Gesualdo Bufalino, la tesi ritrovata a Palermo
Durante i lavori di trasferimento del materiale custodito nell’archivio storico dell’Università di Palermo al convento seicentesco di Sant’Antonino è stata ritrovata la copia destinata alla Segreteria della tesi di laurea di Gesualdo Bufalino.
La scoperta all’Università di Palermo
Il dattiloscritto, di 90 pagine, ha il titolo “Gli studi di archeologia e la formazione del gusto neoclassico in Europa” (1738 – 1829) e l’indicazione dell’anno accademico 1945-1946. In realtà lo scrittore comisano si sarebbe laureato a Palermo nel marzo del 1947, dopo avere ripreso gli studi, interrotti bruscamente a Catania in seguito alla chiamata alle armi. Sotto la guida del noto antifascista toscano Silvio Ferri (1890-1978), che dal 1° dicembre del 1940 insegnava archeologia nell’ateneo palermitano.
“Una coincidenza davvero singolare, questa del ritrovamento della tesi di laurea di Bufalino, se si considera che cade proprio nel centenario della nascita dello scrittore, e che mostra ancora una volta la vitalità di un luogo della memoria e dell’identità come l’archivio storico sul quale la governance dell’Università di Palermo è tornata in questi ultimi anni a investire, con convinzione, risorse ed energie.
È questa – afferma Mario Varvaro, delegato del Rettore all’archivio storico di ateneo – senza dubbio un’occasione feconda per la comunità scientifica di studiosi e di lettori dell’opera di Bufalino, per riscoprire l’europeismo e l’originalità di uno scrittore d’eccezione che ha fatto della biblioteca e del dialogo con le voci dei libri la metafora più eloquente della propria attività letteraria”.
Gesualdo Bufalino, il “sacerdote del bello”
In provincia di Ragusa, a Comiso, nasce e opera uno degli scrittori contemporanei più raffinati della letteratura italiana.
Scrittore coltissimo, ironico e poliedrico, Bufalino è tra gli autori siciliani più significativi nel panorama letterario italiano. I temi trattati, le particolarità delle sue scelte di vita, le sue amicizie e le sue passioni raccontano molto. Per esempio come lo scrittore abbia approfondito il legame con la sua terra evitando i preconcetti che tendono a dare una lettura mafiocentrica dell’isola, sottolineando invece il rapporto intercorso fra il suo animo e la natura, la cultura e il paesaggio della Sicilia.
Testimone vigile dell’ambiente, coglie l’impeto vitale e la dimensione teatrale dei suoi conterranei impegnandosi, nel suo percorso letterario, a ricostruire una cultura che sta per morire e a far tornare alla luce spaccati di vita sconfitti dal tempo, facendo trasparire un velo di malinconia per le bellezze di un paesaggio che tende ormai a scomparire.
In Gesualdo Bufalino subentra la consapevolezza che non solo il tempo trascina tutto con sé, ma anche che la violenza dell’azione distruttrice dell’uomo trasforma i territori siciliani. La sua arma vincente, capace di fermare per un attimo il tempo che sopprime cose, luoghi e persone, è la scrittura, coltivata come un “vizio”, così come la solitudine.
La Fondazione Bufalino
Fondamentale strumento di lavoro per descrivere l’uomo e lo scrittore si rivela la sia biblioteca, che costituisce oggi l’ossatura della Fondazione Bufalino. Intorno alla quale attraverso la lettura delle sue opere, consultando la bibliografia critica, leggendo le varie interviste rilasciate a giornali e riviste e sfogliando i libri posseduti dall’autore comisano, è possibile ricostruire la personalità di un intellettuale che ha contribuito a dare lustro alla sua, “Città teatro”, e alla Sicilia.
Questo percorso, suddiviso in quattro appuntamenti (I. Gesualdo Bufalino, sacerdote del bello; II. I temi cari a Bufalino; III. Bufalino e la sua biblioteca nella “città teatro”; IV. Le passioni di Bufalino), ha l’obiettivo non solo di delineare la figura di Gesualdo Bufalino, ma scoprire anche l’enorme eredità che ci ha lasciato.
L’infanzia, la lettura, i primi versi
Per meglio comprendere la caratura del personaggio e soprattutto dell’intellettuale percorriamo i punti salienti della sua vita che ne denotano così anche la formazione culturale e i perché di alcune sue scelte narrative.
Bufalino nasce a Comiso, in provincia di Ragusa, il 15 novembre del 1920. Il padre, Biagio, è fabbro, ma nonostante la sua modesta istruzione nutre un’autentica passione per la letteratura. Un interesse che saprà trasmettere al figlio durante le serate trascorse giocando con un vecchio dizionario Melzi o leggendo insieme le avventure di Guerrin Meschino. Già da ragazzo si dimostra un divoratore di libri e della carta stampata in genere, malgrado le ristrettezze economiche della famiglia, aggravate dalla recente prima guerra mondiale.
Nonostante l’impossibilità di comprare ogni giorno un quotidiano, che divora al pari dei libri, Gesualdo si arrangia in ogni modo per procurarsi sempre qualcosa di nuovo da leggere. Intorno ai dieci anni compone i primi versi.
Nel 1936 si trasferisce a Ragusa, dove inizia gli studi liceali, ma l’anno successivo torna a Comiso, divenuta sede di Liceo classico, dove ha come insegnante di lettere Paolo Nicosia, un valente dantista, allievo di Giovanni Cesareo. Studente diligente e interessato, portato per la scrittura, vince per la Sicilia, nel 1939, un premio di composizione in prosa latina bandito dall’Istituto nazionale di Studi Romani.
L’amore per i classici francesi e russi
Per lo scrittore comisano sono gli anni della lettura dei grandi classici francesi e russi, della scoperta del Decadentismo, della passione per Baudelaire e del suo tentativo di tradurre I fiori del male, dall’italiano in francese, non possedendo un’edizione nella lingua originale.
“Il mio apprendistato – sono parole di Bufalino – si è svolto in un paese all’estrema periferia geografica e culturale d’Italia. C’era un ritardo culturale negli anni della mia formazione di trenta, quarant’anni. Sicché, quando frequentavo la biblioteca comunale, leggevo le collezioni di Critica e di Nuova Antologia dei primi anni del secolo. Mi confrontai, insomma, con i grandi testi della narrativa ottocentesca e, per quanto riguarda la letteratura italiana, non andavo al di là di D’Annunzio”.
Bufalino e l’amore per il cinema
I suoi interessi culturali sono completati dalla grande attenzione per il cinema, specie quello francese. Successivamente si iscrive alla facoltà di Lettere e filosofia dell’università di Catania, ma nel 1942 è costretto a interrompere gli studi perché chiamato alle armi.
In Friuli il sottotenente Bufalino è catturato dai tedeschi all’indomani dell’armistizio, ma riesce a fuggire poco dopo e si rifugia presso alcuni amici in Emilia Romagna, dove per un po’ va avanti dando lezioni private. Nel 1944, però, si ammala di tisi, ed è costretto a sopportare una lunga degenza, prima a Scandiano, dove tra l’altro ha anche a disposizione un’imponente biblioteca, poi, dopo la liberazione, vicino Palermo, in un sanatorio della Conca d’Oro, dal quale esce finalmente guarito nel 1947.
La permanenza in ospedale lo mette a dura prova, lasciando segni indelebili della sofferenza. Proprio questo lungo calvario, però, servirà da base e da motivo ispiratore, filtrato dalla memoria, nella sua opera d’esordio, una sorta di biografia nascosta tra le pagine di un racconto apparentemente distaccato, Diceria dell’untore. Una volta guarito riprende gli studi e si laurea in Lettere nell’Ateneo di Palermo.
Nel frattempo avvia un rapporto epistolare con Angelo Romanò, poeta e critico lombardo conosciuto in un corso per allievi ufficiali. Dal dopoguerra e fino alla pensione si dedica all’insegnamento presso un istituto magistrale, senza mai allontanarsi dalla natia Comiso se non per brevissimi periodi.
“L’esplosione” letteraria: Bufalino caso dell’anno
Intorno al 1950 comincia a lavorare al progetto di un romanzo, che diventerà, a distanza di anni, il suo primo libro, “Diceria dell’untore”, ma che non va oltre una prima stesura approssimativa.
È solo nel 1971, a più di venti anni di distanza, che il romanzo viene ripreso dall’autore. Partecipa poi alla stesura a più mani del libro “Comiso ieri. Immagini di vita rurale e signorile”, una raccolta di fotografie e racconti dedicato alla sua amata città, pubblicato nel 1978.
Questa pubblicazione finisce tra le mani di Leonardo Sciascia il quale, scorgendo un’eleganza fuori dal comune nella scrittura di Bufalino, intuisce subito che il professore, da sempre riluttante a pubblicare, nasconde qualcosa nel cassetto e insieme a Elvira Sellerio cominciano un operazione di convincimento affinché sveli i suoi segreti.
Bisogna aspettare il 1981 perché Bufalino, ormai sessantunenne, dia fine al lungo lavoro di revisione decennale del suo capolavoro. L’opera “esplode” immediatamente in tutto il suo valore e si trasforma in un caso letterario, che culmina con l’assegnazione del premio Campiello. Rotti gli indugi, l’autore comisano intrattiene collaborazioni anche con Einaudi e Bompiani.
E così nel 1982 dà alle stampe “Museo d’ombre, Dizionario dei personaggi di romanzo da Don Chisciotte all’Innominabile” e le poesie de “L’amaro miele”. In quello stesso anno, inoltre, sposa, dopo una ventennale convivenza, una ex allieva, Giovanna Leggio.
Negli anni Ottanta, oltre agli elzeviri raccolti in “Cere perse” (1985) e “La luce e il lutto” (1988), pubblica i romanzi “Argo il cieco ovvero i sogni della memoria” (1984), “Le menzogne della notte” (1988), che gli vale il prestigioso premio Strega, la raccolta di racconti in “L’uomo invaso” (1986), Il malpensante. Lunario dell’anno che fu” (1987) e ”Saline di Sicilia” (1988). Nel 1990 escono “Calende greche” e “Saldi d’autunno”, a cui seguono nel 1991 i volumi “Qui pro quo”, “Il Guerrin Meschino, frammento di un’opra dei pupi” e “Pagine disperse”.
Nel 1992 viene edito il libro fotografico “Il tempo in posa”. Infine, negli ultimi anni di vita vengono pubblicati “Bluff di parole” (1994) e “Carteggio di gioventù (1943-1950)”, lettere a e di Angelo Romanò, “Il fiele ibleo” (1995) e il suo ultimo romanzo, “Tommaso e il fotografo cieco ovvero il patatràc” (1996).
Le sue opere sono state tradotte in spagnolo, portoghese, francese, inglese, tedesco, danese, giapponese, olandese, svedese, greco, coreano, israeliano.
In un giorno piovoso e beffardo Gesualdo Bufalino, che non aveva mai voluto guidare, muore il 14 giugno 1996, nella sua Comiso, proprio a causa di un drammatico incidente stradale.
Bibliografia:
- AA. VV., Gesualdo Bufalino e la scrittura felice, a cura di Antonio Sichera, EdiARGO, Ragusa 2006.
- BARBACINI C., Bufalino e il Campiello, «Gazzetta di Parma», 1 ottobre 1981.
- CONGIU G., Note in margine al primo Bufalino, a cura di Sarah Zappulla Muscarà, Maimone, Catania 1990.
- CORTI M., introduzione a G. BUFALINO, Opere 1981-1988, Bompiani, Milano 1992.
- GALLUZZO L., Bufalino, esordiente scontroso “A otto anni giocavo col Melzi”, «Il Piccolo», 23 settembre 1981.
- LEONE G., Gli anni di Sciascia e Bufalino, Kalos, Palermo 2001.
- MARABINI C., Bufalino il caso dell’anno, «Il resto del Carlino», 11 giugno 1981.
- ZAGO N., Gesualdo Bufalino, la figura e l’opera, Pungitopo, Marina di Patti (ME) 1987.