Fellini, la visione, la trasfigurazione
Per il centenario dalla nascita del maestro, la retrospettiva di Rai Movie
Nell’ambito dei festeggiamenti per il centenario dalla nascita di Federico Fellini, Rai Movie sta dedicando al grande regista una retrospettiva dal titolo “Fellini, realista visionario”.
In prima serata, il canale del servizio pubblico dedicato al cinema la previsto quattro film indimenticabili. A cominciare da “La dolce vita” (trasmesso lo scorso 20 maggio), proposto nella versione restaurata in occasione dei sessant’anni dalla vittoria della Palma d’oro a Cannes. A questo capolavoro sono seguiti poi “8½”, “I vitelloni” e “La città delle donne”. Per proseguire, in orario mattutino, con “Lo sceicco bianco” e “Ginger e Fred”. La rassegna si conclude in seconda serata con “La voce della luna” (il 24 giugno), “Fellini Satyricon” (il primo luglio) e infine con “Il Casanova di Federico Fellini” (l’8 luglio).
Accurato narratore, genio della macchina da presa, sublime ritrattista del nostro Paese e delle sue molte sfaccettature, il regista riminese è entrato nella leggenda grazie alla propria capacità di parlare attraverso la costruzione scenica e la macchina da presa. Come ogni altra arte, anche il cinema possiede un proprio linguaggio, dei codici di questa forma espressiva: Fellini è stato maestro, riuscendo a trasformare in immagini le emozioni prima ancora delle parole. Ogni movimento della camera, ogni inquadratura dei sui film, parlano direttamente al cuore dello spettatore, sottolineando ciò che accade in scena con un equilibrio perfetto tra dialoghi e silenzi, tra ragione e sentimento.
Quando si guarda una pellicola girata del maestro emiliano, infatti, non si tratta semplicemente di vedere un film, ma di viverlo tramite le sensazioni viscerali che questo suscita nel fruitore. Per questo, capolavori come “Amarcord” o “La dolce vita” sconvolgono inizialmente la parte razionale della mente, attraverso sequenze narrate in maniera disorientante per lo spettatore, preparandolo così alla successiva immersione all’interno della storia vera e propria.
“Seguendo Rossellini mentre girava Paisà mi parve improvvisamente chiaro, una gioiosa rivelazione, che si poteva fare il cinema con la stessa libertà, la stessa leggerezza con cui si disegna e si scrive”, affermava Fellini nelle proprie “Lezioni di cinema”.
Inequivocabilmente, delicatezza dei movimenti di camera nei suoi film è tale da risultare appena percettibile, del tutto consequenziale anche nelle sequenze maggiormente oniriche. Creando flusso di immagini coerenti anche quando, dal piano della realtà, il racconto filmico entra in quello emotivo, spesso visionario e malinconico. Tale peculiarità, questo stile unico e irripetibile, ha portato pellicole come “La strada”, “Le notti di Cabiria”, “Amarcord” e “8½” a vincere l’Oscar come migliori film stranieri, diventando dei punti di riferimento per la cinematografia mondiale.
Queste capacità, di scrivere con la cinepresa, di tradurre le parole in immagini, gli sono valse nel 1993 anche il premio Oscar alla carriera. Un tributo nei confronti di un uomo che affermava di fare film poiché incapace di fare altro. Eppure Fellini era stato anche uno sceneggiatore di fumetti, un vignettista ed un caricaturista, lavorando per qualche tempo a Firenze presso l’editore Nerbini su alcuni volumi dei periodici “420” e “L’avventuroso”. Questo grazie alla predisposizione naturale del maestro nella costruzione della scena, nella scrittura delle immagini e nella concatenazione delle sequenze visive di due arti narrativamente molto simili tra loro. Dalla fascinazione del regista per l’arte sequenziale nacque la collaborazione con il disegnatore Milo Manara.
I due lavorano insieme alla realizzazione del visionario “Viaggio a Tulum”. Pubblicata originariamente nel 1986, sotto forma di racconto edito sulle pagine del Corriere della Sera, la storia venne presentata come anticipazione di una pellicola che Fellini già sapeva non avrebbe mai girato.
Quando Manara gli chiese se gli sarebbe piaciuto vedere l’opera prendere vita attraverso i suoi disegni, in quanto stimatore del fumetto e ammiratore del disegnatore francese Moebius, il regista si dimostrò subito interessato a quella che sarebbe stata la prima tappa di una proficua collaborazione.
“Parlando di Fellini si usa spesso l’aggettivo visionario, che io, però, ho sempre trovato inesatto, riduttivo […] c’è un altro termine che io associo a Fellini, trasfigurazione. Fellini non vede e non ci fa vedere dei mostri al posto dei mulini a vento, ma attraverso di lui il mulino a vento si trasfigura e si rivela ai nostri occhi in tutta la sua mulinità, assumendo la sua vera essenza di Grande Mulino a Vento”.
Questa è solo un delle molte riflessioni di Milo Manara su sul maestro riminese, raccolte successivamente nel suo saggio “Il terzo occhio”, scritto per omaggiare il regista e la profonda influenza di quest’ultimo su molteplici aspetti del panorama artistico nazionale, dalla scrittura al fumetto e soprattutto nel campo del cinema.