Di bellezza e di splendore, i viaggiatori inglesi e le suggestioni della Sicilia nel libro di Sergio Intorre
Marmi intarsiati, decorazioni, coralli, statue adorne di gioielli ormai perduti. Com’era la Sicilia del XVIII e del XIX secolo? Lo svela Sergio Intorre nel volume Beauty and Splendour. Le arti decorative siciliane nei diari dei viaggiatori inglesi tra XVIII e XIX secolo, pubblicato da Palermo University Press.
La letteratura del Grand Tour – oggetto di numerose indagini da parte di diverse discipline nel corso del Novecento – è al centro del volume: attraverso i resoconti dei viaggiatori inglesi in Sicilia tra il XVIII e il XIX secolo sono descritte alcune tra le più belle opere d’arte siciliane così come apparivano allora. Dalla puntuale esposizione, corredata anche da suggestive immagini, emergono due culture a confronto: quella siciliana, con i suoi culti, le devozioni e le tradizioni, e quella inglese, spesso critica e stupita nei confronti di quell’isola del Mediterraneo croce e delizia non solo dei suoi cittadini, ma anche degli stranieri che ne restarono folgorati e sgomenti al tempo stesso.
Chi giungeva in Sicilia dal mare, doveva affrontare innumerevoli pericoli a causa dei saraceni. Anche le escursioni in terraferma erano profondamente insicure per la mancanza di vie di comunicazione percorribili e, spesso, infestate da ladri e assassini. Nonostante tutto, però, la Sicilia restava un punto di arrivo imprescindibile per quanti volessero ammirarne le bellezze monumentali e paesaggistiche.
I diari di questi viaggiatori, che di solito venivano mandati in stampa al ritorno in patria, sono delle preziosissime fonti non solo per lo studio dell’arte, ma anche per l’analisi della realtà socio-politica, economica e culturale dell’isola. Certamente, l’attrazione per quella che una volta era stata una parte importante della Magna Grecia coincide con l’esplosione del Neoclassicismo settecentesco. In un contesto nel quale la cultura classica tornava prepotentemente in auge, anche grazie ai resoconti dei viaggiatori, non deve stupire se opere come quella di Patrick Brydone, di cui parla Intorre, abbia accelerato la nascita di una vera e propria passione per la Sicilia.
Passione che ebbe una vasta risonanza in tutta Europa: non vi era viaggiatore che non approdasse sull’isola con il suo testo sotto braccio, pronto a essere consultato durante il tour. Così si spiega la ragione per la quale dai diari dei viaggiatori inglesi emerge un interesse più spiccato per l’arte classica che per le arti decorative: Selinunte, Agrigento, Siracusa diventano mete obbligatorie di cui spesso viene messo in luce anche lo stato di degrado e abbandono, come nel caso della Fontana di Aretusa che, denunciava Russell nel 1815, era diventata il “pubblico ritrovo delle lavandaie di Siracusa” (pag. 25).
Tale dissonanza tra bello e sgradevole emerge dal diario dell’inglese John Durant Breval, scrittore e travelling tutor. Breval pubblica il resoconto del suo viaggio tra il 1723 e il 1726, col titolo di Remarks on several parts of Europe. Tra le pagine del suo diario, ve ne sono alcune dedicate alla città di Messina, in cui la descrizione delle bellezze naturalistiche e paesaggistiche cozza violentemente con quella delle vie del centro cittadino “mal costruite, strette, buie e con pochi edifici degni di nota”(pagg. 33-34).
Per Thomas Salmon, autore del Present state of all nations, in 24 volumi e largamente dedicato alla Sicilia, il popolo è “ingegnoso e dotato di un estro poetico naturale ma al contempo incostante, nemico della fatica, amante del lusso e vendicativo” (pag. 50). Mentre Brydone, tra i più famosi viaggiatori inglesi in Sicilia, dichiara la malinconia provata alla fine del suo viaggio, motivandola con la consapevolezza che sarà molto difficile trovare altrove persone cortesi e disponibili come i siciliani.
Nei diari è possibile figurarsi un universo di opere d’arte di inestimabile valore. Alcune appartenevano a collezioni private, come quella del principe della Scaletta (omonimo nipote di don Antonio Ruffo e Spadafora) il cui palazzo era pieno di dipinti di artisti del calibro di Guercino, Spagnoletto, Pietro Novelli, Rembrandt, Van Dyck, Tiziano, Artemisia Gentileschi. Ma anche di opere in argento di artisti locali come Innocenzo Mangani e Pietro Juvara.
Le arti decorative sembrano aver avuto una grande importanza per i collezionisti messinesi, come attestano le descrizioni di mobili intarsiati e gioielli incastonati da pietre rare e di grande valore (pag. 35).
Non solo: i viaggi degli inglesi ci regalano anche una fotografia delle principali attività economiche legate all’arte presenti nell’isola nel corso del Settecento: nel trapanese, ad esempio, Breval rimane colpito dalla lavorazione del corallo, principale attività commerciale, sebbene ai tempi del suo viaggio fosse già stato soppiantato da altri materiali preziosi come l’avorio, la madreperla e i lapislazzuli. Di Trapani, Salmon descrive la pesca del corallo e del tonno e si sofferma sulla lavorazione con il bulino.
Molti altri viaggiatori della Gran Bretagna rimasero colpiti dal tabernacolo della cattedrale di Palermo in bronzo dorato e lapislazzuli, ispirato al classicismo architettonico rinascimentale di cui gli inglesi del Settecento erano grandi cultori. È il caso di Thomas Salmon, che tramanda una notevole descrizione del medesimo tabernacolo e delle reliquie dei santi, in particolare quelle di Santa Rosalia.
C’è chi invece, grazie ai resoconti dei viaggi, riesce a ottenere una grandissima popolarità e degli incarichi molto prestigiosi. Come il già citato Brydone, che pubblica il suo diario di viaggio nel 1773 col titolo di A tour through Sicily and Malta. Quest’opera gli diede una tale fama che riuscì a diventare massone e a entrare nelle Royal Society di Londra ed Edimburgo. Il suo diario venne tradotto in tutto il vecchio continente. Scritto in forma epistolare e diretto all’amico Lord William Beckford di Somerly, della Sicilia orientale descrive la raccolta dell’ambra da parte dei contadini del catanese, poi lavorata e venduta in tutta Europa. Si tratta di una testimonianza preziosissima in quanto sono rimasti pochissimi oggetti in ambra, vista la fragilità della resina.
Inoltre, la descrizione della cattedrale di Palermo e della cappella di Santa Rosalia è per noi fondamentale perché precede i lavori di rifacimento tardo-settecentesco. L’importanza di queste descrizioni sta nel fatto che, in molti casi, le opere rimaste sono prive di alcuni elementi che allora erano visibili ai visitatori, come nel caso dei gioielli che ornavano la statua di Santa Rosalia nel santuario di Monte Pellegrino, descritti da Brydone e oggi andati perduti.
Di grande rilievo per gli studi antropologici sono anche i cenni alle feste in onore dei santi patroni dell’isola che, spesso, mettono in luce anche la presenza di residui di antichi culti pagani. Brydone, ad esempio, lascia una testimonianza del Festino in onore della santa patrona di Palermo, descrivendone la scenografia e il coinvolgimento emotivo dei cittadini tutti, indipendentemente dal ceto di appartenenza. Sul comportamento dei palermitani in occasione del Festino, illuminante appare il giudizio tranciante e anche molto velenoso di Thomas Bingham Richards, autore di Letters from Sicily: un popolo, quello palermitano, superstizioso a tal punto da credere che “le reliquie della santa possano fare miracolose guarigioni solo a toccarle” (pag. 102).
Chi volesse, dunque, fare un viaggio indietro nel tempo attraverso i tesori della Sicilia, deve necessariamente leggere il testo di Sergio Intorre. Nel mescolare sapientemente descrizioni di opere d’arte, attività commerciali, usi e tradizioni di alto interesse storico e antropologico, l’autore ci regala una indimenticabile immersione in un’epoca lontana, ricca di curiosità e bellezze.
Il testo è corredato da una raccolta di citazioni sulle arti decorative siciliane dai diari dei viaggiatori inglesi (pagg. 203-245) e da un corposo apparato illustrativo.
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