Dal Giovin Signore di Parini all’Arca Russa di Sokurov: le immagini della nobiltà europea nel Settecento
Come ingannare questi nojosi e lenti
Giorni di vita, cui sì lungo tedio
E fastidio insoffribile accompagna
Or t’insegnerà. Quali al Mattino,
Quai dopo il Mezzodì, quali la Sera
Esser debban tue cure apprenderai,
se in mezzo agli ozi tuoi ozio ti resta
Pur di tendere gli orecchi a’ versi miei.
Certamente tutti avranno riconosciuto quelli che sono tra i primi versi del Giorno di Parini, opera che, meriti artistici di uno dei grandi autori della letteratura italiana a parte, ha forgiato l’immagine del nobile ozioso, sfaccendato e cicisbeo del Settecento, consegnandolo alla tradizione. Il ritratto che Parini fa del “Giovin Signore” per lungo tempo è stato condiviso dalla storiografia europea. La giornata del nobile descritta da Henri Carrè, ad esempio, lo vedeva non far nulla prima di mezzogiorno, se non predisporre il proprio vestiario per uscire. Questa tradizione storico-letteraria è stata ampiamente riportata dalla cinematografia. Il ritratto di Parini e la descrizione storica di Carrè coincidono con i primi minuti dello splendido film di Stephen Frears, che introducono il personaggio di monsieur visconte di Valmont e della marchesa de Mertueil, mentre sono intenti nella loro toilette mattutina. E’ la rappresentazione cinematografica del romanzo di Choderlos de Laclos, Les Liaisons dangereuses, che inizia in realtà con la descrizione di più femminili ozi e amore per i gioielli, sebbene la giovanissima Cècile de Volanges dica, excusatio non petita, «il mio tempo non è tutto occupato da cuffiette e fronzoli».
La giornata del nobile descritta da Henri Carrè, nè più nè meno di come fanno i nostri protagonisti cinematografici, prosegue con il pranzo, con le conversazioni in salotto, le letture, i canti, le visite in biblioteca, le passeggiate, le partite di caccia, e tra i giochi della pallacorda, del volano, del bigliardo, del tric-trac, degli scacchi. La sera è tempo di feste galanti, rappresentazioni teatrali e balli che chiudono la giornata. Tutto è sotto il segno dell’ozio e della superficialità, oppure del cinismo di donne e uomini che barano nella vita e nell’amore, come vigorosamente vengono rappresentati nel celebre romanzo epistolare francese e nella sua versione cinematografica
L’immagine della nobiltà settecentesca dissoluta, oziosa e cinica, se non addirittura stracciona come quella del Regno di Napoli, ha lungamente dominato la storiografia come la cinematografia. Eppure molto è cambiato e una parabola si è consumata intorno alla storia della nobiltà del Settecento. Ancora una volta mi piace richiamare una potente e suggestiva immagine cinematografica, con lo straordinario film di un altrettanto straordinario e discusso regista, e cioè l‘Arca russa di Sokurov. Come è noto a chi ben conosce il film, una buona parte del secondo tempo è dedicata alla rappresentazione di un ballo aristocratico al palazzo reale di San Pietroburgo, alla vigilia della I guerra mondiale e della rivoluzione d’ottobre. Il paragone corre subito a un altro celebre ballo, quello altrettanto straordinario del Gattopardo rappresentato da Visconti. Ma per quella scena, nonostante il fatto che Visconti appartenesse per nascita al mondo aristocratico, l’impegno politico di sinistra da intellettuale engagè, come si diceva a quel tempo, non consentiva uno sguardo nostalgico. Scena sontuosissima, forse indulgente, ma non nostalgica, se non inconsciamente. Molto diverso è invece lo sguardo che ci consegna l’obiettivo di Sokurov. Uno straordinario piano-sequenza l’intero il film è considerato il piano-sequenza più lungo della storia del cinema mostra la fine di quel ballo, con la folla di dame e di loro cavalieri che scende lentamente lo scalone del palazzo, defluendo verso il portone del palazzo, mentre il protagonista sommessamente dice «Addio Europa». E’ evidente che la scena, questa volta esplicitamente nostalgica di quel mondo, simboleggia l’uscita di scena della nobiltà e dell’Antico regime. In Sokurov troviamo rappresentata la tesi storiografica, discussissima, di coloro che vogliono vedere la fine dell’Antico regime non già con la Rivoluzione francese, ma con lo scoppio della I guerra mondiale, data di inizio dell’età contemporanea, come d’altra parte ci ha imposto la riforma Berlinguer dei programmi di storia nella scuola, inseguendo l’Hobsbawm del secolo breve. Pur non condividendo quella tesi, che appiattisce l’Ottocento a un secolo ombra dell’Antico regime, è innegabile il fascino di quelle immagini.
Anche la cinematografia quindi risente delle letture storiografiche revisioniste: le valutazioni sulla nobiltà del Settecento sono mutate sensibilmente negli ultimi decenni. Da residuo della storia rispetto al trionfale progresso della borghesia e da elemento conservatore e frenante di un secolo luminoso e progressivo, la figura dell’aristocratico si è andata complicando. E’ quindi apparsa come elemento paradossale e contraddittorio di quel secolo, in quanto non solo agente del passato, ma anche parte attiva delle sue stesse trasformazioni, così come quel secolo stesso è apparso con le sue ombre e le sue contraddizioni e non solo come il luminoso secolo realizzatore della modernità. In realtà, quell’immagine del nobile troppo ricco o troppo povero e incolto sprofondato nella lussuria, di fatto, non esisteva, ma era una descrizione funzionale ai meccanismi ideologici dell’illuminismo per poter squalificare un sistema sociale nel suo complesso. La cinematografia infine ha subito il fascino del revisionismo anche rivalutando Maria Antonietta, ad esempio con il film della Coppola (2006) o con il p iùrecente Les Adieux è la reine di Jacquot (2012).
(le presenti righe hanno fatto da introduzione alla relazione La storiografia e la Nobiltà nel Settecento tenuta al seminario La storiografia sullo Stato moderno nel Settecento, organizzato da Aurelio Musi presso l’Università di Salerno)