Fact & Fiction
Letteratura e cinema per una “Nuova Storia”
Si possono avere opinioni discordanti sulla Storia, ma la Storia non può essere un’opinione. La velocità di immagini e comunicazioni, invece, negli ultimi decenni sta innescando un pericoloso cortocircuito, una moltiplicazione di narrazioni che rischia di travolgere le nuove generazioni, se il racconto storico non ritroverà una nuova “intensità”, capace di competere col vorticoso caleidoscopio del mondo.
Rivedere i modelli narrativi ormai non è più una scelta, ma una necessità, e si può raccontare la Storia, soprattutto quella del ’900, anche attraverso la letteratura e il cinema; idea che ha alimentato un vivace quanto problematico dibattito, partito dalla precedente riflessione della “nuova storia” – che riconosceva dignità di documento all’immagine fotografica e cinematografica – per interrompersi poi davanti alla più recente, formidabile accelerazione tecnologica, che ha prodotto uno sterminato universo di narrazioni (per lo più di fiction) che destabilizza non poco la possibilità di un “racconto unitario” della storia.
Cinema e televisione sono al contempo rappresentazioni dell’immaginario e produttori di quello stesso immaginario, capaci di rispecchiare il “pensiero medio” di un’epoca; e la storia si scrive, sempre di più, sotto la pressione delle “memorie collettive”, costruite anche dai media, siano esse fact o fiction. Questo rappresenta certamente un problema, per la possibilità di manipolazione, ma è probabilmente anche una grande possibilità. Perché se il metodo della “spiegazione storica” è una strategia retorica, e la storiografia non è altro che una forma di narrazione, il dissolversi del confine tra realtà e finzione, tra oggettività e soggettività, può paradossalmente alleviare il “peso della storia”, offrendo una percezione dei problemi correnti più, se non addirittura totalmente, realistica.
Se adeguatamente strutturato, attraverso elementi di fiction – letteratura, cinema o altro – lo storytelling di un determinato periodo (o di un fenomeno) storico, oltre a comporre un quadro più completo del sentiment di un’epoca, potrebbe aumentare la propria efficacia, facendo leva sulla suggestione dell’immagine ma soprattutto su una serie di elementi della sfera emotiva sui quali agisce solitamente la fiction, che portano a “sentire” soggettivamente determinate circostanze e problemi, attraverso una sorta di “memorabilità affettiva”.
Preoccupandosi di analizzare fenomeni e problemi, il racconto storico spesso non riesce infatti a costruire uno storytelling efficace quanto letteratura e cinema, capaci di catturare l’attenzione e invogliare a conoscere, capire e persino amare ciò che si sta raccontando, quasi partecipandovi. Parliamo evidentemente di autori e di opere significative, già filtrate dalla storiografia letteraria; che si collocano in determinati snodi della storia, che portano in scena – attraverso trame e personaggi fittizi ma verosimili – il complesso spaccato di un periodo, rivelandone caratteri profondi, e talvolta anticipando lo spirito dei cambianti dei tempi. Adeguatamente utilizzati, letteratura e cinema sono potenzialmente capaci di portare un lettore a “vedere” e “sentire” le vicende e i problemi del racconto storico, attraverso elementi più meramente umani e universali – emozionali ed istintivi – che possono allentare o sciogliere i nodi di ragionamenti analitici troppo rigidi, ancorati spesso a griglie ideologiche ormai inadeguate a cogliere la complessità del reale.
Dai modelli narrativi tradizionali, il discorso va ovviamente ampliato al rivoluzionario potere di internet, capace – al di là del lavoro svolto dalla produzione mediale – di influenzare il processo sociale di costruzione dei significati. Letteratura, cinema, radio, musica, televisione: dallo smartphone alle piattaforme di streaming, tutti i media sono spesso ormai integrati in un’unica tecnologia. E “integrato” è anche lo spettacolo offerto, che finisce col fondersi e confondersi con la stessa cultura sociale, con i media e le loro rappresentazioni. Accrescendo esponenzialmente la velocità e la qualità di immagini e suoni, i media digitali offrono sempre più una vera e propria “immersione” nello spettacolo del mondo, come in un videogioco. E la de-ideologizzazione delle nuove generazioni non è estranea a questa dinamica di apprendimento, in cui non è tanto importante il significato del messaggio, quanto la capacità del messaggio stesso di attivare delle sensazioni particolarmente intense. La capacità, cioè, di far entrare lo spettatore nello spettacolo, che al di là della qualità estetica deve essere soprattutto intenso e stimolante. Uno scenario affascinante quanto problematico, davanti al quale alcuni studiosi parlano addirittura di un «tramonto della realtà».
Dal punto di vista del racconto storico, la situazione è ancora più complessa, perché la tendenza a comprimere il tempo – nella velocità e nella varietà dell’offerta tecnologia – rende confusa la sua sequenza cronologica e produce quello che Manuel Castells ha definito un «timeless time», ovvero un tempo senza tempo, in cui convivono eventi e periodi diversi, senza problemi. Almeno apparentemente. Perché la seducente promessa di istantaneità dei media procede ormai a un ritmo impossibile; e il dramma più grande del «timeless time» è che, schiacciando la realtà in un continuo presente, si finisce per annullare il senso stesso della storia: perdiamo di vista, cioè, la strada che ci ha portato fino ad oggi, e non sapremo mai trovare i passi per arrivare a domani.
La nuova sfida del racconto della storia – che è la premessa di ogni altro storytelling, perché serve al racconto politico, economico, sociale – è probabilmente quella di attingere al grande patrimonio di materiali disponibili grazie al processo di digitalizzazione culturale avviato in questi anni; selezionando e utilizzando ogni elemento utile – anche di fiction, a partire dalla letteratura e dal cinema – non per cercare di ricostruire un’impossibile autenticità del passato, ma per dar vita ad un passato immaginario ma credibile, a partire da materiali autentici. Un approccio che – senza svilire la serietà di un percorso analitico – potrebbe aiutare a “sentire” i problemi, anziché semplicemente studiarli; e rivelarsi efficace per imprimere alla narrazione quell’intensità necessaria a stimolare nelle nuove generazioni – più cosmopolite e de-ideologizzate – curiosità, simpatia, affetto e infine la necessaria nostalgia nei confronti del passato, capace di dare una profondità e uno spessore al presente. Perché, se – come dice Orwell in 1984 – «chi controlla il passato controlla il futuro», è altrettanto vero che «chi controlla il presente controlla il passato». E questi siamo noi.