Giangiacomo Feltrinelli, comunismo, libri e terrorismo.
Giangiacomo Feltrinelli, chi era costui?
Un personaggio fortemente discusso, sia in vita che dopo la sua morte, per il forte carico di contraddizioni che hanno accompagnato la sua storia.
Nato in una famiglia ricchissima negli anni del fascismo; educato in un clima “ovattato”, degno della migliore borghesia dell’epoca, lontano dai problemi della gente comune. Per lui gli anni della guerra passano in fretta, lontano dal pericolo, in una tenuta di famiglia sull’Argentario. Ma il carattere irrequieto lo spinge ad arruolarsi volontario e ad essere presente a Milano nei giorni della Liberazione. Nel ’47 si iscrive al Partito comunista italiano e si impegna attivamente nella sezione di stampa e propaganda; la domenica lo si poteva incontrare nelle strade a distribuire l’Unità, forse perché intimamente convinto di ciò che faceva, o forse semplicemente per sentirsi uguale a quei compagni di militanza che sapevano chi fosse e che forse mal comprendevano che cosa ci stesse a fare, in mezzo alla via, sia con il freddo sia con il caldo, il rampollo di una delle più ricche famiglie italiane. Sul finire degli anni Quaranta, sopraggiunta la maggiore età, Giangiacomo Feltrinelli entra in possesso dell’enorme patrimonio lasciatogli in eredità dal padre, un patrimonio che il “New York Times” valuta in 60 milioni di dollari, cifra pazzesca per quei tempi e quasi sicuramente lontana dal vero.
I rapporti con il PCI, al quale versava regolarmente dei soldi, non furono mai facili. Per dieci anni si impegna attivamente nelle attività del partito dando avvio alla Cooperativa del libro popolare (Colip) per la diffusione dell’editoria tascabile di qualità. Quest’ultima costituirà l’esperienza preliminare per la realizzazione di ciò che sarà il frutto più importante, dal punto di vista culturale, sociale e imprenditoriale, di tutta la vita di Feltrinelli: la Giangiacomo Feltrinelli Editore.
Nel febbraio del 1956 il XX congresso del Pcus e la denuncia dello stalinismo colpiscono profondamente Feltrinelli. Questi fatti, congiuntamente alle complicate vicende inerenti l’acquisto e la pubblicazione del Dottor Zivago, testo per il quale sia editore che autore dovettero passare non poche traversie con le autorità sovietiche, portano a una insanabile frattura tra il Pci e Giangiacomo Feltrinelli, il quale, nel ‘57, esce dal partito.
Gli anni successivi sono anni di fervente attività per l’editore, sia dal punto di vista personale che professionale, consolidando l’attività della casa editrice e rendendola, in pochi anni, un punto di riferimento per autori, soprattutto stranieri, e per un nuovo tipo di pubblico che, negli anni del “boom” economico, è sempre più propenso a spendere in libri e cultura, attratto anche dal sistema innovativo di vendita delle librerie Feltrinelli. Sono questi gli anni in cui viene pubblicato il Gattopardo, di Tomasi di Lampedusa, secondo grande successo internazionale della casa editrice.
E poi Cuba. Un amore, quello di Giangiacomo Feltrinelli per l’isola caraibica, che nasce nel ’59, con il primo viaggio nell’isola da poco liberata dalla dittatura di Batista. Nel 1964 l’editore si reca nuovamente sull’isola per discutere direttamente con il “leader maximo” circa la pubblicazione dei suoi diari. Feltrinelli si innamora di quel Paese che rappresenta, nella situazione internazionale degli anni Sessanta, una sorta di faro, grazie al quale altri Paesi, fino ad allora semicoloniali o quasi, possono rialzare la testa e guardare con fiducia l’avvenire.
Se fino al 1964 Feltrinelli si era interessato quasi esclusivamente della casa editrice, dopo le visite a Cuba del ’64 e ’65 qualcosa cambia. Dal 1967 dirige l’edizione italiana di “Tricontinental”, organo dell’organizzazione di solidarietà dei popoli d’Asia, Africa e America Latina. Nell’agosto dello stesso anno viene arrestato in Bolivia, e solo grazie all’intervento del governo italiano, viene espulso dalla Bolivia e fa ritorno in Italia. Sempre nel ‘67 comincia ad interessarsi alla Sardegna, dove, a detta della questura di Cagliari, Feltrinelli si reca numerose volte per sondare il terreno e verificare la possibilità di dare avvio, in suolo sardo, ad un movimento di guerriglia che dovesse basarsi su azioni dimostrative e sul coinvolgimento di fautori di un indipendentismo regionale e di banditi locali, tra cui Mesina.
Il 1968 costituisce una nuova svolta. Feltrinelli comincia a seguire da vicino gli avvenimenti della contestazione studentesca. Nel febbraio di quell’anno interviene a Berlino al Congresso internazionale sulla guerra in Vietnam. Interviene anche a Roma, al La Sapienza, ma viene contestato. Nel ’68 scrive anche “Persiste la minaccia di un colpo di stato in Italia!”, un saggio politico in cui espone la sua analisi e le sue preoccupazioni, dopo che il Golpe dei colonnelli in Grecia (aprile 1967) e l’inchiesta de “L’Espresso” (maggio 1967), che aveva svelato il “Piano Solo”, lo avevano convinto del pericolo di un colpo si stato in Italia. Dal testo emerge la convinzione di Feltrinelli sulla necessità, improrogabile, di un abbattimento della società capitalista e borghese, schiava dell’imperialismo politico, economico e militare degli Stati Uniti. E questo pensiero è già presente in lui prima delle bombe alla Fiera o alla stazione di Milano, o della strage di piazza Fontana, tutti eventi per cui verrà fatto il suo nome come possibile indiziato. Ma quel 12 dicembre 1969 Feltrinelli non è in Italia. La sua assenza, o fuga a seconda dei punti di vista, costituisce un aggravante agli occhi di chi non aspetta altro per attribuirgli, se non l’esecutività dell’attentato, almeno la regia. Da li la decisione di vivere in clandestinità, l’unica alternativa possibile per poter operare liberamente.
Gli anni che seguono sono anni confusi. Fonda nel 1970 i Gruppi d’azione partigiana (Gap), ispirandosi a quei gruppi sorti durante la guerra partigiana per combattere i nazi-fascisti, i quali tra l’aprile di quell’anno e il marzo del ’71 compiono alcuni attentati dimostrativi presso i cantieri edili a Genova e Milano, teatro di “morti bianche”. Dopo le prime azioni delle Brigate Rosse, stabilisce rapporti con Renato Curcio e Alberto Franceschini, con l’obiettivo di un comando unificato della lotta armata, che però non si realizzerà a causa dei divergenti punti di vista su come operare.
Nell’ultimo anno di vita dell’editore, trascorso tra Svizzera e Italia, organizzando basi operative e reclutando e addestrando componenti dei Gap, anche tramite la pubblicazione di opuscoli con contenuti espressamente rivoluzionari, l’editore viene seguito dai servizi segreti del ministero degli Interni e dal SID, il quale sostiene un interesse particolare alle sue attività anche da parte del Mossad e dalla fazione pro-israeliana della Cia.
Sarà anche attorno a queste rivelazioni che si avanzeranno numerose ipotesi circa la morte di Giangiacomo Feltrinelli, avvenuta il 14 marzo 1972, ucciso da un’esplosione presso un traliccio dell’alta tensione a Segrate, nelle vicinanze di Milano. L’inchiesta giudiziaria sulle dinamiche della morte concluderà che l’editore è morto in un tentativo di sabotaggio con la dinamite, nel corso di un’azione dimostrativa che avrebbe dovuto procurare un blackout elettrico nella zona nord di Milano. Molti dubbi sono stati avanzati sulla “notte di Segrate”, e non soltanto da quella parte di società che più si sentiva vicina all’editore per posizione politica. A quarantasei anni di distanza dalla morte, per molti, rimangono ancora perplessità sulla morte di uno dei personaggi più discussi in un periodo tra i più foschi della storia del nostro Paese.
Per un apprfondimento:
Carlo Feltrinelli, Senior Service, Feltrinelli, Milano 1999.
Aldo Grandi, Giangiacomo Feltrinelli. La dinastia, il rivoluzionario, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2012.