Echi d’oltre mare- Vi racconto Il mio Erasmus- n. 4
Tra le tante domande che ricevo su questa città e sui suoi abitanti le più frequenti riguardano la cosiddetta “questione del velo”. Tuttavia suddetta questione è tutt’altro che semplice da trattare e, come tanti altri temi, viene spesso caricata di pregiudizi occidentali e affermazioni poco appropriate. Sappiamo anche che è uno dei temi più discussi oramai da decenni non solo in Italia ma nella maggior parte dei paesi europei. Per non far confusione è bene analizzare la questione per gradi e prendendo in considerazione diversi fattori che spesso non vengono analizzati nel momento in cui vengono formulate opinioni personali.
Il primo errore è sicuramente quello di parlare di “velo” in modo molto generico, considerata la vastità di paesi che il mondo islamico include al suo interno, ognuno dei quali con propri caratteri e leggi specifiche riguardanti l’utilizzo e il tipo di velo da portare. Pertanto la scelta di indossare o meno questo pezzo di stoffa da parte delle donne non ha solo una valenza religiosa ed estetica ma anche e soprattutto politica e sociale. C’è una sottile ma fondamentale differenza tra la possibilità di scegliere volontariamente, con consapevolezza e piena libertà, di indossare il velo e così facendo di autodeterminarsi; e l’imposizione per legge del suo utilizzo. Nel corso degli anni si sono verificate numerose manifestazioni al tal proposito che hanno visto le donne schierarsi da una parte o dall’altra. Tra le proteste più famose c’è per esempio quella di Teheran del ’79 causata da una legge varata dallo stato che rendeva obbligatorio l’utilizzo dell’hijab.
Un altro fattore da analizzare è quello generazionale. Penso sia necessario conoscere il contesto storico-sociale e politico in cui ogni donna sceglie o meno di indossare il velo e ragionare sul significato personale che ognuna di esse gli attribuisce. I numerosi cambiamenti politici ed economici, la globalizzazione e gli scambi sempre più frequenti con i paesi occidentali hanno fatto si che se in alcuni periodi l’utilizzo del velo fosse sempre più raro, in altri invece il suo uso si è moltiplico ed è stato adottato come simbolo di protesta o di identità nazionale.
Non dimentichiamo poi che esistono diversi tipi di velo, i cui particolari e vari colori e modelli vanno a caratterizzare ogni singolo paese islamico:
-Hijab: è il modello più diffuso e copre il capo e le spalle, lasciando scoperto il viso (spesso vengono utilizzati degli spilli decorati con perline per tenerlo fermo);
-Chador: copre tutto il corpo, oltre il capo e le spalle ma lascia scoperto il volto;
-Niqab: nasconde tutto il corpo e lascia scoperti solo gli occhi;
– Burqa: ricopre tutto il corpo, compresi gli occhi.
Fatte queste premesse vorrei adesso concentrarmi sulla mia esperienza nella capitale Tunisina. Il primo impatto, se devo essere sincera, fa un po’ effetto. Camminare per strada e vedere la maggior parte delle donne indossare il velo ti fa prendere subito coscienza delle differenze culturali del luogo in cui hai scelto di abitare. Dopo qualche settimana, però, l’effetto stupore svanisce e nasce in te la voglia di sapere, capire cosa davvero significa indossare il velo per queste donne . Muovendoti in diverse zone della città inizi anche a notare delle differenze: mentre in periferia la maggior parte delle donne indossa l’hijab o lo Chador, spostandoti verso il centro invece si può notare che alcune non lo indossano più o non lo hanno mai indossato e, ancora, in prossimità o dentro la Medina ci si può imbattere anche in donne che portano il più raro Niqab.
Questa distinzione è a mio avviso indice di una diversa e ampia stratificazione sociale e culturale all’interno di una grande metropoli come Tunisi.
Uno dei maggiori momenti di riflessione è scaturito anche dal confronto con due colleghe universitarie tunisine. Due amiche, due tipi differenti di velo: una di loro indossa l’hijab, l’altra lo chador, poco utilizzato dalle donne in città e tanto meno dalle sue coetanee. Dato l’uso poco diffuso di questo tipo di velo, le persone, anche se appartenenti al mondo islamico, inizialmente tendono ad essere restie nei suoi confronti, come conferma l’amica e come anche io ho avuto modo di constatare. La scelta di indossarlo con consapevolezza, nonostante il pregiudizio, mi ha colpita; scoprire in lei una persona totalmente diversa da ciò che l’abito austero può ingannevolmente far apparire mi ha colpita ancora di più. Alla domanda se il velo fosse per loro una loro scelta o un’imposizione, la risposta è stata assolutamente positiva. È una scelta consapevole e libera, contrariamente a quanto accadeva con Ben Alì quando, nel 2006, impose l’obbligo di non indossare il velo; esso era vietato nei luoghi pubblici, comprese scuole, università e posti di lavoro. Tale legge divise in due schieramenti la comunità femminile: chi la vedeva come una tanto desiderata conquista sociale e un passo verso la modernità, chi la viveva, invece, come una forzatura, una violazione dei propri valori e della propria fede.