ivan Scalfarotto. Una spaccatura motivata con un progressivo allontanamento, su molteplici fronti, della visione politica del partito di Matteo Renzi rispetto alla linea mantenuta dal governo.
Ricerca dei responsabili per la fiducia in parlamento
Scegliendo di non rassegnare le dimissioni, bensì di proseguire con il sostegno delle altre forze di maggioranza, il Governo Conte bis ha fatto appello appello alle forze di centro affinché subentrassero in suo sostegno. Tale decisione è stata motivata dalle necessità di non lasciare il Paese senza guida in un momento cruciale come l’inizio della campagna vaccinale contro il Covid-19 e di non interrompere l’azione di governo nel pieno di una crisi economica e sanitaria.
Votazione risicata
Grazie alla promessa astensione da parte di Italia Viva dalla votazione al Senato sulla fiducia al Governo Conte bis, il limitato numero di parlamentari giunto in soccorso dell’esecutivo ne ha permesso la sopravvivenza, ma questa si è rivelata per il premier una vittoria di Pirro.
La relazione di Bonafede
La prevista relazione annuale sullo stato della giustizia da parte ministro Bonafede è diventata il punto di caduta per Giuseppe Conte, la cui maggioranza ha traballato proprio sulla controversa figura del guardasigilli e l’annunciato voto contrario proprio da parte di Italia viva, ha reso manifesta l’intrinseca debolezza del Conte bis.
Dimissioni e consultazioni
Anticipando la prevista votazione contraria, Giuseppe Conte è salito quindi al Colle, consegnando le proprie dimissioni nelle mani del capo dello Stato, che come da prassi ha avviato le consultazioni con le forze politiche, nettamente divise e arroccate ciascuna sulle proprie posizioni.
Incarico esplorativo al presidente della Camera
È ricaduta su Roberto Fico la responsabilità di un incarico esplorativo, ossia un giro di consultazioni interno all’ex maggioranza di governo per tentare di ricucire lo strappo tra le forze in campo. Tentativi culminati, nonostante gli sforzi del presidente della Camera, con un nulla di fatto.
La reazione del Quirinale
Con una conferenza stampa dai toni severi, rivolti soprattutto alle forze politiche, il presidente della Repubblica ha spiegato perché, nonostante fosse una soluzione prevista, il voto anticipato risultasse impraticabile a causa dei rischi economici, sanitari e sociali legati alla pandemia da Covid-19.
In seguito a questa dura critica rispetto alle richieste sollevate (troppo spesso urlate) dai partiti, Sergio Mattarella ha convocato per l’indomani l’economista Mario Draghi affidandogli, in qualità di tecnico, la responsabilità di formare un nuovo governo. Incarico accettato con riserva dal futuro premier.
Nel nome di Draghi
È iniziata a questo punto una nuova fase della crisi di governo. Il nome di Mario Draghi aleggiava già da mesi su Palazzo Chigi, invocato sia dalle forze di maggioranza che da quelle di opposizione come possibile futuro presidente della Repubblica e più spesso come papabile premier per un governo di unità o salvezza nazionale. Tanto che la sua nomina ha portato a un’improvvisa mutazione nell’atteggiamento di alcuni partiti politici – tra cui Italia Viva e la Lega – pronti a una nuova collaborazione istituzionale.
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La mossa di Draghi
Oltre a indire il previsto giro di consultazioni politiche, Mario Draghi ha compiuto una scelta di campo incontrando in primo luogo il premier dimissionario. Una mossa inconsueta, che gli è valsa un’apertura da parte del reticente Movimento 5 Stelle, la cui maggioranza relativa in parlamento lo rendeva determinante per la formazione di qualsiasi governo.
Trasformazioni e spaccature
Il primo giro di consultazioni voluto dal premier incaricato si è risolto in una ricognizione conoscitiva rispetto alle richieste e le disponibilità dei vari partiti di maggioranza e opposizione. In questo primo momento si è registrata una sostanziale diffidenza verso Draghi, soprattutto da parte di alcuni partiti di opposizione e del Movimento 5 Stelle, diviso sulla figura del banchiere.
L’arrivo dei pesi massimi
Quando Beppe Grillo e Silvio Berlusconi sono arrivati a Roma per incontrare Mario Draghi, in particolare durante il secondo giro di consultazioni, gli italiani hanno assistito ad un cambiamento del paradigma rispetto alla figura del premier incaricato. L’iniziale diffidenza si è trasformata nella necessità di aderire al progetto del nuovo governo, forse per la possibilità di incidere sulla spesa dei miliardi di fondi europei in arrivo con il cosiddetto Recovery fund.
Incontro con le parti sociali
La seconda scelta insolita da parte di Mario Draghi è stata la decisione di incontrare le parti sociali, aprendo così alle richieste sia dei sindacati che dei gruppi ecologisti, affidando tatticamente a questi ultimi il compito di annunciare l’istituzione di un super ministero per l’ambiente e la transizione ecologica, richiesto espressamente dai grillini nel corso delle consultazioni.
Il dado è tratto
Una volta ottenuto il sostegno di quasi tutte le forze politiche (con l’esclusione di Fratelli d’Italia, rimasta unica forza di opposizione) e dopo qualche giorno di riflessione, Mario Draghi è salito nuovamente al Quirinale.
Questa volta per sciogliere la riserva chiesta al capo dello Stato, accettando formalmente l’incarico come primo ministro, comunicando anche la lista dei ministri che comporranno la squadra di governo.
Una compagine divisa tra tecnici e politici, volta a non scontentare nessuno dei partiti in campo, se non una parte del Movimento 5 Stelle, spaccato al proprio interno sul sostegno al nuovo esecutivo. Questo nonostante la votazione positiva avvenuta sulla piattaforma Rousseau.
Le prospettive del Governo Draghi
Come richiesto dall’Europa e dalla gran parte delle forze politiche, il nuovo premier si è impegnato soprattutto nel seguire al meglio la situazione pandemica del nostro Paese, portando avanti la campagna vaccinale nel migliore dei modi.
Questo oltre a rimettere in sesto i conti dello Stato e costruire una prospettiva per futuri investimenti (soprattutto nei settori delle infrastrutture e della digitalizzazione), ma anche a fare ripartire in sicurezza e risanare il mondo della scuola e snellire la burocrazia.
Queste tare ataviche che il Paese si porta dietro dovranno essere accompagnate da una maggiore apertura verso l’Unione Europea (di cui non a caso Draghi è un convinto sostenitore) in una prospettiva di maggiore peso per l’Italia.