La robba e la peste
L’articolo di Antonio Craxi e Rosa Di Stefano delinea in modo magistrale le tematiche connesse alla diffusione del nuovo coronavirus in tutto il mondo. Una lettura che apre degli scenari articolati e, soprattutto, non scontati, con una visione globale dei problemi non solo sanitari ma anche geopolitici e sociologici.
Un articolo che ha spinto la redazione a predisporre uno speciale, coinvolgendo in questo progetto anche gli storici e in particolare di Rossella Cancila, che analizza la peste del 1575 di Palermo e il ruolo fondamentale del medico Ingrassia nella gestione dell’epidemia e di Daniele Palermo che ci dà ulteriori dati sul fenomeno. Una riflessione articolata per riportare alla memoria la strenua lotta che da secoli si svolge tra l’uomo e i virus, con tutte le pratiche del caso per il per il contenimento della diffusione delle pandemie e delle malattie infettive.
Il mondo medievale e moderno conviveva con le epidemie che ciclicamente squassavano soprattutto le città. Ad esempio, per Palermo sono documentate una epidemia di peste intorno agli anni 1480, un’altra nel 1523, una epidemia di influenza nel 1557, una peste nel 1575-76, una non meglio identificata pestilenza nel 1591-92. Una presenza ciclica che richiedeva una strategia di sopravvivenza e di convivenza ampiamente sperimentata ma che aveva gravi ripercussioni sull’attività economica e sulla vita relazionale di tutti coloro che ne venivano coinvolti.
Una delle conseguenze delle epidemie era quello dello sconvolgimento degli assetti patrimoniali ed economici familiari, individuali e, soprattutto, collettivi: immobili abbandonati, linee di successione profondamente alterate, attività imprenditoriali in crisi, territori spopolati, campi non coltivati per mancanza di manodopera. Una realtà complessa che bisogna studiare cambiando la prospettiva di ricerca spostandola dal momento temporale dell’imperversare dell’epidemia al momento in cui cessa e i superstiti rientrano nei centri abitati e riprendono possesso di e campi abbandonati.
Testamenti e atti giudiziari costituiscono la fonte principale documentaria per leggere il dopo epidemia e gli sforzi dei superstiti per la ripresa delle attività produttive. Sfogliando i fascicoli del tribunale palermitano di prima istanza denominato “Corte pretoriana” leggiamo storie di immobili abbandonati per fuggire al contagio e ritrovati occupati, di fideiussioni bancarie annullate, di affitti non riscossi ma, allo stesso tempo, storie di nuovi immigrati che riempiono i vuoti demografici provocati dal contagio, di una attività intensa di costruzioni edilizie: insomma, di una ripresa pulsante della vita.
I testamenti scandiscono invece i tempi di un’accelerazione dei mutamenti generazionali e di un rimescolamento non solo delle linee di successione ma anche dei processi di redistribuzione dei beni familiari i cui assetti cambiano a causa dei vuoti provocati dalle epidemie.