Le carte ritrovate di Gesualdo Bufalino
La Sicilia, l’identità, l’eleganza della parola: c’era già tutto nella sua tesi di laurea
“Le carte ritrovate di Gesualdo Bufalino. Per un’archeologia della cultura italiana” è il titolo della giornata di studi dedicata allo scrittore comisano dall’Università di Palermo, a conclusione della Settimana delle biblioteche universitarie. Ma potrebbe anche essere l’incipit di una bella storia, come poi è realmente stata tutta la sua letteratura.
L’occasione per la piena riuscita di questo magnifico incontro è stata data dal ritrovamento, lo scorso anno, di un fascicolo contenente la tesi di laurea e altri documenti universitari dell’autore. Attraverso la risistemazione e la riscoperta dell’archivio storico dell’ateneo palermitano, che rappresenta una vera e propria miniera, è venuta infatti alla luce questa documentazione, che realisticamente illustra in maniera indelebile il percorso universitario a Palermo dello scrittore. Ma è soprattutto la lettura della tesi di laurea dello “studente Bufalino”, scritta in un italiano elegante e bellissimo, che traccia un sentiero che ci conduce alla vera essenza dell’intellettuale: l’eleganza, appunto, della parola.
Quest’incontro, in cui sono intervenuti studiosi di primo piano (tra i quali Nunzio Zago, direttore scientifico della Fondazione Gesualdo Bufalino), non ha fatto altro che analizzare la preistoria di Bufalino prima che entrasse di diritto a far parte della storia della letteratura.
La Sicilia di Gesualdo Bufalino
Disegnando le principali linee di sviluppo della poetica di Bufalino si riescono a scandire i motivi che ricorrono con più frequenza nelle sue meditazioni e la sicilianità è certamente uno di questi. Ne emerge il ritratto di uno scrittore metaforico, allusivo, dotto, a volte tagliente, ma che dimostra, con l’umiltà di chi schiva il facile successo, che si può fare letteratura scegliendo comunque di rimanere sé stessi.
Isole dentro l’isola: questo è appunto lo stemma della nostra solitudine, che vorrei con vocabolo inesistente definire “isolitudine”.
Gesualdo Bufalino stabilisce, per tutta la vita, la sua dimora in Sicilia, e in particolare nel suo paese natale. La sua voce riconduce all’isola di opera in opera e soprattutto sviluppa il suo itinerario tra un passato e un presente strettamente ancorati a quel paese che giace ai piedi degli Iblei, appunto, Comiso.
[…] dei ventitremila giorni e passa che ho vissuto finora, ne avrò trascorso in questo luogo almeno ventunmila […].
In effetti, la Sicilia è la componente essenziale, la protagonista centrale della sua produzione artistica; la sua scrittura diventa occasione per immergersi in momenti particolarmente affascinanti di contemplazione di quel regno di storia, cultura, paesaggi. In Bufalino raccontare dell’isola, della vita del suo paese significa soprattutto narrare e ripercorrere le fasi della propria vita.
Dalle sue pagine si ricava così un’immagine nuova della Sicilia, una terra sì contraddittoria ma indagata e analizzata con un metodo affettivo ed emotivo. Le mille facce della sua isola sono raccontate in una prosa e in un fluire narrativo che conservano le tonalità chiaroscure tipiche di questa terra, pervase dall’affetto e dalla comprensione tipica di un figlio nei confronti della propria madre.
Impossibile per uno scrittore siciliano non scrivere della Sicilia: della sua gente dei luoghi, della storia, dei vizi, delle virtù […] Di qualunque argomento ragioni, anche il più eccentrico, il siciliano ragiona in effetti sempre della Sicilia, e di sé dentro la Sicilia, e della Sicilia dentro di sé. Esplicitamente o copertamente; ripetendosi o correggendosi o contraddicendosi[…] in un perpetuo processo d’approssimazione a una nebulosa che fugge.
Ma la Sicilia si afferma e vive nelle sue pagine anche nei dettagli: frasi idiomatiche, gesti, silenzi comunicativi, atmosfera generale, inconsciamente ricevuti e tramandati. In questo palcoscenico della vita siciliana, Bufalino è, insieme ai suoi personaggi, protagonista pienamente dentro la sua terra, spettatore e testimone degli eventi. In ogni brano penetra e domina una Sicilia tratteggiata al di là dei soliti stereotipi di omertà, onore, gallismo, mafia. E non perché l’autore neghi la triste aneddotica che ha reso “famosa” la sua terra, ma per l’umiltà di non sapere sovrapporre alle tante già divulgate una spiegazione più acuta, un’indignazione più calorosa, una speranza più attiva.
Per Falcone e Borsellino
È doveroso citare cosa scrisse Bufalino quando la mafia giunse all’apice della sua malvagità. Lo fa nel Guerrin Meschino, il libro che racconta fiabe e invenzioni calate nella dolorosa realtà siciliana. Chi parla è un puparo che interrompe il suo spettacolo, intitolato a Guerrino detto il Meschino, in ricordo della morte dei “paladini della giustizia” Falcone e Borsellino:
Chiuso per lutto
(23 maggio 1992; 19 luglio 1992)
Basta così, giù il sipario, non me la sento stasera. Si chiude. Vi rimborso il biglietto.
Lasciamo Guerrino per un bel po’ a sbrogliarsela con le tenebre sul ciglione dell’abisso.
Gli farà bene vegliare anche lui in questa Notte d’Ulivi della Sicilia […]
Sicilia santa, Sicilia carogna […] Sicilia Giuda, Sicilia Cristo […] Battuta, sputata, inchiodata
palme e piedi a un muro dell’Ucciardone, fra siepi di sudari in fila e rose di sangue marcio
e spine di sole e odori, sull’asfalto, di zolfo e cordite […]
Isola leonessa, isola iena […] Cosa di carne d’oro settanta volte lebbrosa […]
No, non verrà Guerrino a salvarla con la sua spada di latta a cavallo di Macchiabruna […]
Nessun angelo trombettiere nel mezzogiorno del Giudizio suonerà per la vostra pasqua,
poveri paladini in borghese, poveri cadaveri eroi, di cui non oso pronunziare il nome[…]
Non vi vedremo mai più sorridere col telefono in una mano e una sigaretta nell’altra,
spettinati, baffuti, ciarlieri […] Nessuna mano solleverà la pietra dei vostri sepolcri…
Nessuna schioderà le bare dalle maniglie di bronzo […]
Forse solo la tua, bambino.
La cultura siciliana
Focalizza così la sua attenzione sulle millenarie culture che sopravvivono, in bilico tra il racconto e la riflessione: è un modo affettuoso per dedicare quasi un inno alla sua Sicilia, per descrivere un’immagine sana di essa, com’era una volta, e distogliere lo sguardo dalla sua solita immagine di terra amara e sanguinaria, dove il sangue s’asciuga adagio ai piedi di un vecchio ulivo.
La Sicilia ha avuto la sorte di trovarsi a far da cerniera nei secoli fra la grande cultura occidentale e le tentazioni del deserto e del sole, tra la ragione e la magia, le temperie del sentimento e le canicole della passione. Certo per chi ci è nato dura poco l’allegria di sentirsi seduto sull’ombelico del mondo, subentra presto la sofferenza di non sapere districare fra mille curve e intrecci di sangue il filo del proprio destino.
La storia dell’isola quindi è un fenomeno talmente complesso, per cause di ordine storico, politico, sociale, economico, climatico da far considerare a Bufalino che dal cuore del Mediterraneo emergano tante e colorate Sicilie:
[…] la Sicilia verde del carrubo, quella bianca delle saline, quella gialla dello zolfo, quella bionda del miele, quella purpurea della lava. Vi è una Sicilia “babba” cioè mite, fino a sembrare stupida; una Sicilia “sperta”, cioè furba, dedita alle più utilitarie pratiche della violenza e della frode. Vi è una Sicilia pigra, una frenetica; una che si estenua nell’angoscia della roba, una che recita la vita come un copione di carnevale; una, infine, che si sporge da un crinale di vento in un accesso di abbagliato delirio […].
L’identikit del Siciliano Assoluto
E così, tra il serio e l’arguto, tra un riferimento storico e uno sfondo sociale, esamina le molteplici sfaccettature della natura essenziale dei siciliani e traccia quasi per gioco l’identikit del Siciliano Assoluto, un vero e proprio ritratto comportamentale, in quattordici punti:
- Tendenza a surrogare il fare col dire. Pessimismo della volontà;
- Razionalismo sofistico. Il sofisma vissuto come passione;
- Spirito di complicità contro il potere, lo Stato, l’autorità, intesi come “straniero”;
- Orgoglio e pudore in inestricabile nodo;
- Sensibilità patologica al giudizio del prossimo;
- Sentimento dell’onore offeso (ma spesso solo quando il disonore sia lampante e non prima);
- Sentimento della malattia come colpa e vergogna;
- Sentimento del teatro, spirito mistificatorio;
- Gusto della comunicazione avara e cifrata (fino all’omertà) in alternativa all’estremismo orale e all’iperbole dei gesti;
- Sentimento impazzito delle proprie ragioni, della giustizia offesa;
- Vanagloria virile, festa e tristezza negli usi del sesso;
- Soggezione al clan familiare, specialmente alla madre padrona;
- Sentimento proprietario della terra e della casa come artificiale prolungamento di sé e sussidiaria immortalità;
- Sentimento pungente della vita e della morte, del sole e della tenebra che vi si annida…
Alla fine suggerisce al lettore di riflettere e di esaminare se almeno in dieci di questi elementi si riconosca.
L’amore di Bufalino: Comiso
La Sicilia di Bufalino è un piccolo mappamondo che gli offre sempre occasioni per percorrerla, per visitarla. I viaggi del nostro autore, o come li definisce egli stesso visite brevi, sono circoscritti in uno spazio ristretto che va da Comiso al fiume Ippari che lo bagna, da Linguaglossa a Messina, da Siracusa a Noto a Cava d’Ispica.
Ma alla fine ritorna a Comiso, il suo universo, dove si abbandona alla nostalgia di com’era una volta:
[…] era bella, Comiso, nel ventisette, nel trentadue, nel trentacinque. Bella ma povera; lieta ma povera.
Lo scrittore è intento a cogliere e a rivivere l’atmosfera della Comiso della sua infanzia e giovinezza, della Comiso dei suoi ricordi.
Sono ricordi che risalgono al tempo dei lampioni, dei lumi a petrolio, eppure brillano come fiabe. Perché io qui, nella mia infanzia remota, ho vissuto giorni lucenti, fra arrotini, pittori di carro, maniscalchi, conciapelli, cavadenti, cavasangue, reggitori di ventura, suonatori di serenate […] Tutto un esercito di gloriosi straccioni peripatetici che ancora grida nella mia memoria.
E i ritratti dello scrittore continuano in queste immagini suggestive ed incantevoli, che immortalano la Comiso di una volta; pezzi del suo paese e pezzi della sua vita passata, ricostruiti attraverso il ricordo, compongono il mosaico della sua identità.
L’autore dunque, nella sua piena maturità, torna a rivisitare il suo paese com’era cinquant’anni prima, come si presentava agli occhi di un fanciullo che si affacciava alla vita e tristemente osserva la sua Comiso diventare famosa, nei primi anni ’80, perché destinata a base nucleare per l’installazione dei missili Cruise. Avverte l’esigenza di riappropriarsi dell’antica fisionomia del paese e ricreare così il mondo genuino della sua infanzia.
È ben evidente il riflesso della radicale solitudine di un popolo, a cui Bufalino appartiene, quello siciliano, giacché con i luoghi in cui si vive non si stabilisce un rapporto solo geografico ma anche un rapporto psicologico e culturale.
Fonti:
- BAZOLI G., Nella mia Comiso aspettando i missili, «L’Ordine», dicembre 1983.
- BUFALINO G., Opere 1981-1988, introduzione di M. Corti, a cura di M. Corti e F. Caputo, Bompiani, Milano 1992.
- BUFALINO G., Il fiele ibleo, Avagliano, Cava dei Tirreni 1995.
- BUFALINO G., Il Guerrin Meschino, Il girasole, Valverde (CT) 1991.
- BUFALINO G., Saldi d’autunno, Bompiani, Milano 1990.
- GALLUZZO L., Storia d’un letterato di provincia raggiunto da inevitabile successo, «Corriere del Giorno», 15 gennaio 1982.
- ONOFRI M., Gesualdo Bufalino: “la mia vita a Comiso”, «Giornale di Sicilia», 14 giugno 1992.
- WRONA N., Noi terroni, figli di Federico II, «Quotidiano», 24 luglio 1989.