Enrico Alliata. Imprenditoria e avanguardismo culinario
Enrico Alliata è il blasonato rappresentante di quei siciliani refrattari al piccolo mondo asfittico dell’aristocrazia isolana: anche se è carico di titoli, possedimenti, palazzi in città, ville e feudi. Nasce nel 1879, è un ragazzo quando Palermo ancora conserva un residuo di ambizioni presto soffocate dalle consuete dinamiche improntate al malaffare. Sono anni in cui la città aspira ad avere una propria identità culturale, e alcuni protagonisti adesso dimenticati le danno un respiro internazionale. Giovan Battista Guccia ha fondato il Circolo matematico, che non solo rappresenta l’Italia scientifica ma è la più importante organizzazione matematica del mondo; i Florio pensano al tono mondano, la belle époque è nell’aria e la recente apertura del Teatro Massimo lascia sperare in grandiosi successi futuri. Enrico Alliata appartiene a una delle più importanti famiglie isolane, viene educato per essere un signore e ha molteplici talenti. Ma la sorte non gli consente di indugiare.
È giovanissimo quando la morte del padre lo porta a rilevare la prima azienda vinicola siciliana, la “Duca di Salaparuta”. Ben presto mostra d’essere un imprenditore di tutto rispetto, durante la sua gestione l’azienda cresce in qualità e prestigio: per creare il bianco e il rosso della Conca d’oro Alliata va a Bordeaux, la patria dei vini curati come opere d’arte, poi torna in Sicilia portando dalla Francia tecnici e macchinari. Perfeziona la produzione, la tenuta di Casteldaccia è trasformata in un’azienda modello. Le etichette vengono diversificate, si aggiungono nuovi prodotti e i premi si moltiplicano. I vini prodotti a Casteldaccia sono serviti alla corte dei Savoia e nelle ambasciate d’Italia all’estero, l’intraprendenza di Enrico Alliata frutta persino un accordo con la Santa Sede e al clero viene consigliato di adoperare il vino Corvo nella celebrazione della Messa.
Quindi un capitano d’industria, che dalla periferica Sicilia esporta nel mondo un prodotto di grande successo. Ma Enrico Alliata è un pioniere anche in altri campi. Un suo libro, pubblicato nel 1930 da Hoepli, negli ultimi trent’anni è stato più volte ristampato da Sellerio, s’intitola Cucina vegetariana e naturismo crudo. Manuale di gastrosofia con raccolta di 1030 formule scelte d’ogni paese: è un libro molto bello, scritto con grande competenza e in una lingua ariosa, naturalmente ricca. Abituati a pensare che il classico della cucina italiana sia La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi, che amava il tacchino ripieno e i pasti con molte portate, il lettore curioso scopre con qualche sorpresa che nell’Italia del primo ‘900 esisteva anche un anti-Artusi: altrettanto godibile da leggere, con un una filosofia di fondo diametralmente opposta e molto più moderna. La cucina del duca di Salaparuta promuove la dietetica vegetariana a stile di vita, ma non è penitenziale. Tutt’altro. Le combinazioni sono molteplici e i risultati sorprendenti, la scelta vegetariana deriva da una militanza etico-filosofica che di nuovo ci rimanda alla Palermo del primo Novecento: quando accanto al glorioso Circolo matematico troviamo il Circolo filosofico di Giuseppe Amato Pojero, dove spesso si può incontrare anche Giovanni Gentile che dal 1906 insegna all’Università e presto sarebbe diventato l’indiscusso protagonista della vita culturale palermitana. Enrico Alliata frequenta il Circolo di Pojero, le discussioni sulla filosofia idealista ne rafforzano gli interessi già da tempo coltivati e aderisce alla teosofia, dottrina diffusa soprattutto in Inghilterra che considera la realtà come una manifestazione divina in continua evoluzione. La scelta vegetariana è solo una conseguenza, per non trovarsi implicati in orrendi delitti contro il genere animale.
Occorre sommare gli indizi perché, scrive Gioacchino Lanza Tomasi nell’introduzione alla Cucina vegetariana, nella Sicilia di un secolo fa non si usava conservare le memorie e tramandarle ai posteri. Sappiamo però che in quegli anni a Palermo non si discuteva solo di matematica o di filosofia. In tanti praticavano spiritismo e dottrine esoteriche, abbondavano i personaggi più curiosi: mai davvero conosciuti visto che, da allora, il grumo ideologico mafia/sicilianismo non ha mai smesso di occupare troppi spazi relegando ai margini ogni diversità.
Per tornare a Enrico Alliata, il sottotitolo del suo libro è manuale di gastrosofia: cioè la scienza che oltre la cucina coinvolge l’arte di coltivare e conservare i frutti della terra, l’igiene, la medicina. La gastrosofia è la scienza prediletta da Charles Fourier, il padre del socialismo utopico che recupera la “passione gastronomica” e, da vizio-privilegio per ricchi oziosi, ne fa il principio cardine per la produzione armonica dell’intera popolazione. È una nuova consapevolezza tesa ad eliminare la miseria e la malnutrizione, con il cibo che permette di inoltrarsi lungo un percorso esoterico da tutti praticabile
La cucina di Enrico Alliata non prevede ricette ma “formule”: nei vigneti di Casteldaccia dove produce i superbi Corvo rosso e bianco, nelle cucine del palazzo avito e nelle case più popolari il duca di Salaparuta non smette mai di essere fantasioso, conciso, gentile. Le sue “formule” dietro i fornelli praticano la medicina preventiva del vivere sano con leggerezza, mentre lasciano confluire il sapere accumulato nella ricerca del sapore.