Da Palermo alla Laguna
L’archivio Scaldati approda a Venezia
Esistono diverse definizioni di archivio e della sua funzione. Secondo gli olandesi Samuel Muller, Johann Adrian Feith e Robert Fruin, «archivio è l’intero complesso degli scritti, disegni e stampe, ricevuti o redatti in qualità ufficiale da qualunque autorità o amministrazione, o da qualsiasi impiegato di queste, purché tali documenti, conformemente alla loro funzione, debbano rimanere presso la stessa autorità o amministrazione, o presso i suoi impiegati.».
Una definizione, sulla scia tratteggiata dagli archivisti olandesi, verrà delineata dal torinese Eugenio Casanova nel 1928 all’interno del suo volume Archivistica. Casanova definì l’archivio come «la raccolta ordinata degli atti di un ente o individuo, costituitasi durante lo svolgimento della sua attività e conservata per il conseguimento degli scopi politici, giuridici e culturali di quell’ente o individuo». Paola Carucci, nel suo Le fonti archivistiche: ordinamento e conservazione (1983), dà una definizione di archivio come un «complesso dei documenti prodotti o comunque acquisiti da un ente (magistrature, organi, e uffici centrali e periferici dello Stato; enti pubblici; istituzioni private, famiglie o persone) durante lo svolgimento della propria attività».
Il mese scorso il panorama culturale della città di Palermo è stato privato di uno dei suoi tasselli portanti in fatto di raccolte private, l’archivio Scaldati. Quest’ultimo, la cui sede era al numero 8 di Via delle Croci, ha trasferito il proprio patrimonio alla Fondazione Cini di Venezia, che conserva già le carte di Eleonora Duse, Paolo Poli e Aurél Milloss, e ora aggiunge un altro tassello importante acquisendone l’archivio.
Franco Scaldati soprannominato “il Sarto”, drammaturgo e regista, nativo di Motelepre, iniziò la sua carriera nel 1964 con la compagnia di Nino Drago, i “Draghi”. Il punto di svolta della sua carriera fu la messa in scena de Il pozzo dei pazzi (1974), realizzata dalla Compagnia del Sarto, da lui fondata tra gli anni ’70 e ’80. L’archivio è la testimonianza della prolifica carriera di un grande regista come Franco Scaldati e di una produzione drammaturgica molto vasta, caratterizzata da opere in palermitano.
Finora sono solo tredici le opere pubblicate, mentre si contano trentasei inedite e undici riscritture.
Il trasferimento da Palermo a Venezia lascia l’amaro in bocca ai figli di Scaldati, Gabriele e Giuseppe, che in un’intervista a Repubblica hanno dichiarato: “All’inizio abbiamo tentennato, non volevamo che il suo archivio lasciasse Palermo. Ma dopo sette anni in cui non è cambiato nulla crediamo che sia davvero la scelta migliore. Una grande opportunità”. Il fondatore del Teatro Libero, Beno Mazzone, ricordando Scaldati con affetto, in una dichiarazione ad Ansa ha espresso il proprio rammarico: “Dalla Sicilia si emigra anche da morti”.
L’archivio Scaldati rappresenta una testimonianza non solo di una prolifica carriera, ma descrive l’uomo. Che, parlando del suo lavoro, disse: “Io sono le persone incontrate; amate o odiate. Sono i libri che ho letto. I film che ho visto, i quadri contemplati, la musica che ho ascoltato e, più tutto questo lo conservo entro di me, e più appartiene agli altri”.