Dionisio il Vecchio: Siracusa ai tempi del tiranno, dell’empio, del letterato, dello stratega
Ci sono anni che, come uno spartiacque, segnano una direzione per il successivo divenire. Anni che emergono come scogli nell’indifferenziato fluire del tempo, e avanzano la pretesa d’essere ricordati: per una pace o una guerra, perché hanno segnato un inizio o una fine. Ne scegliamo uno molto lontano, dimenticato anche dai volenterosi.
È il 387 a. C., quando Dionisio il Vecchio tiranno di Siracusa assedia Reggio e la conquista; o forse la distrugge, almeno così scrivono Diodoro Siculo e Strabone. Pare che il siracusano avesse chiesto di rafforzare una progettata alleanza con un matrimonio, dove lui era lo sposo: offensivi e irridenti, i reggini gli avevano offerto la figlia del boia. Da qui la vendetta. Togliendo però le fantasticherie, è nella posizione di Reggio che bisogna cercare un motivo.
Reggio è la prima città di là dello Stretto, presidia la “porta” fra Oriente e Occidente da sempre aspramente contesa. I coloni Ioni provenienti dalla Grecia avevano tentato di controllare ogni traffico con la fondazione di due città sulle due rive opposte: in Sicilia Zancle – che presto si chiamerà Messana – e di fronte Reggio. La distruzione di Messana da parte dei cartaginesi ha riacceso la guerra fra Siracusa e Cartagine: Dionisio subito la ricostruisce, popolandola con coloni a lui fedeli, poi con la vittoria su Reggio intraprende la colonizzazione dell’Adriatico.
Il 387 a. C. segna dunque il momento in cui il predominio di Siracusa raggiunge la massima estensione. È l’anno in cui le antiche colonie greche d’Italia s’assoggettano, e altre vengono fondate sulla costa dalmata e su quella italica. Dionisio si assicura così il controllo sulle rotte adriatiche e neutralizza i pirati etruschi che infestano quel mare. Strabone scrive di uno stanziamento siracusano ad Ancona, l’unico porto naturale prima di arrivare alle foci del Po dove si trova Adria, antico porto veneto-etrusco che
permette di sorvegliare il frumento padano in viaggio verso la Grecia.
Considerato che già Dionisio controlla la produzione illirico-danubiana e quella siciliana, in pratica ha il monopolio sulle importazioni granarie d’Europa. La Siracusa di Dionisio è una ricca, affascinante metropoli. Le colonie adriatiche le garantiscono beni preziosi come l’argento e il legname, l’emporio di Adria le consente di intercettare prodotti di lusso come i cavalli veneti, l’ambra e lo stagno venduti dai Celti: nel delta padano gli interlocutori dei siracusani sono proprio i Celti, protagonisti di un asse commerciale che acquista valenze politiche perché anche loro combattono contro etruschi e cartaginesi. La posta in gioco è il dominio sul Mediterraneo. E Dionisio, il più importante fra i greci di Sicilia, tenta di unire i greci d’Occidente contro i barbari cartaginesi, etruschi o italici. Durante il suo regno – dal 405 al 367 – Siracusa incarna il superamento della polis, diventa uno stato territoriale proiettato sul mare. E molto del suo potere è dovuto a Dionisio.
Nei secoli trascorsi da allora il tiranno ha subito l’ostilità delle fonti greche, dove è rappresentato come empio, perché l’empietà è il carattere dei tiranni che negano la democrazia. Ma con Dionisio il territorio di Siracusa ingloba buona parte della Sicilia, il meridione d’Italia e la costa adriatica. La lotta contro Cartagine è lo sfondo su cui si dispiega ogni vicenda, anche la presa del potere da parte di Dionisio.
Era il 409 a. C., anno in cui le litigiose città greche di Sicilia avevano permesso l’intervento dei cartaginesi: era stata Segesta a chiedere aiuto contro Selinunte e l’esercito presto sbarcato non s’era accontentato di vincere, aveva distrutto la città. L’offensiva era continuata nel 408 con la strage degli imeresi, qualche anno dopo la stessa sorte era stata riservata a Gela, a Camarina e ad Akragas – l’odierna Agrigento – malamente difesa dall’esercito siracusano.
Tutte città distrutte e ripopolate a ritmo vorticoso, in una Sicilia percorsa da eserciti in armi dove i collegamenti terrestri sono veloci, con battaglioni di cavalleria e carri da guerra a spostarsi senza posa. Nel 405 si tiene a Siracusa l’assemblea degli alleati contro Cartagine: serve una soluzione, mancano però le figure carismatiche per imporla a città tenacemente autonome, indebolite da conflitti interni dove i partiti non esitano a chiedere aiuto ai partiti amici di altre città o, com’era avvenuto con Segesta, al comune nemico cartaginese. Ma ecco che Dionisio prende la parola, attacca i generali che avevano combattuto ad Akragas: essi hanno tradito le aspettative dei cittadini, meritano d’essere condannati. È un giovane ambizioso. Mette sotto accusa un’intera classe di governo, riesce a farla destituire e saldamente s’insedia al potere.
Come primo provvedimento Dionisio raddoppia la paga dei soldati. La paura del pericolo cartaginese gli è utile a conservare il comando, la guerra è il filo conduttore di tutta la sua vita: di liberazione contro i cartaginesi e poi di espansione, per costruire l’impero siracusano. Il tiranno predilige i professionisti ben addestrati, i fedeli mercenari che arrivano da lontano: i primi stranieri arruolati sono i campani, a cui si aggiungono iberici, italioti, greci e celti. Assieme a loro arrivano artigiani e tecnici per costruire armi, navi, macchine belliche. Tutti quanti vengono gratificati con alte paghe e preziosi doni, la formazione dell’impero siracusano diventa una creazione collettiva. Alla corte di Dionisio, che è anche letterato, vengono inventate o perfezionate la catapulta e la quinquereme, temibile nave da guerra con cinque ordini di rematori: perché la flotta è essenziale a contrastare la potenza di Cartagine, e Dionisio pensa in grande.
Rimane sempre, impellente, il problema di finanziare progetti tanto audaci. Ma lo stesso l’impero di Siracusa è tutto proiettato nel futuro. Finché un trattato commerciale fra Roma e Cartagine, alleate per sconfiggere Siracusa, non mette in chiaro i rapporti di forza. Nel Mediterraneo c’è spazio per un solo impero. Non sarà quello di Siracusa.