Il Festino di Santa Rosalia nei diari del Grand tour
Sfarzo e devozione, entusiasmo mondano e raccoglimento religioso negli occhi del viaggiatore
“Parlare di Palermo senza fornire dettagli sui festeggiamenti in onore di Santa Rosalia sarebbe come parlare di Napoli senza occuparsi di San Gennaro”.
Così nel 1896 Pierre Guitton de Prémorel, autore de Les guinées de lord Pennebrok: aventures en Sicile par Loïs de Kerval, introduce la sua descrizione del Festino. Aggiungendosi così ad un gruppo di illustri predecessori che, prima di lui, si erano cimentati in resoconti più o meno dettagliati dei festeggiamenti nei loro diari di viaggio a partire dalla prima metà del XVIII secolo.
Due erano soprattutto gli aspetti che colpivano i viaggiatori stranieri del XVIII e XIX secolo: la magnificenza dell’apparato scenografico che caratterizzava le celebrazioni e il coinvolgimento emotivo dei cittadini, la loro devozione, l’attaccamento ad una figura, quella della santa eremita, che sentivano come parte integrante della loro identità, motivo di orgoglio personale, familiare e urbano. Sentimenti, questi, che interessavano tutte le fasce della società palermitana, da quelle più povere alla nobiltà più vicina ai governanti del tempo.
A partire dal 1624, anno della pestilenza che costituisce l’evento chiave per la nascita del mito di Rosalia, la figura della Santuzza diventa un’entità culturale di dimensioni inedite, passando dalla sfera della devozione privata ad esclusiva trasmissione orale allo status di fenomeno di massa che influenza profondamente la cultura del tempo, a 360 gradi.
I viaggiatori stranieri che assistono ai festeggiamenti in suo onore reagiscono in maniera differente allo spettacolo di questa Palermo: se tutti sono impressionati dalla moltitudine che invade il Cassaro, dalla magnificenza degli apparati effimeri che ne costellano chiese e palazzi, dallo sfarzo delle cerimonie civili e religiose, soltanto alcuni ne vengono coinvolti emotivamente. Altri guardano con distacco – se non con un malcelato disprezzo, in alcuni casi – alla devozione e alla fede profonda che anima i palermitani nei confronti della santa.
Tra i primi spicca certamente Patrick Brydone, tra i più noti protagonisti del Grand tour, che nel 1773 così descrive il suo trasporto alla vista delle celebrazioni del Festino:
“In un tale contesto era impossibile per il cuore non allargarsi ed espandersi; il mio era spesso talmente colmo che a stento trovo le parole per descriverlo; e ho assistito alla rappresentazione di una tragedia con minore emozione di quella che ho provato davanti a una tale manifestazione di gioia. Ho sempre pensato che questo tipo di sentimenti fossero estranei allo sfarzo e alla parata; ma qui la felicità generale sembrava stillare realmente dal cuore: illuminava ogni volto, emanando affetto ed amicizia. Nessun contegno borioso, nessuno sguardo superbo; tutti sembravano amici ed eguali. […] Vi confesso che non ho mai visto niente di più incantevole e se la superstizione produce spesso questo tipo di effetti, vorrei sinceramente che ce ne fosse di più tra di noi. Mi sarei potuto gettare ai piedi di Santa Rosalia e renderle grazie per aver reso felici così tante persone”.
Già più distaccato appare il resoconto del 1782 di Jean Houel, viaggiatore altrettanto famoso, tra gli iniziatori del Voyage pittoresque: “I palermitani onorano questa santa con il più vivo entusiasmo; ne celebrano la festa con il massimo sfarzo. Un mese prima, tutti si abbandonano alla gioia; tutti i ricchi sperperano i loro soldi; tutti gli artisti, tutti gli operai si affrettano a lavorare per lei: tutti cercano di mostrarle il loro zelo. I mercanti portano dall’estero nuove stoffe, nuove mode, tutte le arti sono messe al lavoro: c’è un fermento generale in tutti gli animi, ogni individuo sembra assumere una nuova condizione; c’è un trasporto, un delirio, che non sembra possibile arrestare; si ha la percezione che sia l’effetto del grande amore per Santa Rosalia; tutto ciò che si fa sembra essere necessario, tutto sembra essere permesso. Accorrono a Palermo per questa solennità da ogni parte della Sicilia, dal Regno di Napoli e persino da tutta Europa; la maggior parte degli stranieri che si trovano in Italia non manca di attraversare lo stretto per godersi questa festa che dura di solito cinque giorni”.
Un anno più tardi Johann Wolfgang Goethe, visitando la grotta sul Monte Pellegrino, si sofferma a meditare sulla spiritualità della figura di Rosalia, contrapposta alla magnificenza dei festeggiamenti in suo onore:
“Regnava un profondo silenzio in quel luogo solitario e deserto; e quella rozza grotta, splendeva di lindezza; a vece dello splendore della pompa del culto cattolico, in Sicilia specialmente, si accostava quivi alla semplicità dei tempi primitivi”.
La riflessione di Goethe trova eco nel 1788 nel racconto di viaggio di Dominique Vivant Denon, che mette in discussione l’intero apparato celebrativo, tanto grandioso da porre in secondo piano la stessa figura della santa: “La festa di Santa Rosalia è la più brillante e divertente manifestazione di entusiasmo devozionale che abbia mai sperimentato; ma, di fatto, l’apparato scenico, i balletti e le celebrazioni spesso fanno passare in secondo piano l’interesse del soggetto principale. In questi festeggiamenti si perde di vista perfino Santa Rosalia, che può essere completamente trascurata”.
Non mancano descrizioni più entusiastiche e orientate all’interesse per la sfera mondana, come quella di Auguste De Savye del 1822: “Questa festa è molto allegra, e anima tutta la città. Poiché a tutti piace ostentare ricchezza, succede che gli artigiani lavorino molto e ne tragga guadagno il commercio. Nulla può essere paragonato al colpo d’occhio della strada di Toledo: la folla è accalcata su tutti i lati, in continuo movimento; e questo spettacolo è ulteriormente impreziosito dalla presenza delle signore elegantemente vestite, che decorano le finestre e i balconi delle case.”
Particolarmente suggestiva è anche la descrizione che fa del Festino William Henry Smyth nel 1824, caratterizzata da un completo coinvolgimento estetico: “Una festa superba celebrata annualmente dal 9 al 13 luglio, durante la quale la grande varietà di alberi, arbusti e fiori, il mormorio delle fontane, le gioiose melodie della musica e il radioso bagliore di ventimila luci, si combinano per incantare i sensi, e per ispirare delizia”.
Colpisce molto il parallelo proposto nel 1848 da Félix Bourquelot tra Santa Rosalia e note figure della cultura popolare di altre città, di ben altra natura: “Il Dio dei Palermitani si chiama Santa Rosalia. Le città italiane del continente hanno ciascuna una propria particolare simpatia per un certo personaggio di loro invenzione, un tipo piacevole e grottesco, che amano, che li rappresenta e a cui danno un nome: Brighella, Pantalone, Cassandrino, Pulcinella, etc. Tra i siciliani, più seri e meno ironici, l’entusiasmo è per i santi. Ogni città ha il suo. È Santa Rosalia che i palermitani pregano con più fervore, è a lei che indirizzano i doni più preziosi; è a lei che dedicano le cerimonie più lunghe e sfarzose. La festa annuale di Santa Rosalia, che inizia intorno al 10 luglio e dura cinque giorni, viene celebrata da tutta la popolazione palermitana; viene preparata con largo anticipo, si spendono ingenti somme di denaro e gli stranieri vengono in gran numero ad assistervi”.
Interessante è anche la valutazione politica che fa nel 1861 Anne-Marie-Charles de Bodin de Galembert dei festeggiamenti per la Santuzza: “In tutte le epoche, in tutti i paesi, si è sempre dovuto spendere molto per i piaceri della moltitudine. Il denaro speso in spettacoli effimeri suscita più entusiasmo di quanto si pensi; intrattenere la folla è uno dei mezzi più potenti per governarla. Gli uomini sono come i bambini: la loro rabbia è placata, i loro capricci sono risolti con i giocattoli”.
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Nello scorrere questa breve rassegna, appare chiaro come nella valutazione delle diverse reazioni dei viaggiatori stranieri allo spettacolo del Festino si intreccino vari elementi di natura storica, culturale, sociale, antropologica. I testi dei viaggiatori rappresentano efficacemente la percezione della distanza da un mondo che essi stessi, a partire da Patrick Brydone, contribuiscono a svelare al resto d’Europa.
Ad ogni diario di viaggio pubblicato, Palermo e la Sicilia entrano infatti nell’immaginario dell’Europa del tempo, arricchendolo di elementi nuovi ed eterogenei ed aggiungendo ancora oggi un’ulteriore chiave di lettura alla realtà del Festino di Santa Rosalia: l’orgogliosa rappresentazione di un’identità culturale tanto peculiare quanto aperta all’altro, al nuovo, al diverso, in un processo di continua comunicazione con l’esterno, indispensabile per la sopravvivenza stessa dell’intera comunità.
Per approfondimenti:
Beauty and Splendour. Le Arti Decorative siciliane nei diari dei viaggiatori inglesi tra XVIII e XIX secolo di Sergio Intorre | Palermo University Press
Questo volume di Sergio Intorre è il frutto di uno studio capillare che l’autore ha effettuato sui resoconti dei viaggiatori inglesi che arrivarono in Sicilia tra il XVIII e il XIX secolo, alla ricerca mirata di descrizioni inerenti le opere siciliane di arte decorativa viste nel corso dei loro itinerari. Le citazioni così raccolte hanno fornito un quadro d’insieme che è stato oggetto di studio scientifico e che ha dato vita a questa pubblicazione. L’interesse del volume sta quindi, innanzitutto, nell’originalità della ricerca condotta sui diari dei viaggiatori, che fornisce all’autore la possibilità di osservare e studiare un corpus di opere note e meno note ancora a diretto contatto con i collezionisti dell’epoca o nelle loro sedi originarie, cambiate nel tempo in seguito a vicissitudini di differente natura, come calamità naturali, interventi di restauro degli edifici, trasferimenti, acquisizioni, o, nel peggiore dei casi, furti o smarrimenti. Un ulteriore aspetto particolarmente affascinante è costituito dai commenti dei viaggiatori inglesi relativi alla devozione dei Siciliani nei confronti dei simulacri sacri maggiormente venerati nell’Isola e dei tesori che già in quel periodo si erano raccolti loro intorno, grazie alla devozione di nobili, monarchi, Viceré, persone comuni. Ai loro occhi appare spesso incomprensibile l’intenso rapporto tra i Siciliani e i loro santi protettori, che sottolineano di volta in volta con curiosità, divertimento, indignazione o perfino sdegno.
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