Editoriale – La storia non se la fila più nessuno?
La storia non se la fila più nessuno? A prima vista parrebbe di sì. Considerata disciplina inutile dal senso comune, è diventata sempre più marginale nei programmi scolastici e universitari. L’ultima mazzata solo in ordine di tempo – ma sicuramente non l’ultima sulle povere e gracili spalle di Clio – è stata assestata dal MIUR che ha abolito la traccia di storia dalla prova scritta di italiano per gli esami di maturità. Ed è paradossale che una tale scelta sia stata compiuta proprio da quel ministero che, invece di promuovere la formazione culturale completa degli studenti attraverso un’equilibrata integrazione fra tutte le forme di conoscenza, andando anche controcorrente, si adegua allo spirito del tempo, per così dire, e ne assume tutti i caratteri più negativi.
Ma è poi così vero che la storia non incontri il gusto del pubblico? La risposta a questa domanda è complessa. E’ vero, se si pensa all’abisso che separa la ricerca accademica, anche di alto profilo, da una più ampia fascia di lettori non rappresentata dalla ristretta cerchia degli addetti ai lavori. E’ vero, se si pensa all’insegnamento scolastico e universitario, che non ha aggiornato tecniche e metodi e che non riesce a comunicare l’importanza della conoscenza storica come una delle forme privilegiate di rapporto con la realtà quotidiana e col presente. Non è vero, se si pensa allo straordinario successo delle fiction televisive e persino dei games ispirati alla storia, anche se l’invenzione artistica mescola continuamente il piano della realtà effettuale storica con quello della fantasia.
Ma torniamo agli esami di maturità. In un’intervista a “La Repubblica”, Luca Serianni, prestigioso linguista, coordinatore del gruppo di lavoro nominato dal MIUR per mettere a punto la riforma degli esami di maturità, ha difeso le linee ispiratrici della riforma con alcune argomentazioni che meritano un’adeguata analisi critica. Seguiamo il ragionamento di Serianni. L’obiettivo della riforma della prova scritta di italiano è quello di coniugare e verificare logica e competenza nella comprensione del testo letterario. Gli autori proposti abbracciano il periodo dall’Unità d’Italia al Duemila. Il testo deve essere impostato in modo rigoroso sulla base di un solo documento di appoggio e deve abituare lo studente alla sintesi e all’argomentazione. Deve ispirarsi a problemi di attualità e riferirsi a «tematiche inerenti l’orizzonte delle esperienze». La traccia di storia è abolita: la possibilità di svolgere argomenti storici è prevista solo nel saggio argomentativo a scelta.
Che dire? Sicuramente abituare lo studente a ragionare, ad argomentare logicamente, a dimostrare capacità analitiche e sintetiche, è sacrosanto. Tuttavia nel ragionamento di Serianni sono riconoscibili due limiti. Il primo è la presenza di un’anatra zoppa: la logica senza storia. Come può lo studente adoperare correttamente gli strumenti logici e comprendere un testo letterario senza fare i conti con la sua storicizzazione e con la dimensione del tempo? Purtroppo la letteratura che si insegna a scuola è sempre più destoricizzata, decontestualizzata: pertanto la sua conoscenza risulta monca, priva di basi essenziali per la sua comprensione. Si spiega così la marginalizzazione della storia nella prova scritta di italiano, come previsto dall’ennesima riforma degli esami di Stato. Il secondo limite: il primato del contemporaneo e del presentismo. Certo il periodo di riferimento degli autori proposti per la prova scritta di italiano è stato allargato: non solo il Novecento ma anche l‘età postunitaria. Tuttavia predominano sempre la concessione alle mode e l’idea che solo le tematiche di stringente attualità e legate all’esperienza possano e debbano entrare nell’orizzonte conoscitivo degli studenti.
Insomma il messaggio che, forse indirettamente e inconsapevolmente, invia il MIUR è che la storia è inutile per la vita. Con buona pace di chi si sforza di remare contro i pregiudizi e di insegnare, con tutti gli strumenti e le energie disponibili, che la vita è storia, anzi “nient’altro che storia”, per parafrasare un bellissimo libro del compianto Giuseppe Galasso.