Di cime e radici: Alberi di Palermo tra presente e futuro
Quante volte, allontanandoci dai luoghi più familiari, siamo stati rapiti dal fascino insolito di un paesaggio naturale a cui il nostro occhio non era abituato?
Quante altre abbiamo guardato un vecchio albero come un vero e proprio monumento, dal latino «ricordo», che mantiene viva la memoria di un avvenimento, di una persona, o più in generale, della storia di quel luogo?
Educando il nostro sguardo a contemplare la fisionomia vegetale, scopriamo che, giunti in un luogo ignoto, la nostra attenzione viene catturata anzitutto dai colori, dai profumi e dalle geometrie naturali non replicabili altrove e poi, riportando l’attenzione ai luoghi frequentati più abitualmente, ci stupiremo nello scoprire che lo sfondo paesaggistico della nostra quotidianità non può essere considerato una mera cornice trascurabile, ma assume valore in quanto accompagna, condiziona e caratterizza anche la nostra esistenza.
Tra gli ultimi baluardi identitari contro ogni tentativo di globalizzazione, gli alberi, gli arbusti e, più in generale, gli elementi naturali, con le loro sfumature tonali e i loro aspetti peculiari, caratterizzano una città, una regione o un territorio, anche più profondamente degli elementi antropici. Ci riconducono all’identità primitiva di un luogo e sono testimonianza dell’esuberanza con cui la natura, articolandosi in molteplici modi, rende il nostro pianeta un variopinto puzzle composto da tasselli unici. Avete mai pensato a quale aspetto avrebbe via Libertà se privata del suo corridoio di arbusti che la rendono pittoresca e signorile e a quali differenze se quegli arbusti non fossero i militareschi platani ma altri generi di alberi con diversa forma, colore e periodo di fioritura? E cosa accomuna Piazza Castelnuovo, via Lincoln e villa Sperlinga, se non la fioritura, di particolare bellezza, in tarda primavera, che tinge di toni purpurei i rami delle Jacarande rimasti nudi per il resto dell’anno? E come mai, nella stessa città, convivono la Canfora giapponese dalle foglie scarlatte, il monumentale Ficus magnolioide di villa Garibaldi di origini australiane e le maestose Palme, ormai divenute simbolo del capoluogo siciliano, ma in origine provenienti dai luoghi più disparati: dalle Canarie al sud America?
Su di essi si abbatte lo scorrere del tempo e i più cari ricordi vengono trattenuti dalle loro cortecce, diventano la linfa che rende l’albero vivo non solo per se stesso ma anche per noi. «Contengono vite» – afferma Paolo Inglese, professore ordinario di Arboricoltura Generale e Coltivazioni Arboree, ricordando l’albero di Falcone e l’olivo di Borsellino – «che sono memoria», ma anche le scandiscono: fin dall’antichità i periodi della semina e del raccolto hanno segnato momenti simbolici per l’uomo che vennero legati a festività comandate appunto dalla natura, come i Saturnalia, festività romana dedicata al dio dell’agricoltura e personificazione del tempo ciclico, Saturno, o, in tempi più recenti, Halloween, in origine legata ad antichi rituali celtici, o ancora feste locali tra cui, ad esempio, la festa del Mandorlo in Fiore ad Agrigento, celebrata tutt’oggi. La vita della natura scorre parallela alla nostra; entrare in religioso contatto con essa significa riscoprire ogni anno i propri periodi di semina, di duro lavoro o rinascita. Lasciarsi ispirare da essa, riappropriarsi di se stessi imitandola, proprio come fece Goethe, quando, incantato dal giardino comunale di villa Giulia a Palermo, volle scovare all’interno dell’infinita molteplicità della natura una pianta primigenia, battezzata poi Urpflanze, fonte di ispirazione per ricercare una sintesi tra il singolo e l’universo, un modo di pensare fatto di divisione e riunione che imita le movenze della natura poiché fa parte di essa. Un’idea che continua a farsi fonte di ispirazione come per il disco dei Radiohead, A king of Limbs, in cui torna l’idea di pensarsi parte della natura, non esterni a essa, e cambiare prospettiva su sé e sul mondo. Gli alberi, con la loro energica staticità, ci ricordano che è possibile mutare se stessi senza mutare luogo.
Facciamo ancora fatica a immaginare una città in cui si possano conciliare comfort urbani e ambienti naturali rigogliosi, indispensabili per l’uomo. Al di là di ogni retorica, è possibile immaginare un cittadino del futuro che abiti un pianeta sostenibile, che voglia proteggere e custodire la natura poiché conosce i singoli elementi che la compongono, prova il piacere di saperli nominare, di entrare in contatto con essi, conoscere il loro linguaggio e i modi in cui ci parlano.
La collana Naturalia, edizioni Palermo University Press, offre la possibilità agli appassionati di botanica e non, di riscoprire il fascino naturale di Palermo e dei suoi dintorni attraverso un viaggio in diversi volumi tra alberi, verdure spontanee, uccelli, l’Orto Botanico della città e le erbe, i fiori e gli arbusti delle Madonie.
Il cammino si apre alla scoperta del volume Alberi di Palermo di Rosario Schicchi e Manlio Speciale, rispettivamente Direttore e Curatore dell’Orto Botanico: una guida al riconoscimento delle specie arboree del capoluogo siciliano, più di 150, ordinate alfabeticamente e ognuna di esse accompagnata da una scheda che include il nome scientifico, la famiglia botanica di appartenenza, eventuali sinonimi, nomi comuni, descrizione, i suoi principali ritmi biologici e la sua origine geografica, interessante per la storia della città e una conoscenza consapevole delle parti di essa.
Una guida che dovrebbe divenire cara per tutti con l’auspicio che – citando ancora una volta le parole di Paolo Inglese, poste in Prefazione – «serva da stimolo per la cura del verde della nostra Città, perché è dalla conoscenza che bisogna partire per ogni seria politica di conservazione e di valorizzazione».
DETTAGLI:
Autore: Rosario Schicchi, Manlio Speciale
Fotografie di: Marco Zerilli
Collana: Naturalia
Editore: Palermo University Press
Anno edizione: 2020
Numero pagine: 340
Tipologia: cartaceo, PDF
ISBN cartaceo: 978-88-5509-132-9
ISBN online: 978-88-5509-133-6
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