Fucile e Bibbia, boss devoti. Bagarella si sentiva simile a Dio
Negli ultimi tempi, con sempre maggiore frequenza, le cronache ci danno notizia del cosiddetto “inchino”, cioè la sosta di un santo, portato in processione, dinanzi l’abitazione del boss mafioso locale e ciò in segno di rispetto e quasi di sottomissione, nei confronti di quest’ultimo.
Così abbiamo appreso dell’“inchino” al boss di san Michele di Ganzaria, Francesco La Rocca, in occasione della processione del Cristo morto o di quanto accaduto durante la processione a Paternò in provincia di Catania, in occasione dei festeggiamenti della patrona del paese santa Barbara allorquando due cerei, portati a spalla da alcuni portantini, si sono fermati davanti alla casa della famiglia di un pregiudicato degli “Assinnata”, vicini alla cosca Santapaola. La processione si è fermata ed è stata intonata la musica del Padrino.
Altro episodio analogo è quello verificatosi nella frazione Livardi di San Paolo Belsito, allorquando un gruppo di fedeli decideva di fare sostare la statua della Vergine in un determinato punto del percorso rivolgendola verso l’abitazione di Agostino Sangermano, agli arresti domiciliari, esponente di spicco della camorra.
L’episodio più recente è quello che, a Corleone, ha visto la processione fermarsi davanti la casa di Riina, in via Scorsone 24. In questo caso, sembra che, Ninetta Bagarella, moglie di Totò Riina, al balcone, guardasse soddisfatta la vara di San Giovanni Evangelista. Quest’ultima peraltro ha sostenuto che quel giorno non si trovava a Corleone essendo andata a trovare il marito detenuto fuori dalla Sicilia. Resta comunque il fatto che la processione si è fermata dinanzi la casa del noto boss mafioso, attualmente detenuto in regime di 41 bis.
Questi episodi inducono alcune riflessioni sulla religiosità e devozione che molti esponenti, anche di spicco dell’organizzazione mafiosa, hanno, talvolta anche in modo plateale, professato. Gli esempi non mancano.
I mafiosi hanno sempre preteso di avere una loro religiosità.
Nei libri che parlano di mafia, ad esempio, si può quasi sempre vedere una foto degli anni Cinquanta, che ritrae il potente capo mafia di Mussomeli, Genco Russo, al centro di una processione in onore della Madonna dei Miracoli. Russo aveva una panca riservata nella Chiesa madre di Mussomeli. Calogero Vizzini aveva due fratelli preti, un cugino parroco e due zii Vescovi, Luciano Liggio non mancava mai alla messa domenicale, Nitto Santapaola, capomafia catanese, aveva realizzato nel suo covo di latitante un altare alla Madonna e teneva sul comodino la Bibbia e la corona del rosario. Per non dire dei famosi frati cappuccini di Mazzarino che negli anni 50 avevano trasformato il convento in un centro di attività illecite e di mafia. Ma connubi tra mafia e religione si riscontrarono anche all’interno delle Curie vescovili.
Una fonte altamente attendibile è certamente Mario Scelba, ministro di polizia dei governi De Gasperi e statista cattolico e per ciò non sospettabile di anticlericalismo. Scrisse Scelba nel suo libro di memorie : “Giuliano si era legato in amicizia con un monsignore (l’Arcivescovo di Monreale?) al quale aveva consegnato per le opere di carità delle somme di denaro, naturalmente rubato. In cambio il monsignore spesse volte aveva fatto ricoverare Giuliano in posti sicuri. (….) era stato nascosto in un convento di suore di clausura, dove era stato presentato dal monsignore, il quale garantiva che si trattava di un buon giovanotto” (Scelba, 1990, p.160)
La storia della mafia e le indagini condotte dagli inquirenti, ci danno uno spaccato di boss che pregano, che durante la latitanza ricevono preti per confessare i propri peccati, chiedono la celebrazione di messe, realizzano altari all’esterno delle loro sontuose ville o nelle cappelle interne.
Senza dire che negli archivi di molti comuni della Sicilia è possibile rinvenire delle foto di gruppo in cui si notano, in prima fila e l’uno accanto all’altro, il parroco, il sindaco e il capo mafia, in processione dietro la statua della Madonna. Quando Michele Greco, dopo un lungo periodo di latitanza, venne arrestato in un casolare nelle campagne di Caccamo, ricordo che vennero rinvenuti una Bibbia ed altri testi religiosi. Al processo dichiarò: “In questi anni di galera ho trovato conforto solo nella Bibbia che è la base fondamentale…”
Emblematico è il caso di don Mario Frititta. Don Frititta si recava presso il rifugio del boss Pietro Aglieri latitante, secondo il suo assunto, per celebrare messa e amministrare i sacramenti. Venne arrestato con l’accusa di favoreggiamento nei confronti dell’Aglieri in quanto vi era il sospetto che oltre a celebrare messa, gli incontri con quest’ultimo servissero a fare da tramite con l’organizzazione esterna e altresì che gli avesse consigliato di non pentirsi in caso di cattura perché “pentirsi e accusare gli altri non è da cristiani”. Don Frititta poi non era alieno da frequentazioni mafiose tant’è che celebrò le nozze di un altro efferato boss latitante. Giovanni Garofalo. Venne assolto in Appello in quanto avrebbe agito nell’esercizio di un diritto. In altri termini i giudici sostennero che si recava ad incontrare l’Aglieri esclusivamente per finalità inerenti al suo ministero sacerdotale.
Quando uscì dal carcere, trovò una folla che lo applaudiva e che implorava la sua benedizione. Il Padre provinciale dei Carmelitani, in disaccordo con l’Arcivescovo di Palermo, non soltanto non lo ammonì ma anzi lo elogiò:
Fra Mario ha svolto la sua opera pastorale con assoluta onestà (….) ha sempre operato per combattere la cultura mafiosa”. Come? E’ un mistero. Uno dei misteri siciliani. Se secondo la logica Dio e mafia costituiscono un binomio impossibile, sembra che ciò venga contraddetto nella realtà. Se infatti dopo le stragi di mafia e l’uccisione di don Pino Puglisi la Chiesa si è mostrata più attenta alla legalità assumendo delle chiare posizioni di condanna della mafia, tuttavia non può non riconoscersi come, specialmente nelle zone ad alta densità mafiosa, si sia assistito ad una sorta di condiscendenza della Chiesa verso Cosa Nostra che, in alcuni casi, sembra porsi come mediatrice del dialogo dei mafiosi con il loro Dio. Come si è visto infatti a proposito di don Frititta, vi sono preti, culturalmente vicini alla mafia, che, come è stato osservato, “ritengono legittimo supportare psicologicamente la latitanza di feroci killer con confessioni e assoluzioni: oppure che teorizzano che il mafioso debba confessare solo ciò che lui ha commesso, senza inguaiare o compromettere terze persone
Certamente non può non rilevarsi l’assoluto contrasto tra le azioni delittuose dei mafiosi e i valori religiosi evangelici. In proposito è interessante riferire quanto alcuni collaboratori di giustizia, ai quali è stata fatta rilevare questa contraddizione, hanno riferito. Ha dichiarato un collaboratore:
Guardi io sono religioso, certo mi vergogno ad andare dal prete e confessarmi, ora no, ora ci potrei andare. Ma quando ero mafioso non è che mi potevo confessare perché dovevo dire al prete che avevo commesso dei reati….ma io penso che sono religiosi (i mafiosi ndr) principalmente perché trovano una giustificazione ai loro misfatti. Certamente verrà difficile per Totò Riina passare per religioso. Anche lui sicuramente se lei avrà l’occasione di andarci a parlare sicuramente lui ci passeranno questi pochi anni di vita che ha, a leggere la Bibbia, i Vangeli, per come fanno tutti gli altri (ride) anche Michele Greco già quando c’era il maxiprocesso nell’87 parlava di Bibbia…..Per certe persone essere religiosi è una cosa essere criminali un’altra.
Altro collaboratore di giustizia dichiarava di essere religioso e che ogni domenica andava a messa con i figli. Alla domanda se non gli veniva difficile il sabato sparare e la Domenica andare a Messa rispondeva di sentirsi in colpa per quello che faceva precisando che in Cosa Nostra:
Non ho mai ammazzato una persona per me…non ho ammazzato le persone diciamo, per un oltraggio che hanno fatto a me….. Eppure io ho ammazzato tante persone che io non conoscevo, che a me non mi avevano fatto niente, e quindi…mi sentivo in colpa, a voglia che mi sentivo in colpa!
Rispondendo all’interrogativo sul contrasto tra la religiosità e l’uccidere, rispondeva di essersi posto l’interrogativo ma che non riusciva a darvi una risposta. “Ma allora se lo poneva? Anche allora me lo ponevo, perché le ripeto io ci andavo a Messa, non è che ci vado adesso a Messa, io ci andavo e ci portavo i miei figli ogni domenica a Messa, poi se lei considera i miei figli vengono tutti da una scuola religiosa, a pagamento, ma religiosa. Siete tutti religiosi in famiglia? Si.”
Dichiarava ancora di essere rimasto colpito dalla scomunica del Papa anche se lui non si sentiva scomunicato “perché…è difficile spiegarlo, uno ci dovrebbe essere dentro, in un contesto del genere. Cioè non che io mi voglio assolvere, perché non c’è niente che mi possa assolvere. Però tutti questi che parlano, che sono pieni di morale, di questo e di quest’altro, dovevano crescere a Palermo, per dire, in determinate famiglie…e poi diciamo, si vedeva le strade che facevano. Quindi lei dice nel mondo in cui vivevo la normalità era Cosa Nostra. A casa mia si! Perché da bambino io ho conosciuto carceri……”