Gli scritti e i discorsi di Francesco De Martino rivivono nel volume curato da Zanier
Francesco De Martino (1907-2002) è stato un insigne studioso del diritto romano. Autore della monumentale Storia della costituzione romana e della Storia economica di Roma antica, è stato esponente di spicco del movimento socialista italiano nella seconda metà del XX secolo e ultimo segretario del Psi prima della svolta del “Midas”, che il 15 luglio 1976 elesse Bettino Craxi alla guida del partito, carica tenuta per 17 anni.
Attraverso i discorsi e gli articoli politici, la sua figura viene ricordata nel volume Francesco De Martino, Sul socialismo e il futuro della sinistra. Scritti scelti e discorsi (1944-2000), edito da Biblion edizioni (Milano), introdotto e curato da Marco Zanier (premessa di Luigi Mascilli Migliorini e prefazione di Jacopo Perazzoli).
Tra il 1944 e il ’47 De Martino militò nel partito d’azione e dopo il suo scioglimento passò nelle file del Psiup, condividendo con Nenni e Basso, Lombardi e Morandi le scelte più importanti della direzione socialista. De Martino risultò tra i protagonisti della fase progettuale del partito, che avviò la stagione della collaborazione tra cattolici e socialisti e poi del centro-sinistra. Punto di arrivo, questo, della rielaborazione teorica e programmatica inaugurata nel 1955 e sancita nel ’57 al congresso del Psi di Venezia, dove in pratica si consumò la rottura del patto di unità d’azione con il Pci, che resisteva dai tempi del fuoriuscitismo antifascista.
Grazie al sostegno dei repubblicani di Ugo La Malfa, la formula del centro-sinistra, nata nel segno delle “riforme di struttura” invocate dai socialisti ma perlopiù osteggiate dalla Dc, in pratica portò in dote il meglio della tradizione azionista, rappresentata non solo da De Martino, ma anche da Lombardi e Foa, ad esempio, e dallo stesso La Malfa (per il fronte liberal-democratico).
Ed è proprio la fase dell’azionismo degli anni Quaranta a definire la matrice socialista del pensiero politico di De Martino. Richiamandosi al Socialismo liberale di Rosselli, eresia che “stava dentro e non contro il socialismo”, il suo credo si espresse nella sintesi perfetta dei concetti di libertà e giustizia: “La libertà – scrisse De Martino il 15 agosto 1944 sull’organo del Pda, L’Azione – non può essere un mito, un’idea astratta dalla realtà della storia, dai rapporti sociali, dagli interessi delle classi”; “[…] la libertà [non è] in sé generatrice di giustizia”. E aggiungeva: “La libertà non può negare le disuguaglianze individuali, perché essa è l’espressione massima dell’individuo. Una società di liberi non nascerà mai dalla pura e semplice libertà: la più liberale delle epoche storiche, il secolo decimonono, è stata l’epoca delle rovinose disuguaglianze sociali e si è chiusa in fallimento.
La libertà senza giustizia si risolve in una pesante oppressione dell’uomo sull’uomo ed essa stessa diviene (…) generatrice di reazione e di servitù”. Insomma, libertà e giustizia “non possono essere prevalenti l’uno sull’altro, altrimenti dovremmo essere dei liberali o dei comunisti”. De Martino guardò anche alla lezione risorgimentale di Mazzini, “apostolo di libertà e giustizia”, in grado di sciogliere e superare nella prospettiva di un “rinnovamento totale dell’uomo” – come affermò nel ’44 al congresso di Cosenza – “il dissidio del secolo decimonono e le crudeli esperienze del nostro secolo” (L’Azione, 15 agosto 1944).
Emerge giustamente dal libro il meridionalismo tenace ed appassionato di De Martino, che si collocò tra i temi gramsciani e la tradizione liberale del meridionalismo classico, cogliendo in particolare dall’elaborazione di Giustino Fortunato originali e suggestivi spunti interpretativi. Nei primi anni Cinquanta l’esperienza di Cronache meridionali (rivista politico-ideologica del Movimento per la Rinascita del Mezzogiorno, fondata con Alicata ed Amendola per dare vita ad una rappresentazione socialcomunista dei problemi del Mezzogiorno) servì a De Martino per condurre la sua battaglia contro la persistente continuità del latifondo, retaggio di antichi schemi feudali, e in favore della riforma agraria.
Dove ritrovare oggi le ragioni dell’attualità di Francesco De Martino socialista autonomista? Egli fu uomo del suo tempo, che visse interpretando le questioni poste dal proprio presente. E che, al di là di evidenti errori, dette un contributo originale allo svolgimento democratico della politica nazionale e al rinnovamento del socialismo italiano nella temperie della guerra fredda e nell’ambito di un sistema politico bloccato dal fattore K: dalla presenza cioè in Italia del più forte partito comunista d’Occidente, che naturalmente non consentiva alternative praticabili.
Nell’ultima fase della sua longeva vita, De Martino – strumentalmente utilizzato dai comunisti contro Craxi e la cultura riformista – provò, dopo il crollo del muro di Berlino, a ricercare vie nuove della socialdemocrazia. La proposta, dal chiaro respiro europeo, venne trascurata dai post-comunisti usciti indenni dal dramma di tangentopoli. I quali, consapevolmente, scelsero approdi differenti, rivelatisi il frutto di quella progressiva mutazione genetica che ha ben presto portato il Pds, Ds, poi Pd, a cancellare qualsiasi traccia della tradizione del riformismo socialista e liberale. La cui storica missione, nel segno della strada maestra indicata da Filippo Turati ad inizio Novecento, rimane ancora oggi quella di spendersi, nella libertà e nella democrazia, per rendere più giuste le società dell’Occidente capitalistico.