Dialoghi r-esistenti sull’Europa. Quale compito per le generazioni a venire?
Una nuova corrente si aggira per l’Europa, quella degli “europeisti critici”. Sabato 23 Marzo 2019 si è tenuto a Roma il primo Congresso di Volt Europa, il movimento paneuropeo sostenuto da un ampio gruppo di cittadini e cittadine che credono nella realizzazione di un’Europa unita e federale, che vogliono continuare a narrare la nostra storia, i debiti di un passato di cui avere memoria e le responsabilità che il futuro ci segnala già da tempo.
Volt è un nuovo progetto politico che nasce nel 2016 dopo la Brexit, dall’idea di tre giovani cittadini europei provenienti dall’Italia (Andrea Venzon), dalla Francia (Colombe Cahen-Salvador) e dalla Germania (Damian Boeselager), e che si è presentato alle Elezioni Europee 2019 in ben 8 Paesi con lo stesso simbolo e lo stesso programma, ottenendo il suo primo storico seggio al Parlamento Europeo (Damian Boeselager) con oltre duecentomila voti. Volt si definisce “paneuropeo”: l’appello è lanciato a tutta Europa, nessuno escluso! Ma cosa spinge un gruppo di giovani europei, consapevoli delle difficoltà socio-politiche del XXI secolo, a stringere un patto siglato sotto il simbolo del potenziale elettrico “Volt”? Si tratta di un accordo che ha condotto i tre giovani ad essere non solo consapevoli rappresentanti del loro manifesto politico, ma anche incarnazione di una storia molto complessa, di una serie di idee e riflessioni che vanno ben oltre la sfera della politica tout court e del dibattito tra “europeisti” e “anti-europeisti” (o “euroscettici”) di cui Volt entra a far parte. Il loro sogno ha tutta l’effettività di un progetto antico, che torna a riproporsi in ogni generazione europea.
L’attuale scenario europeo non ha inizio con la crisi economica del 2008 e va ricostruito a partire dall’articolata configurazione della parola “Europa”. Il progetto di un’integrazione europea ha inizio a partire dalla metà del XX secolo, con il Manifesto di Ventotene nel 1941 e con la prima riunione della CECA nel 1952. Tuttavia, il compimento dell’idea di Europa intercetta un ulteriore progetto, quello del “cosmopolitismo”, sviluppatosi in epoca ellenistica dopo il crollo del modello della polis greca. Come scriveva Goethe, un individuo che non sa darsi conto di tremila anni di storia rimane nel buio e vive alla giornata. Tornare a parlare della nostra storia e del come siamo giunti sino al Terzo Millennio è il solo modo per non idealizzare e semplificare il progetto Europa e la complessità che si nasconde dietro questa parola. L’Europa è un “complesso” (complexus – ciò che è tessuto assieme), un vero e proprio nodo gordiano che tiene insieme tante realtà e narrazioni politiche, economiche, sociali, culturali, religiose, linguistiche, simboliche, geografiche, intrecciate nella loro diversità e «costruite una dentro l’altra in modo nello stesso tempo conflittuale e solidale» (Morin, 1987).
Discendenti da una famiglia “mitica”
Se pensiamo all’Europa per prima cosa ci viene in mente l’area geografica che si estende dal Mediterraneo sino al circolo polare artico. Da questa immagine sorgono le prime difficoltà nell’individuazione dell’Europa: quali sono i suoi confini? Al di là delle nozioni di base in geografia, esiste spesso la difficoltà di individuare i confini dell’Europa: la Turchia e la Russia fanno parte dell’Europa? Le isole atlantiche, come l’Islanda o la Gran Bretagna? Malta e alcune isole siciliane sono più vicine all’Africa che non al resto d’Europa. Le difficoltà sorgono per la conformazione assunta dai popoli nel corso dei secoli: l’Europa meridionale è stata greca, romana e araba; l’Europa centrale è stata terra di imperi, ma anche di “barbari”, coevi dei romani, che provenivano da Nord o da Oriente. È complesso far luce sulla genealogia dei popoli europei e questa difficoltà si riverbera a livello politico: i confini d’Europa sono frutto di fenomeni migratori, di colonialismo e di guerre storiche che ci portano indietro di oltre due millenni. A riguardo, lo storico americano Patrick J. Geary afferma che «i popoli sono il prodotto della storia, non gli atomi che la compongono» (Geary, 2010). Lo sguardo da rivolgere all’indietro è infatti così profondo che dovremmo scomodare i genetisti e gli antropologi per rispondere a questa domanda: da chi discendiamo noi europei?
Se pensiamo all’Europa, spesso può tornare alla mente l’immagine della dea rapita da Zeus sotto le sembianze di toro. L’Europa non ha origine da una famiglia “tradizionale” neanche in questo caso: Zeus rapisce Europa e la possiede contro la sua volontà. I fratelli di Europa, in giro per il Mediterraneo alla ricerca della sorella scomparsa, furono i capostipiti dei fenici, dei popoli dell’Asia minore e della Grecia. I discendenti di Europa, divenuta moglie del re di Creta (isola da cui ha origine la storia della civiltà occidentale), saranno i grandi personaggi della mitologia e delle tragedie greche (Minosse, Edipo, Antigone). In onore della capostipite, le terre ignote a nord dell’isola di Creta vengono chiamate Europa.
Le tracce delle nostre “mitiche” radici sono visibili nella moneta unica, l’Euro. Nel retro dei 2 euro della Grecia è raffigurata proprio Europa rapita dal toro, mentre in tutte le banconote è presente l’effige della dea sia in filigrana (sulla sinistra) che nella banda argentata (sulla destra). Nelle banconote e nelle monete troviamo anche la riproduzione del nostro continente, raffigurante solo gli Stati membri dell’UE: la sensazione di incompletezza guardando quest’immagine frammentata è evidente. Tutta la simbologia che ruota attorno al termine “Europa” ci ricorda che esso tiene legati insieme differenti popoli, sin dalla sua origine. Che siano Adamo ed Eva, Europa e Zeus, oppure le scimmie di Darwin, il termine “Europa” individua un problema molto più ampio e non esclusivamente politico, e cioè quello della formazione di differenti popoli tutti discendenti da una sola mitica famiglia: la specie umana che ha popolato una determinata area geografica della Terra.
L’idea di Europa: un problema filosofico?
Molti pensatori hanno parlato di Europa, anche autori nello specifico poco esperti di politica. La bibliografia da cui attingere è molto ricca: da Husserl che riflette sulla crisi della spiritualità e delle scienze europee, a Spengler e Heidegger che ricordano il destino difficile dell’Occidente, la “terra del tramonto”. In questa sede interessa piuttosto fare un bilancio critico e chiedersi perché l’Europa sia un problema filosofico. Il cecoslovacco Jan Patočka ha svolto un lavoro simile nei Saggi eretici sulla filosofia della storia (1975), dedicando un intero capitolo all’analisi dell’eredità europea.
La ricostruzione parte dagli antichi greci ma pone l’attenzione sull’epoca romana: la prima versione dell’Europa è il sacrum imperium dei romani. Eredi dello spirito greco, i romani vollero fare di Roma la capitale di un impero, così come la polis greca era stata immagine della costruzione di uno Stato del diritto e della giustizia fondato sulla verità (Patočka, 2002). Se per i greci era fondamentale la cura di sé, dopo l’epoca imperiale diventa centrale la cura dell’avere: l’Europa occidentale, quella degli Stati moderni eredi di Roma, di Carlo Magno e di Carlo V, diventa conquistatrice ed esploratrice, guerriera contro il nemico islamico a Oriente. L’avvento della Russia, erede dell’area bizantina, e l’avvento della Germania, erede del Sacro Romano Impero, poi crollato a vantaggio della Francia, sono tutte fasi di un problema fondamentale dell’eredità europea: la mancanza di una guida morale per tutti i popoli che abitano e si contendono lo stesso continente. Dal XVIII secolo Francia e Stati Uniti si sono messi a capo dei movimenti illuministici e rivoluzionari, a difesa dei diritti dei cittadini. In questo quadro, persino «Hegel ha occasionalmente trattato il problema se erede dell’Europa sarebbe stata l’America o la Russia, ma ogni previsione del futuro ha assunto una sua concretezza solo quando il problema è stato considerato dal punto di vista dell’indirizzo sociale verso l’uguaglianza e l’organizzazione razionale della società». Già in quell’epoca, in particolar modo da Tocqueville, gli Stati Uniti venivano definiti l’America europeizzata e l’Europa post-rivoluzionaria era l’Europa che si andava americanizzando (Patočka, 2002). Oggi sull’Europa si affaccia anche la Cina.
Quello “europeo” è un problema filosofico poiché coinvolge l’identità degli “europei”: la crisi politica e quella sociale sono la punta di un iceberg, la cui base sono le questioni morali che riguardano gli abitanti dell’Europa. Nietzsche aveva definito triste la meditazione sull’Europa, una terra che ha avuto sempre l’arroganza di definirsi “progredita” rispetto al resto del mondo. Il problema fondamentale dell’Europa sembra essere uno: né il cristianesimo, né le origini mitiche, riescono a trovare un collante capace di creare un’unica realtà sociale, figuriamoci politica. Circondata dall’America di Trump e Bolsonaro, dalle leggi omofobe in Russia, dai conflitti in Africa e Medio Oriente, dalle migrazioni incontrollate, dai cambiamenti climatici e dalle minacce di nuove guerre sociali, l’Europa deve affrontare le sue questioni irrisolte. Il rischio della disgregazione dell’UE è sintomo della crisi della “civiltà occidentale”, così come secoli addietro fu quella dell’Impero Romano. L’idea di Europa è un problema filosofico-morale poiché affonda le sue radici su un problema culturale. L’Europa rappresenta una sfida: è una casa alla cui costruzione dovranno contribuire colori i quali credono nei principi di libertà, democrazia e uguaglianza, quei principi fondamentali di umanità sui quali va ripensata la società occidentale, com’era nel progetto della Dichiarazione universale dei diritti umani (1948).
«Un’Europa è morta nel 1945, schiacciata sotto le rovine delle nazioni vinte […] C’è voluta la morte dell’Europa dei tempi moderni perché ci fosse un primo voler nascere europeo»
(Edgar Morin, Pensare l’Europa)
Il “complesso Europa”: europei di tutti i paesi, ancora uno sforzo!
Molti affermano che il desiderio di un’Europa unita nasca da ideali nobili avvalorati dalla storia, dalle scienze e dalla filosofia, e tuttavia difficili da mettere in pratica guardando ai bisogni materiali e alle esigenze delle persone che vivono o giungono nel nostro continente. Ciò nonostante, le radici di grossi alberi trovano sempre il modo di arrivare in superficie anche quando vengono cementate. Esiste un inconscio collettivo dei popoli europei, della nostra millenaria storia, che chiede di non essere sotterrato e che si fa sentire nelle voci di tutti i cittadini e di tutte le cittadine che difendono l’Europa. La storia dell’Europa non è solo storia di guerre: essa è nata dai destini intrecciati di popoli che hanno convissuto su una terra comune, aperta alla pluralità del mondo e impensabile come un puzzle di “nazioni chiuse”.
Anzà
Nel 2012 è uscito un interessante testo del noto filosofo Zygmunt Bauman, dal titolo Oltre le nazioni. L’Europa tra sovranità e solidarietà. Questa trentina di pagine, densissime di riflessioni sulla storia del nostro continente, sono un’integrazione ad un testo del 2006 intitolato L’Europa è un’avventura. Morto nel 2017 all’età di 91 anni, Bauman è uno di quei cosiddetti “pezzi di storia” che hanno vissuto i tempi bui del Novecento e che, nei 6 anni tra le pubblicazioni dei testi appena citati, ha affermato di aver visto ulteriori «nuvole oscure addensate sul futuro dell’Unione Europea» (Bauman, 2012). Il filosofo polacco riteneva che la mancata realizzazione di un’Europa unita fosse dovuta ad un antico presupposto storico-politico, difficile da sradicare, quello che suggella insieme Stato e Nazione e ricostruisce il processo che fonda il fenomeno della sovranità nazionale. La “nazione” diventa il “noi” che si oppone al “loro”, una frattura socio-culturale che va delle guerre di religione del Seicento ai totalitarismi del Novecento.
Secondo Bauman, la grammatica nazionalista – che oggi definiamo «sovranismo» – impedisce l’effettiva realizzazione di una politica internazionale e globale, “legando le mani” anche all’ONU stessa, che al comma 4 dell’art. 2. del suo Statuto vieta qualsiasi attacco «all’interdipendenza politica e all’integrità territoriale» di uno Stato sovrano, delimitando le ingerenze esterne nei suoi affari. Si tratta, per farla breve, di una questione irrisolta nella storia della politica europea. Bauman si fa portavoce di una «politica internazionale». Quello che manca in Europa è il destino comune, la «visione condivisa di una missione collettiva», che possa superare la storia dei conflitti e unificare le realtà locali creando una solidarietà, scrive Bauman, «paneuropea» e «transnazionale» su cui fondare successivamente il corpo politico europeo, che vada oltre gli Stati-Nazione. Anche un altro famoso filosofo, Jürgen Habermas (classe 1929), si pone in modo critico nei confronti degli avversari dell’Europa ed anche della stessa Unione Europea, che è inciampata nel proprio progetto politico vittima dei mercati finanziari, rendendo gli “Stati debitori” i principali avversari dell’unione politica (Habermas, 2019).
L’esperienza di Volt sembra essere la soluzione che i due filosofi si aspettano dalla politica: si potrebbe pensare di contattare Habermas tramite Volt Deutschland. La filosofia non è nuova al desiderio di “educare” i politici. Al contrario, questo sarebbe il caso in cui l’azione di cittadini risponde alla richiesta teorica dei filosofi. Nel caso di Bauman e Habermas, si tratta di due cittadini europei, uno polacco ed uno tedesco, che hanno continuato a ribadire, nonostante l’età avanzata, il bisogno di “ripensare l’Europa” e di prendere coscienza della storia, cercando finalmente soluzioni a problemi irrisolti. Ma è possibile superare le difficoltà economiche e le differenze dei sistemi fiscali degli Stati europei, dato che sembrano essere i nodi che più disilludono il progetto europeista?
Venzon
La proposta politica dalla quale parte Volt è rintracciabile nella nostra agenda politica. Noi abbiamo fatto lo sforzo di inserire nel nostro programma una “linea direttiva” che seguirà la nostra attività. La politica odierna, specialmente in Italia, va avanti di tre mesi in tre mesi e manca di conseguenza un obiettivo preciso da raggiungere. Il che ci lascia disorientati: una persona non sa se vivere in Italia o se far nascere nel suo Paese i propri figli, perché non sappiamo fra 5 o 10 anni in che condizioni sarà il nostro Paese. Questo perché la politica odierna non pensa al futuro a lungo termine, non è quella direzione che porta voti e che risolve i problemi presenti. Volt, anche al rischio di esporsi ad attacchi, ha inserito nella sua agenda sia la risoluzione dei problemi odierni, sia la direzione da seguire: cercare soluzioni a problemi complessi che riguardano tutte le nazioni (cambiamento climatico, trasformazione del mondo del lavoro, immigrazioni) e valutare ciò che servirà nel futuro e non solo rattoppare in modo disorganico tirando ognuno acqua al proprio mulino. Ci sono problematiche che gli “Stati sovrani” da soli non possono risolvere. Questo è anche il motivo per cui i provvedimenti politici cambiano radicalmente a seconda di chi governa, perché manca cooperazione internazionale e si ragiona sul breve termine e soltanto sul proprio territorio. Una forza politica più responsabile agirebbe su entrambi i binari: risolvere i problemi presenti e fare attenzioni ovviamente ai propri interessi nazionali, comprendendo che questi ultimi dipendano essenzialmente dal destino dell’Europa e dalle politiche internazionali. Un’Unione Europea più forte e coesa diventa garanzia per tutti gli Stati che ne fanno parte. Le critiche vengono dal momento che per risolvere gli squilibri, ad esempio, tra il meridione d’Europa e il resto dell’Unione sia necessario che quest’azione venga fatta a spese delle aree più ricche, che potrebbero rifiutarsi di aiutare i paesi meno produttivi e rimasti indietro. Il costo dell’Unione Europea e del mercato unico però è questo: per rafforzare l’Unione Europea, le differenze con i Paesi che hanno subito gli svantaggi della globalizzazione vanno gestite. Manca un sistema di raddrizzamento di questi squilibri, ma è una delle “ristrutturazioni” di cui necessita la nostra unione. O ci rafforziamo o l’Unione Europea andrà inevitabilmente dispersa, perché i Paesi lasciati indietro, sentendosi abbandonati, si staccheranno. Creare un fronte paneuropeo, internazionale – che sia Volt o mi auguro altri schieramenti politici che seguiranno il nostro modello – significa far prendere coscienza del fatto che per consolidare il progetto europeista, bisogna non solo godere dei benefici ma assumersi le responsabilità di aiutare chi è rimasto indietro. Di questo allineamento ne gioveremmo tutti, anche gli imprenditori dei Paesi al momento più ricchi.
Anzà
Nel 1991 viene pubblicato un preziosissimo volume del filosofo francese Jacques Derrida dal titolo Oggi l’Europa. Si tratta di una raccolta di due saggi, L’altro capo e La democrazia aggiornata; in essi, Derrida, dopo aver analizzato le riflessioni sull’Europa di alcuni pensatori del Novecento, si sofferma sull’immagine del corpo europeo come “altro capo” del corpo asiatico. Scavalcando per un attimo Derrida, l’immagine è presto spiegata, almeno in due modi: geograficamente, Europa e Asia sono un’unica massa continentale, detta “Eurasia”, non avendo i due continenti una netta separazione geologica; mitologicamente, una delle più antiche divinità romane e italiche, giunta per mare da Est, è Giano Bifronte, la cui peculiare caratteristica è quella di avere due volti che gli permettono di guardare il futuro e il passato, nonché l’interno e l’esterno della sua dimora, e da ciò ne deriva la sua forza e invincibilità. La principale divinità del Pantheon romano ha due capi come il corpo eurasiatico. Non è un caso, forse, che l’immagine del “doppio capo” venga ripresa da Derrida per analizzare la situazione dell’Europa, che rappresenta un’idea universale di apertura verso l’“altro”. Quest’altro è anche l’Asia, alla quale siamo geograficamente collegati.
La storia europea è la sola a poter descrivere concretamente chi siano i cittadini europei: gente del Mediterraneo, il “mare nostrum” dei romani che unisce il nord Africa, il Medio Oriente e l’Europa. La metafora di Derrida, infatti, è più complessa. Un altro capo è attaccato al nostro corpo. L’istmo di Suez unisce l’Eurasia all’Africa, si parla in questo caso di Eurafrasia (World Island, secondo il geografo Mackinder) o Continente Antico. Etimologicamente “Europa” può significare “ampio sguardo”, dall’unione dei termini greci εὐρύς (eurùs, “ampio”) e ὤψ (ops, “occhio”). L’Europa attuale ha perso questa capacità di avere un’ampia visione sul mondo? A partire dalla riflessione di Derrida, l’Europa diventa una sperimentazione etico-politica, in cui quella che da molti viene negativamente bollata come “contaminazione” o “invasione” dall’esterno non è altro che la natura più propria del nostro supercontinente, la sua radicale ospitalità. Questa realtà rischia di fratturarsi per differenti motivi, ne evidenzio due: (1) il Mediterraneo, il mare che collega i nostri tre continenti, ultimamente trasformato in cimitero marino; (2) le reazioni contro la secolare Via della Seta, che riapre il dialogo con la Cina.
La politica europea ha dietro a sé questo enorme retroterra, rappresentato dalla cultura europea – che possiamo definire “più che europea”. Derrida affermava che l’Unione Europea sarebbe potuta essere il modello occidentale del “cosmopolitismo” e si è trovato a scrivere un volumetto dal titolo Cosmopoliti di tutti i paesi, ancora uno sforzo! Potremmo dire che lo slogan filosofico di Volt possa essere “europeisti di tutti i paesi, ancora uno sforzo”? Ciò farebbe del paneuropeismo una versione pratica e realizzabile del cosmopolitismo, progetto tanto criticato perché destinato, a detta di molti, a scontrarsi con le differenze culturali che rendono difficile pensare il multiculturalismo tra Occidente e Oriente, ad esempio, oppure tra differenti religioni e tradizioni. Possiamo ammettere che Volt, volendo dare voce ai cittadini, stia provando a ridare voce alla cultura europea, alle realtà storiche e geografiche che ci legano? L’Europa è un trampolino di lancio verso l’ulteriore progetto della globalizzazione. Volendo immaginare al di là del futuro prossimo, che è in Europa, Volt ha uno sguardo ai temi “extra-europei”?
Venzon
Sicuramente possiamo dire che Volt vuole lanciare un messaggio preciso: per cambiare l’Europa occorre che le istituzioni, prima di tutto, si assumano le proprie responsabilità. Evidentemente, potrebbe aiutare anche la partecipazione dei cittadini alle questioni europee, accostando ad una politica responsabile anche uno spirito europeo più diffuso nei vari Paesi membri (nelle Scuole, nei Parlamenti, nelle famiglie). Per farlo occorre formare una “coscienza europea”. Non possiamo risolvere i problemi o pretendere che gli altri li risolvano per noi, se non ci informiamo adeguatamente sui differenti temi di discussione, se non partecipiamo alle attività parlamentari e se non lavoriamo a proposte concrete da valutare con gli altri Stati membri dell’Unione Europea.
Prendiamo ad esempio il problema delle “immigrazioni”. Si tratta di un tema extraeuropeo, perché appunto coinvolge quella triangolazione dei continenti appena citati (Europa, Africa e Asia). Quello è un problema che riguarda tutti i Paesi membri. Mi è stata posta molto spesso la questione: le immigrazioni sono un problema che riguarda sia il presente che il futuro. L’Italia non si presenta ai tavoli delle trattative della Commissione Europea. Poniamo che il nostro governo, seguendo il nostro modello, partecipi ai tavoli di discussione, presenti una soluzione realizzabile e che giunga, tuttavia, il veto da Francia, Germania o Visegrad. Come procedere, dato che non spetta alla sola Italia risolvere la situazione, ma all’intera Europa? Sicuramente un primo passo è quello di ricordare a tutti i Paesi membri che ognuno di loro gode di vantaggi che dipendono dall’esistenza dell’Unione Europea. Una cosa su cui i governi nazionali giocano spesso è incolpare l’Europa e però godere dei suoi vantaggi: primi fra tutti, i fondi europei. Fondi che ad esempio l’Italia non sfrutta. Abbiamo circa 60 miliardi di euro da poter utilizzare per gli italiani, incoraggiandoli ad avere più fiducia nell’Europa e però nelle agende dei nostri partiti non se ne parla. Questi fondi europei per l’Italia scadono nel 2020! È chiaro che sfruttare i fondi europei, investendo e producendo infrastrutture, lavoro e ricchezza, aiuterebbe a far sentire i cittadini più grati alle istituzioni e più vicini all’Europa. Non sfruttare i fondi europei e incolpare l’Europa, temo significhi non solo non partecipare responsabilmente alla politica europea, ma volerla deliberatamente distruggere. Credo dunque che avere uno sguardo a problemi che interessano tutta Europa significhi assumere uno sguardo anche al di fuori dell’Europa. A quel punto assumersi la responsabilità di risolvere determinati problemi all’interno e all’esterno dei confini nazionali ed europei, significa rendere la società civile più fiduciosa e attiva. Sbloccare l’utilizzo dei fondi, predisponendo delle figure che aiutino le piccole-medio imprese, la pubblica amministrazione e i cittadini ad accedervi, potrebbe azionare un effetto domino: non sappiamo quali idee, strutture, lavori, questo denaro potrebbe produrre. Ne gioverebbero in molti, magari anche il sistema di integrazione degli immigrati.
Anzà
Il progetto dell’Unione Europea, oggi messo a dura prova, non può ignorare il pluralismo storico-culturale di cui è erede e di cui deve essere promotore. L’ungherese Ágnes Heller (classe 1929), filosofa di fama internazionale, anche lei nota per la sua biografia (sopravvissuta all’Olocausto e al regime comunista di Janos Kadar), ha ultimamente rilasciato diverse interviste in Italia. Heller mette in guardia l’Europa con le stesse parole di Thomas Mann nel 1933: Achtung Europa! (“Attenta Europa”). E infatti la Heller paragona le elezioni del 26 Maggio 2019 alle elezioni del 1914, spartiacque tra la Belle Époque e le due guerre mondiali, nonché il periodo dei totalitarismi. Gli antichi nemici d’Europa, Francia e Germania, sono alleati, ma a mettere a rischio l’Unione Europea sono i nazionalismi che vengono dalle periferie: Ungheria e Polonia. Tuttavia, Heller teme che l’“Orbanismo” stia diventando modello di conquista del potere in molti Paesi insoddisfatti dalla gestione delle migrazioni e delle disparità economiche all’interno dell’Unione. La critica alla leadership UE è evidente: se non fosse stata burocratica e non avesse perseguito i propri interessi particolari, le imminenti elezioni non sarebbero così pericolose. Questo perché il nazionalismo etnico si è radicato nell’odio e nella paura verso lo straniero, verso l’altro. Eppure, la storia trova conferma nella genetica. Non tutti conoscono il DNA journey, un test promosso dall’agenzia di viaggi Momondo. Si tratta di un esperimento condotto a partire dal 2016 in 35 paesi, il cui slogan è: “An open world begins with an open mind” (“un mondo aperto inizia da una mente aperta”). Per la campagna promozionale 67 persone provenienti da tutto il mondo hanno fatto il test del DNA, scoprendo di avere molto più in comune con altre etnie e nazionalità di quanto avrebbero mai pensato:
(Testimone dell’esperimento) – Il test del DNA journey dovrebbe essere obbligatorio. Al mondo non esisterebbero cose come l’estremismo, se la gente conoscesse le proprie origini in questo modo. Chi sarebbe così stupido da pensare che esista una cosa come una razza pura?
Il partito Fidesz di Orbán ha trionfato alle elezioni europee e non esistono contrappesi indipendenti in Ungheria, a cominciare dall’università. Tutto ciò – teme la Heller – è una grave minaccia per l’Europa e per il futuro delle persone. L’insoddisfazione si unisce ad una nuova ondata di nazionalismo etnico, in cui il nemico ha bisogno di una faccia e qualcuno costruisce un bersaglio, un capro espiatorio: l’Unione Europea, gli immigrati, le comunità LGBT+ e le minoranze religiose. Questa macchina dell’odio funziona. Heller è fiduciosa, non si aspetta che gli estremismi di destra trionfino ma il fronte democratico liberale ne uscirà molto indebolito. La sua raccomandazione è quella di diffondere “promesse positive”, messaggi che trasmettano lo spirito di libertà e uguaglianza che fa parte del nostro continente. Servono leader capaci di affrontare i problemi materiali dei cittadini e delle cittadine, senza venir meno a quello spirito. La professoressa Heller ha 90 anni e si dimostra preoccupata da politici che promettono cose irrealizzabili (come l’eliminazione della povertà dal nulla o la distruzione dell’UE), perché quando non ci sarà più alcun nemico esterno, una volta distrutta l’Unione Europea, allora ci rivolteremo di nuovo l’uno contro l’altro finendo per farci guerra tra noi. Come se non ne avessimo già tante superato l’angolo di casa. Eppure rimane la fiducia di essere più forti di chi vuole eliminare il pluralismo. Cosa risponderesti a questa piccola ma forte donna che chiede idee positive per il futuro?
Venzon
Direi alla professoressa Heller che i giovani di Volt hanno avuto fiducia in se stessi, nell’Europa e in ciò che essa rappresenta, dunque nella nostra storia e nell’impegno di chi ci ha preceduto e ha lottato per costruire una casa sicura per le future generazioni. Volt ha creduto fermamente negli ideali che hanno fondato l’Unione Europea e ha accettato le sfide che il destino dell’Europa riserva al nostro presente, cioè migliorarla e renderla più responsabile, più competitiva, più vicina alle persone. Una promessa positiva che abbiamo fatto a noi stessi è stata quella di impegnarci per tornare a credere nella politica con Volt e includere in questo progetto tutti i cittadini e le cittadine europee. Questa promessa è stata mantenuta e continueremo a mantenerla, con una determinazione ancora più concreta, dal momento che Damian Boeselager, uno dei tre fondatori di Volt, è diventato il primo deputato di Volt al Parlamento Europeo. E sono fermamente convinto che se più persone come lei, come tutti i cittadini e le cittadine europee, ci aiuteranno in questo lavoro, allora potremo distruggere quella macchina dell’odio, con competenza, con speranza e con azioni concrete, propositive e davvero utili per la vita di ciascuna persona, il cui diritto è quello di vivere in sicurezza in Europa e il cui dovere è quello di averne cura rispettando la libertà degli altri, avendo un lavoro garantito e ben retribuito, scoraggiando l’illegalità.
Riferimenti
Bauman, Z. (2012), Oltre le nazioni. L’Europa tra sovranità e solidarietà. Laterza, Roma-Bari, 2019.
Derrida, J. (2018), L’Europa in capo al mondo. Orthotes, Nocera Inferiore (SA).
Geary, P. J. (2002), Il mito delle nazioni. Le origini medievali dell’Europa. Carocci, Roma, 2010.
Habermas, J. (2013), Democrazia o capitalismo? Castelvecchi, Roma, 2019.
Heller, À. (2017), Paradosso Europa. Castelvecchi, Roma, 2017.
Morin, E, Ceruti, M. (2013), La nostra Europa. Cortina Raffaello, Milano.
Morin, E. (2005). Cultura e barbarie europee. Cortina Raffaello, Milano, 2006.
Morin, E. (1987). Pensare l’Europa. Feltrinelli, Milano, 1990.
Patočka, J. (1975), Saggi eretici sulla filosofia della storia. Einaudi, Torino, 2008.
Link utili
https://www.momondo.it/letsopenourworld/ (progetto del DNA Journey).
https://www.youtube.com/watch?v=tyaEQEmt5ls&t=127s (testimonianze al DNA Journey)
http://www.minimaetmoralia.it/wp/lungheria-e-leuropa-agnes-heller/ (15 aprile 2019).
https://www.repubblica.it/esteri/2019/03/14/news/la_filosofa_agnes_heller_orban_e_un_infenzione_per_l_europa_intera_-221541666/ (14 marzo 2019).
https://www.stamptoscana.it/lunione-e-gli-estremismi-agnes-heller-attenta-europa/ (16 dicembre 2018).http://www.nuovomonitorenapoletano.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2012:intervista-a-agnes-heller-basta-con-i-muri-occorre-rispetto-nell-europa-divisa&catid=72:libere-riflessioni-eventi&Itemid=28 (10 giugno 2016).