Gesuiti ed esotismo nel Settecento a Palermo
Una singolare immagine è custodita nei depositi della Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis a Palermo: un gesuita siciliano vestito alla maniera cinese.
Il religioso in questione è Padre Girolamo Gravina (nome cinese: Kia Yi Mou Kieou Tchang) nato a Caltanissetta nel 1603, primogenito della nobile famiglia di origine normanna, partito per le “Indie” (cosi era chiamato senza alcuna distinzione l’Estremo Oriente) nel 1635 e morto di inedia a Chang-Zhou il 4 settembre del 1662, dopo aver lavorato ininterrottamente per 27 anni come missionario.
Il Gravina viene ritratto seduto su una sedia di legno cinese con braccioli, scarpe nere e bianche di foggia chiaramente orientale, vesti sacerdotali (forse un’alba e una pianeta rosso/verde con disegni floreali verde/oro), un tricorno con fiocco nero sul capo, una lunga e folta barba bianca. Di difficile lettura risultano i gesti compiuti dal sacerdote nisseno, il quale benedice con la mano destra, mentre con l’altra sembra intingere, secondo una recente riflessione fatta da Michele Mendolia Calella, le dita all’interno di una probabile bacinella stilizzata, posta tra le gambe. Dall’avambraccio sinistro, inoltre, come era consuetudine, pende un manipolo rosso dai bordi dorati, che è dello stesso colore della pianeta, su cui è riprodotta una croce color oro. Lo stato di conservazione della carta attaccata su tela, da ritenere un’opera di arte cinese del XVIII sec. (?), non facilita l’interpretazione del soggetto descritto, ma le notizie sull’attività e sulla vita del missionario forse consentono di coglierne il valore simbolico.
Secondo quanto riferiscono le fonti storiche il gesuita si prodiga molto nell’evangelizzazione della regione cinese del delta dello Jiang-Nan, dove battezza migliaia di persone. Tale impegno, quindi, associato alla morte per inedia, viene evidenziato nel dipinto: il sacerdote è colto nell’atto di battezzare e benedire coloro che stanno per ricevere il sacramento. Il colore rosso della dalmatica, inoltre, usato per le celebrazioni del Venerdì Santo o dei martiri, e del manipolo, simbolo del servizio e delle fatiche del sacerdozio, potrebbe alludere alla sua opera missionaria: un’intera vita, dedicata agli altri ed a Dio, lo ha condotto ad una morte per stenti.
Lo stile decorativo, il materiale, le fattezze e la postura del Gravina, molto simili alle immagini coeve dei mandarini e degli imperatori cinesi, uniti ai paramenti liturgici del cattolicesimo non solo celebrano e ricordano la singolarità del personaggio, che apprezza la cultura, le tradizioni e le usanze cinesi, tentando di coniugarle con la concezione cristiana, ma suscitano, anche in coloro che osservano il dipinto, quel senso di meraviglia e stupore, provocato da un così insolito “pastiche” artistico-culturale.
Un’altra importante istituzione museale del capoluogo siciliano conserva al proprio interno alcuni oggetti provenienti dalla Cina: il Museo Archeologico Regionale “A. Salinas”. Si tratta di carte geografiche cinesi, una scatola cilindrica in legno contenente una foglia di bambù con iscrizione orientale, quattro statuette raffiguranti due soggetti maschili e due femminili orientali in lamina di ferro zincato, e forse altri pezzi, dei quali attualmente non si è certi del luogo di produzione.
Come mai due musei all’apparenza così diversi posseggono, tra le loro raccolte, oggetti che hanno in comune la stessa origine? E perché in un museo archeologico troviamo reperti che sembrano più di interesse artistico-etnografico, dal momento che provengono dalla Cina e da altri luoghi esotici?
I due musei, in realtà, insieme ad altri della città di Palermo (Museo Paleontologico “Gaetano Giorgio Gemmellaro”; Museo Etnografico Siciliano “Giuseppe Pitrè”; Museo di Zoologia “Pietro Doderlein” dell’Università degli Studi; Museo d’arte islamica presso il Castello della Zisa), detengono una serie di oggetti, che facevano parte della medesima collezione settecentesca, smembrata tra l’Ottocento ed il Novecento: il Museo Salnitriano.
L’istituzione, nata per opera di Ignazio Salnitro presso il Collegio Massimo della Compagnia di Gesù (attuale Biblioteca Regionale di Palermo) nel 1730, viene costituita sull’esempio del preesistente Museo Kircheriano, fondato a Roma nel 1651 dal gesuita tedesco Athanasius Kircher, del quale è per certi versi una “emanazione”. Il museo palermitano, se a prima vista può essere considerato come una delle tante Wunderkammern (“Camera delle meraviglie”), sorte tra il ‘500 ed il ‘600 in Europa, con la funzione di stupire e meravigliare il visitatore, raccogliendo materiali di diversa natura e provenienza, in realtà ha come fine ultimo quello di istruire ed educare i fruitori del museo, ma soprattutto gli studenti delle scuole gesuitiche (Collegio dei Nobili), per i quali rappresenta una specie di sussidio didattico-educativo legato all’insegnamento.
Il gesuita tedesco, infatti, aderisce alla filosofia neoplatonico-rinascimentale di Marsilio Ficino, che tende a considerare ogni elemento del mondo sensibile un’emanazione del mondo ultraterreno. La conoscenza dell’assoluto e la verità possono perciò essere raggiunte per via analogica, anche attraverso l’uso di vari strumenti di interpretazione del reale come l’interesse per Ermete Trismegisto, il mondo egizio e l’Oriente in genere. Il mettere insieme, quindi, materiali di ogni genere, che risultino espressione dell’universo intero, del “Theatrum Mundi“, secondo tale visione non è legato solo al desiderio di stupire e meravigliare, ma è dettato anche da finalità pedagogiche.
I curatori sin dai primi anni dell’esistenza del museo hanno ben chiaro tutto ciò: agli angoli di un ambiente centrale colonnato (“peristilio”) si trovano quattro statue rappresentanti la Natura, l’Arte, le Antichità, le Rarità, e al di sotto una iscrizione latina identificativa. Alle rarità appartiene il materiale preso in esame e la frase ad esso pertinente “dant Peregrina decus” (“le cose esotiche attribuiscono ornamento”) ne specifica la forte valenza simbolica.
Le rarità sono costituite soprattutto da oggetti esotici provenienti dalle missioni gesuitiche sparse per il mondo. I materiali, denominati “cineserie”, in realtà provengono oltre che dalla Cina, dall’India, dal Giappone, dalle Americhe, da Goa, etc..
La presenza nella Compagnia di Gesù di numerosi missionari, come per esempio Girolamo Gravina, che girano il mondo intero (Oriente, Americhe, Africa), per far conoscere il Vangelo alle varie popolazioni che incontrano, offre la possibilità ai “soldati di Cristo” di aprire i propri orizzonti culturali e di mettere a confronto civiltà tanto diverse tra loro, cercando di cogliere ciò che di particolare e di nuovo si trova nei paesi lontani. Tale apertura culturale viene testimoniata dall’uso frequente di carte geografiche o di rappresentazioni sacre con iscrizioni ed ambientazioni orientali, attraverso le quali i gesuiti ottengono volutamente un pastiche esotico-culturale, finalizzato probabilmente ad una migliore comprensione, accettazione ed integrazione del cattolicesimo presso gli altri popoli.
La facilità con la quale i missionari gesuiti possono procurare alle due istituzioni italiane (Kircheriano e Salnitriano) materiale proveniente da ogni angolo del mondo e la particolare visione simbolica di ciò che rappresenta l’Oriente e l’esotico per Kircher, sono ulteriori motivazioni, che giustificano l’esistenza delle “cineserie” nei musei palermitani.
AA.VV., Athanasius Kircher S. J.. Il Museo del Mondo, Roma, 2001.
- Graditi, Il museo ritrovato. Il Salnitriano e le origini della museologia a Palermo, Palermo, 2003.
- Lo Nardo, Missionari siciliani nella storia della Compagnia di Gesù, Palermo, 2006.
- Mendolia Calella, Padre Girolamo Gravina S.J. (1603-1622) missionario in Cina, in Archivio Nisseno, XI, n. 21, 2017, pp. 140-152.
V. Rivosecchi, Esotismo in Roma Barocca. Studi sul Padre Kircher, Roma, 1982.