I Gesuiti, la Cina e la Sicilia
Il Presidente della Repubblica cinese Xi Jinping ha recentemente accolto a Pechino il Presidente Mattarella con l’obiettivo di delineare futuri scenari economici, e tutti sono sembrati soddisfatti. Poi a sorpresa Xi Jinping ha ricordato Prospero Intorcetta, da Piazza Armerina: un missionario vissuto nel lontano XVII secolo, pressochè sconosciuto fuori dalla cerchia degli addetti ai lavori. I giornali hanno relegato l’aneddoto fra le curiosità e pubblicato minime spiegazioni, hanno scritto che Intorcetta è stato il primo traduttore europeo di Confucio. Possiamo aggiungere che Yn-to-Ce Kio-ssè – trascrizione fonetica di Intorcetta il piazzese è sepolto a Hangzhou e che, su iniziativa della Fondazione a lui intitolata, due busti in pietra arenaria sono stati recentemente collocati, uno a Hangzhou e un altro a Piazza Armerina. Grazie ai miracoli di Internet la sua opera principale stampata nel 1667, la Sinarum scientia politico-moralis, traduzione di un testo fondamentale della tradizione confuciana è ora disponibile in rete all’indirizzo
http://bibliotecafilosofia.uniroma1.it/intorcetta/index.html.
E’ abbastanza per provare a saperne di più e non solo su Intorcetta, i gesuiti siciliani approdati in Cina nel corso del ‘600 sono piuttosto numerosi.
Come in tutte le storie bisogna fare un passo indietro.
Il primo collegio gesuita è fondato a Messina a metà Cinquecento da Ignazio di Loyola: il prototipo delle centinaia di collegi che presto vigileranno sulla formazione dei giovani nobili cattolici. Le prime generazioni educate dai Padri vivono nel fervore missionario. Per i gesuiti la Sicilia e il Meridione sono le nostre Indie, luoghi dove fare tirocinio prima di avventurarsi oltremare; però il fascino delle Indie vere, lontanissime terre dove lo spirito missionario può dispiegarsi sino a raggiungere la gloria, non teme rivali. E dalla Sicilia partono in molti. Il viaggio è pericoloso, può durare anni: ma andare nelle Indie è fra le maniere con cui nel ‘600 i più intraprendenti e ambiziosi reagiscono a un destino già segnato.
Prospero Intercetta studia legge a Catania, ha sedici anni e una carriera sicura davanti a sè. Lo stesso, abbandona gli studi in legge e i progetti paterni per entrare nell’Ordine gesuita. Il 31 dicembre 1642 viene ammesso al noviziato di Messina. Dopo dieci anni, e dopo avere molte volte chiesto d’andare in missione, ottiene il permesso per le Indie: quello che accade durante il viaggio è degno di un romanzo picaresco, ma nel 1659 eccolo nella cinese Hangzhou. Ha imparato la lingua, in un solo anno costruisce una chiesa dove raccoglie duemila fedeli. Un pò troppi. Le autorità cominciano a non vedere di buon occhio tanto fervore straniero, tolleranza e persecuzioni si alternano. Quello che distingue il gesuita siciliano è l’atteggiamento empatico per la civiltà cinese: Intorcetta è fra i primi sinologi dell’Età moderna, i testi confuciani da lui tradotti in latino nutrono l’interesse europeo per la Cina.
A Intorcetta possiamo associare altri gesuiti siciliani, il poco che ne sappiamo basta ad aprire uno spiraglio su una storia affascinante. Tra loro troviamo Ludovico Buglio da Mineo: studia nel Collegio di Palermo, parte da Lisbona diretto in Cina assieme al palermitano Francesco Brancati e al nisseno Girolamo Gravina. Nel frattempo in Cina si verificava il passaggio dalla dinastia Ming alla Tsing, e il terzetto siciliano finisce in mezzo a rivolte tanto imponenti da diventare guerre civili. Un capo ribelle ordina ai Padri di costruirgli due sfere di bronzo, una a rappresentare la Terra e l’altra la volta celeste. Era il 1645, l’impresa era quasi disperata: oltre a stelle e pianeti conosciuti in Occidente, la volta celeste doveva raffigurare anche la posizione di ventotto costellazioni cinesi. Furono fortunati, perchè le truppe imperiali ebbero la meglio e delle sfere di bronzo non si parlò più.
Vent’anni dopo Buglio sarebbe stato l’autore di un’opera scritta in cinese letterario, su fogli di bambù, per far conoscere l’Europa alla corte imperiale: mostrare una nuova prospettiva dove la Cina non era più al centro del mondo non era esente da rischi. Ma Buglio era tanto audace da imbarcarsi in un’impresa per altri versi quasi impossibile, come la traduzione in cinese della Summa Theologiae di San Tommaso.
Il palermitano Francesco Brancati lavora per venticinque anni a Shangai: fonda comunità, battezza cinesi a migliaia, costruisce chiese e crea congregazioni dove i catechisti diventano suoi assistenti.
Niccolò Longobardo, nativo di Caltagirone, è il superiore dei gesuiti residenti in Cina: introduce il cinese come lingua liturgica suscitando un vespaio di polemiche, vorrebbe che i cinesi fossero ammessi al sacerdozio. In pratica lavora a un pionieristico progetto che avrò compimento secoli dopo: solo nel 1949 il Sant’Uffizio avrebbe approvato la redazione di un messale in cinese, dove tuttavia le formule del canone rimanevano in latino. Padre Longobardo invia a Roma un giovane gesuita, per descrivere al papa le attività in Cina e ottenere rinforzi: chiede che vengano inviati libri, strumenti e confratelli che siano anche scienziati. Servono matematici e astronomi perchè in Cina l’astronomia è scienza di stato, e presso la corte imperiale di Pechino la scienza dei gesuiti è tenuta in grande considerazione. Così dall’talia partono oltre mille libri scientifici che vanno a formare il primo nucleo della biblioteca dei gesuiti di Pechino.
Per questi uomini che costruiscono ponti fra i continenti la Sicilia è una terra lontana, quasi favolosa. Al palermitano Giovanbattista Sidoti, missionario stavolta in Giappone all’inizio del ‘700, vengono chieste informazioni e lui dichiara che si tratta di un’isola all’estremo sud d’Europa dove si ergono due montagne, una che emette sempre fuoco e l’altra sempre fumo: dava così voce a una geografia fantastica dove l’antica patria si confermava terra di prodigi.