Quel mito che si autoalimenta
Due leggende, Franca e Ignazio Florio: la moda, il lusso, il declino. E una rappresentazione della realtà spesso adulterata
Continuare a riflettere sui Florio non è una scelta casuale, ma il desiderio di approfondire le riflessioni su questa famiglia, grazie alla documentazione che si è resa disponibile, per andare alla radice dei percorsi che hanno contribuito a costruire il loro mito che resiste e che si è consolidato in questi ultimi anni in letteratura.
Un mito che si autoalimenta con il desiderio di rivivere i momenti più affascinanti di una dinastia che corre consciamente o inconsciamente verso l’autodistruzione, verso il baratro della rovina economica non riuscendo a sintonizzarsi con la profonda trasformazione dell’economia mondiale. La leggenda si costruisce su due pilastri come l’affascinante Franca e Ignazio Florio. Franca con i suoi gioielli – con i suoi splendidi vestiti, con la capacità di vivere i momenti più appariscenti della società che contava in Italia – diventa la protagonista di una splendida favola, anche se sarà costretta per andare a Corte a chiedere alla banca di potere utilizzare i gioielli che le erano stati pignorati. Le cronache mondane palermitane si occupavano dei suoi spostamenti che delle attività imprenditoriali di Ignazio. Quei viaggi tra Roma, Parigi, la Riviera e la Svizzera; i ricevimenti in onore dei Savoia, del Kaiser, dei sovrani d’Inghilterra; le gare automobilistiche e le altre iniziative sportive.
Intorno a questa realtà si costruisce il mito dei Florio con i suoi yacht, le ville, con i giardini, mentre viene passato sotto silenzio la loro attività di imprenditori. Anzi, si accredita la tesi che la fine della Casa sia dovuta ad un vero e proprio complotto antimeridionale. Tesi ampiamente smentita da Rosario Lentini che sottolinea come “appaiono risibili alcune considerazioni sicilianiste sulla fine dei Florio e tra le più ricorrenti, quella secondo cui Ignazio jr. sarebbe stato vittima di un complotto antimeridionale ordito da Giolitti con la complicità della Banca d’Italia e della Banca Commerciale. I dati dicono ben altro: tra il 1894 e il 1902 si registrarono il fallimento del Credito Mobiliare e l’autoconsegna di Florio alla Banca Commerciale per mancanza di liquidità; da quel momento si consuma solo la sua residua credibilità – o meglio – quella del buon nome della Casa”.
In realtà la tragedia della Seconda guerra mondiale aveva posto la sordina al mito, e la famiglia originaria di Bagnara Calabra era presente nella memoria collettiva per la gara automobilistica che porta il suo nome. Gli studi di Romualdo Giuffrida e di Rosario Lentini hanno avuto il merito di riportare alla luce la vicenda Florio dall’ascesa al crollo finale. L’ulteriore articolato studio di Orazio Cancila ha delineato il percorso che ha segnato il declino economico della famiglia. E, soprattutto, ha tranciato alla base il mito che il crollo dei Florio fosse dovuto a responsabilità esogene attribuibile alla politica o alle banche. Le cause del tracollo erano endogene, legate ad errori di management e alla mancanza di comprensione delle profonde mutazioni che stavano interessando i mercati a livello mondiale.
Consolidandosi il mito inizia la seconda fase: la sua strumentalizzazione.
La predisposizione, cioè, di una tavola apparecchiata con pietanze nelle quali miti, mezze verità, falsi più o meno pacchiani sono serviti ai commensali, ai banchettatori più o meno affamati che cercano di saziare la loro fame di verità anche con queste pietanze adulterate.