«Nel mio sangue scorre sangue arabo»: Gaetano Basile e la terra degli emiri
Gaetano Basile torna a raccontare della Sicilia con il suo nuovo libro “La vita in Sicilia al tempo degli emiri”, pubblicato da Dario Flaccovio Editore. Un viaggio nel tempo alla scoperta dei siciliani di mille anni fa con l’aiuto dei cronisti dell’epoca, dallo sbarco sull’isola alla loro vita quotidiana a Balarm, Palermo in arabo, nei mercati, in casa e nell’harem.
Sicilia: “Ne parlo perché la odio”
Nello spiegare perché parli di Sicilia nei suoi libri, Basile non usa mezzi termini: «Ne parlo perché la odio». Eppure i suoi libri riscuotono grande successo proprio per il modo coinvolgente di raccontare quella terra arsa dal sole cocente, tra vizi, usanze e virtù degli uomini di un tempo passato, proprio quello da “Le mille e una notte”.
«Sono fuggito a Parigi a 17 anni perché odiavo la Sicilia – spiega Basile – ma lì tutti mi chiedevano di raccontare storie sul cibo e sulla mia terra. Questo mi ha sconvolto».
Il suo modo di raccontare i fatti con dovizia di particolari e con viva curiosità, sempre in modo schietto e diretto, cattura l’attenzione di un suo amico tunisino francese ed ebreo, come tiene a precisare Basile, che ai tempi dell’università a Parigi gli regalò un libro con le pagine bianche. «Tutto quello che mi hai raccontato scrivilo. Io lo guardai attonito – racconta l’autore – lui aggiunse: dice mio padre che tutto quello che racconti sulla Sicilia è talmente bello che va scritto».
Ma Basile non aveva ancora la minima intenzione di farlo.
Il tempo degli emiri
Dopo molti anni Gaetano Basile riapre il cassetto di una scrivania nella sua “stanza dei ricordi”, così la definisce, e ritornano alla luce fogli sparsi con appunti su storie, credenze, riti e curiosità sui siciliani di un tempo passato.
Marisa Dolcemascolo, imprenditrice e fondatrice insieme a Dario Flaccovio della omonima casa editrice a Palermo, pensa bene di mettere ordine a quel tappeto di pagine: «Gaetano, qui vengono fuori almeno un paio di libri».
E così dopo il recente successo riscosso anche con “La vita in Sicilia al tempo dei Borbone” (pubblicato ancora da Dario Flaccovio), Gaetano Basile si lascia prendere per mano dai cronisti del passato come Al-Nuwayri, Ibn al-Athir, Ibn Idhari, Ibn Khaldun, per parlare dei saracini, cioè i musulmani, del loro sbarco sulle coste siciliane, di Mazzara (si scriveva con due zeta) una mattina del 17 giugno dell’anno 827 e delle cronache sulla loro vita quotidiana, per trattare di religione, arti, mestieri cucina e sesso.
Il segreto della sua scrittura: nei suoi libri riesce a captare quello di cui ancora gli altri non hanno parlato e così avvia nuove ricerche fino alle scoperte più curiose.
Il lavoro bibliografico su La vita in Sicilia al tempo degli emiri conta la consultazione di circa trecento libri sugli arabi in Sicilia.
«Ho scoperto che sull’harem ci sono molte pubblicazioni, in parte memorie del tempo, in parte diari di ragazze che sono vissute fino a venti anni fa in un harem. Non molto è cambiato».
Fondamentali per la stesura di queste pagine sono stati gli studi, tra gli altri che l’autore ringrazia citandoli, di Henri Bresc e di Salvatore Tramontana.
Cosa c’è di arabo in un siciliano
Leonardo Sciascia scrisse che «i siciliani cominciarono a comportarsi da siciliani solo dopo la conquista araba». Basile riprende appieno questa considerazione aggiungendo che i siciliani non sono cambiati affatto e anzi precisa: «siamo sempre gli stessi».
«Gli arabi non hanno il senso esatto del tempo passato, come noi siciliani. Accomodano tutto secondo i loro bisogni: è la storia ad essere ai loro ordini, come i loro cavalli» scrive nel suo libro l’autore parlando della leggenda del cavallo arabo di re Salomone.
Lo scrittore Guy de Maupassant, che Basile cita nel libro, è rimasto a Palermo per circa tre mesi nell’anno 1883 e scrisse: «Nel siciliano si trova già molto dell’arabo, di cui possiede la gravità di movimento, ma quello che suscita l’impressione profonda dell’Oriente è il timbro della voce, l’intonazione nasale dei banditori per le strade».
Musulmani ed ebrei a Palermo
Proprio nei mercati la vita profumava di Oriente, come oggi. A tenere insieme musulmani ed ebrei c’erano la comune religione monoteista, interessi commerciali complementari e pure un’identica cultura alimentare: i musulmani osservanti delle prescrizioni coraniche dell’halal e gli ebrei di quelle kasher del kasherut. Ciò significa che: sono esclusi dall’alimentazione dei credenti le bestie “impure” come i maiali, i rapaci, i pesci senza pinne e squame, molluschi e crostacei. Tutto ciò finì per arricchire la cucina delle famiglie e conservarne per secoli un’identità che si confuse con quella siciliana.
La gente si incontrava per strada, e Suk al-ballarat, Ballarò, era un mercato senza regole, dove ognuno proponeva ciò che aveva da vendere. Le merci arrivavano dall’Africa e dal profondo Oriente, Iran, Iraq, Giordania. Insieme alle merci arrivavano le notizie, le informazioni dei dotti e dei poeti, i racconti de “Le mille e una notte”, una raccolta orale di novelle nate in Persia e che ebbe successo a partire dall’arrivo dei musulmani in Sicilia, e poi anche le avventure di Giufà.
Basile, ne “La vita in Sicilia al tempo degli emiri”, racconta anche dell’invenzione delle tonnare ad opera di musulmani ed ebrei. Una comunità di intenti espressa nelle cialòme, i canti dei “tonnaroti”, dall’arabo salam e dall’ebraico shalom.
Gaetano Basile cronista tra gli arabi
La sua curiosità lo trascina in giro per i mercati, nelle case, nella vita privata della gente, anche quella sessuale, considerato l’apposito approfondimento sul sesso al tempo degli arabi di cui parla nel libro. Gaetano Basile nell’anno Mille sarebbe stato semplicemente se stesso, ma con un altro vestiario e un qalam (una penna di canna secca) al posto della stilo. «Mi sarebbe piaciuto fare il cronista nella Sicilia di quel tempo – racconta divertito – perché mi piace ficcare il naso ovunque, anche nell’harem, riservato alle donne, di cui ho scritto».
I suoi racconti del passato si compongono come tessere anche nella sua vita presente. Come un gioco del destino, lui con uno sceicco ci ebbe proprio a che fare per motivi di lavoro, a Palermo. Dopo le visite alla scoperta dei siti arabi sotto la guida di Basile stesso, al momento dei saluti successe qualcosa di inaspettato.
«Capisco che lei è abituato a ricevere regali più importanti – così lo scrittore dice allo sceicco – ma posso omaggiarle un libro di poesia, dei poeti arabi di Sicilia, con la traduzione in arabo» lo sceicco rimane sorpreso e lusingato allo stesso tempo.
Sfoglia le pagine, inchina il capo, avvicina il libro al petto e lo ringrazia dicendo: «È il regalo più bello che abbia mai ricevuto nella mia vita. Un libro».