Ripensare il tempo storico alla luce della pandemia Covid-19
Il “presente spaesato e la rilettura di Braudel
Siamo alla seconda tappa di questo percorso del lunedì, che ha preso l’avvio da una riflessione sui rapporti fra storia, cronaca, giornalismo. L’idea di base è stata la contemporaneità della storia: la produttività di un concetto proposto da Croce per ricostruire e interpretare l’attualità della pandemia.
Al tempo stesso, tuttavia, si è posta l’esigenza di un aggiornamento di quell’idea attraverso una rivalutazione della cronaca: non considerata, come ha ritenuto Croce, “storia morta”, ma rivitalizzata, per così dire, nel laboratorio di un’accurata sua storicizzazione. Solo così riusciamo a mettere insieme i pezzi della cronaca quotidiana e a preservarli nella memoria senza disperderli nella loro frammentazione e dotandoli di senso.
La premessa necessaria per un corretto svolgimento di questa operazione è il ripensamento del tempo storico così come esso è stato quasi codificato da Fernand Braudel, ormai oltre mezzo secolo fa, nel suo saggio famoso sulla dialettica della durata. La tripartizione fra la durata breve dell’avvenimento, la durata media delle strutture, quella lunga dei quadri di civiltà e delle mentalità non è più adeguata all’altezza del tempo presente.
Il Coronavirus ci ha messo di fronte ad un tempo sospeso, a volte indecifrabile. Nell’esperienza del nostro vissuto quotidiano convivono in equilibrio precario attimi, bagliori improvvisi e la percezione di un tempo quasi immobile, impercettibile nei suoi ritmi e nei suoi battiti. Stiamo vivendo sensazioni di un presente spaesato, che ci fa mettere in discussione le nostre radici, che ci provoca profonda inquietudine, destabilizzazione.
Esse sono accentuate dall’oscillazione continua fra il desiderio quasi utopico di ritornare ad uno stile di vita precedente, lo sviluppo del contagio e la più realistica previsione che nulla sarà come prima; fra la contrazione e la dilatazione del tempo della pandemia: un’oscillazione che ci obbliga a sacrificare progetti di vita, ad assumere nuove abitudini, ad allargare e allungare sempre di più lo spazio del distanziamento, considerato nelle sue più diverse fattispecie.
Tempo sospeso e presente spaesato, dunque. Le diseguaglianze economiche, sociali, culturali, accentuate dalla pandemia, si rispecchiano anche nelle differenze, nei dislivelli del modo di vivere il tempo. Ho già scritto su questo magazine e lo ripeto. Le condizioni del vissuto differenziano, gerarchizzano. Il malato, l’intubato, il paziente in terapia intensiva vivono il tempo della solitudine, la sua immobile inquietudine, lo stato di progressiva spersonalizzazione e di privazione del sentimento di individualità.
Oscillano fra la forzata e dolorosa immobilità dell’allettamento, la coscienza della sottrazione progressiva del tempo della vita, l’avvicinamento al tempo della morte.
Ma tempo sospeso e presente spaesato sono anche quelli di chi ha subito la perdita del lavoro, di chi vive la crisi della sua azienda, di chi non può progettare alcun futuro. Chi si trova lontano dagli epicentri della pandemia, chi si protegge cercando di osservare tutte le disposizioni di prevenzione, chi ha la fortuna di conservare un’attività professionale, di assicurare a se stesso e ai propri congiunti i mezzi economici di sussistenza deve comunque fare i conti con la paura del contagio che stravolge l’esistenza e i ritmi della quotidianità.
Tempo delle diseguaglianze, diseguaglianza del tempo. Dobbiamo chiederci come vive il tempo della pandemia il mondo degli “invisibili”, di chi, cioè, non emerge quasi mai sul proscenio dei media, dell’informazione: i senza fissa dimora, i reclusi nelle carceri, donne e uomini che svolgono lavori massacranti e precari, eccetera.
E, al polo opposto, i privilegiati economicamente e socialmente che, sciolti da ogni freno inibitorio, ingaggiano un corpo a corpo col tempo rischioso del contagio e si immergono nel cupio dissolvi dell’attimo fuggente del piacere, costi quel che costi. Lo aveva già efficacemente scritto Tucidide nella sua descrizione della peste di Atene. E sicuramente la diseguaglianza del tempo appare in tutta la sua evidenza nei comportamenti diversi delle generazioni: i giovani che, anch’essi costi quel che costi, sacrificano la salute del proprio corpo sull’altare dell’aperitivo, dell’assembramento nei baretti.
Ricostruire il tempo storico della pandemia significa fare i conti anche con tutto questo. Le prossime tappe del nostro percorso ci condurranno lungo un viaggio ideale dal presente al passato. Affronteremo temi diversi come la storia della solitudine, la storia dei movimenti no-vax, il tempo della malinconia, la gestione dei poteri nel tempo delle pandemie.
Al prossimo lunedì.
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