Essere un giannizzero: simboli, credo, privilegi e regole
Disciplina, senso di appartenenza e valori del leggendario corpo di fanteria al servizio del sultano
I giannizzeri, come abbiamo visto (per approfondire leggi anche: Il Devşirme. La raccolta dei fanciulli e I Fanciulli del Sultano. I giannizzeri al servizio della Sublime Porta), venivano arruolati all’interno dei villaggi cristiani attraverso l’istituto del devşirme: per certi versi discutibile, ma allo stesso tempo efficace per chi voleva fare carriera e servire il sultano. Si tratta di «un corpo di fanteria istituito dall’Imperatore Amurat»(1), il primo permanente in Europa, fondato «coll’idea che dovesse servire di principale difesa al suo Impero»(2).
I giannizzeri erano inquadrati nella fanteria dei Capiculy e suddivisi in tre compagnie: Corigy, Oturak e Fodlakoran. «Tutte le dette Compagnie, sono cento e novantasei; di cui cento e una diconsi Jajabei, settantuna Boluki, e trentaquattro Seymeny»(3): grazie a questa citazione si può capire quale fossero la complessità e le componenti delle compagnie della milizia, una matriosca che al suo interno ne contiene altre, ognuna con un compito diverso. La divisione che svolgeva il compito più delicato era quella dei boluki o beuluk, i cui uomini avevano la missione di proteggere la persona del sultano. Secondo il cerimoniale ottomano, per esempio, il khan poteva riunire il divan a cavallo e i giannizzeri, chiamati alla sua protezione, dovevano stare schierati su una spianata in attesa del suo arrivo(4).
La catena di comando all’interno del corpo militare era così costituita: «1. il Jenizer- Agasy, o Supremo Generale, 2. Seymen-Baffy, o Luogo-Tenente dell’Agà, 3. il Chiaja-Beg, o fecondo Tenente, 4. il Jenizer-Effendi, ch’è una specie di Sudlegato dell’Agà, per ricevere le istanze e querele degli Uffiziali e Soldatesche del Corpo, e quindi portarle alla deliberazione dell’Agà medesimo, 5. Il Mufur-Agasy, o personaggio che risiede nella Corte del Visir per sollecitare gli affari del Corpo, 6. Il Chiaja-Jeri, o Maggiordomo Maggiore dell’Agà in nome di tutto’ l Corpo, 7. Il Bas-Chiaus, o Presidente al ruolo d’ogni Giannizzero»(5).
A cavallo tra il regno di Bayazed II e Selim I si assiste a un ridimensionamento dei componenti: secondo un quanto calcolato dal bailo veneziano Sagudino, il numero degli effettivi era passato da 8.000 nel 1496 a 6.606 nel 1503 per aumentare di numero nel 1504 arrivando a 10.156(6). Fino al XVI secolo i membri che erano ancora in servizio non potevano prendere moglie fino a quando non si fossero congedati: in quanto schiavi del sultano, erano obbligati al celibato.
Il giannizzero semplice poteva avere soltanto i baffi: la barba compariva soltanto una volta divenuto ufficiale. Lo spirito di corpo era rappresentato dalla caserma, l’abitazione, all’interno della quale si parlava raramente turco ma più frequentemente il serbo e il croato. Dal periodo di Solimano si verificò che anche il sultano facesse parte della prima compagnia dei giannizzeri – secondo quanto risulta nel libro paga – e che mandasse qualcuno a ritirare in caserma il compenso, che veniva devoluto ai poveri(7).
Durante il regno di Solimano, nel 1527, il numero dei soldati che componevano la milizia diminuì a 7.886, anche se, secondo le stime presenti in Dello Stato Militare Navale e Terrestre della Russia e dell’Impero Ottomano, il corpo dei giannizzeri, durante il sultanato di Solimano il Magnifico, «fin dal 1680 non era più numeroso di dodici mila uomini»(8).
Per quanto riguarda l’abbigliamento, i militari erano ben equipaggiati: le divise erano in gran parte fatte di lana, il panno era confezionato da tessitori ebrei di Salonicco. Sopra questa veste, quando scendevano in battaglia, indossavano una cotta di maglia provvista di piastre di metallo che proteggevano il torace; dei coprispalle anch’essi di metallo; a protezione della testa indossavano il çiçak, un elmo dalla forma a punta che copriva le orecchie e il naso.
All’interno del proprio arsenale i giannizzeri combattevano con armi bianche e armi da fuoco, come il nacak, un piccolo coltello, lo yatağan e il kiliç, delle tipologie di daghe dalla lama lunga. Inoltre essi avevano in dotazione un arco, che imparavano ad utilizzare presso la Taulium Chanegila(9). Ma, in quanto soldati di fanteria moderni, i militari cominciarono ad utilizzare armi da fuoco come i tüfek, moschetti dal calcio ottagonale molto particolare per le loro decorazioni, una pistola a pietra focaia e un archibugio albanese(10).
Sotto il profilo religioso la casta dei giannizzeri seguiva il sufismo, corrente filosofica che si affermò all’interno dell’Islam tra l’XI e il XII secolo grazie a esponenti del pensiero islamico come Al-Farabi (872-950) autore della Città Virtuosa, che traccia il suo percorso spirituale, ricco di varie esperienze personali della sua vita quali la filosofia, la teologia e il sufismo. O come Al- Ghazali (1058-1111), autore de Le Perle del Corano, un’opera mistica in cui è usata la metafora dello specchio ossidato, che rappresenta l’anima del fedele. Il solo modo per eliminare questa patina è compiere un percorso o via (tariq) di purificazione per arrivare a Dio.
Sul piano religioso, i giannizzeri erano legati alla setta sufi dei dervisci Bektashi, che deve il suo nome al sufi Hajj Bektash Veli, da cui i dervisci o dervishi prendevano il nome. Questa, pur essendo una dottrina «eretica» – e all’interno di un impero musulmano, come quello ottomano, di cui il sultano è difensore e principe dei fedeli – era tuttavia tollerata perché i dervishi avevano le funzioni di “cappellani” del corpo dei giannizzeri. Tra le colonne portanti dell’esercito e dell’impero, i militari godevano del privilegio di non pagare le tasse. Ricevevano donativi da parte del sovrano e venivano giudicati dai propri comandanti – gli Orta- Chiaus – abilitati a mettere sotto stato di accusa e ad emettere le sentenze contro «i delinquenti del corpo»(11).
Sulle paghe dei giannizzeri si può fare riferimento alla descrizione del conte Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730), scienziato e militare al servizio dell’imperatore Leopoldo I d’Asburgo (1640-1705), autore dell’opera Stato Militare dell’Impero Ottomano, la cui prima parte è una traduzione del Canon-Name (Libro dei Turchi). Lo scopo era «rendere informato ciascuno delle Costituzioni, delle Leggi, e degli Ordini di questo medesimo Stato Militare», in cui sono raccolte le sue esperienze personali nel corso dei suoi soggiorni presso la capitale ottomana e della sua vita militare(12).
L’oggetto che rappresentava i giannizzeri era una marmitta, simbolo dello spirito di corpo e di aggregazione, all’interno della quale era contenuto la zuppa, che veniva distribuita dal comandante, «Il Zorbagy, o Capitano»(13) della compagnia. Non si trattava soltanto un banale contenitore per la zuppa, perché quando vi era malcontento tra i ranghi delle varie compagnie essa veniva rovesciata, diventando il simbolo della rivolta della milizia e causa di grandi disagi per i sultani.
Note
1 A. F. Büsching, Nuova Geografia, tradotta in lingua toscana dall’abate Gaudioso Jagemann, cit., p. 27.
2 M. P. Pedani, Breve storia dell’Impero ottomano, Aracne, Roma, 2006, cit., p.22.
3 Anonimo, Dello Stato Militare Navale e Terrestre della Russia e dell’Impero Ottomano, 1770, p. IV.
4 A. Barbero, Il divano di Istanbul, Sellerio Editore, Palermo, cit., p.17.
5 Anonimo, Dello Stato militare Navale e Terrestre della Russia e dell’Impero Ottomano, cit., p. V.
6 Dati riportati da R. Mantran, Storia dell’impero ottomano, cit., p.215.
7 A. Barbero, Il divano di Istanbul, cit., p.114.
8 Anonimo, Dello Stato militare Navale e Terrestre della Russia e dell’Impero Ottomano, cit., p. IV.
9 Dalla descrizione fornita da Ferdinando Luigi Marsili all’interno de Stato Militare dell’Impero Ottomano, si evince che la Taulium Chanegilar era una scuola militare di quei tempi, in cui i bambini cristiani, che provenivano dai villaggi dei Balcani, venivano addestrati per diventare giannizzeri e iniziati all’uso dell’arco e del moschetto.
10 D. Nicolle, Angus McBride, Armies of Ottoman Turks 1300-1774, Osprey Publishing, Oxford, 1983, p.17.
11 Anonimo, Dello Stato Militare Navale e Terrestre della Russia e dell’Impero Ottomano, cit., p. V.
12 Cfr. L. F. Marsili, Stato Militare dell’Impero Ottomano, a cura di Raffaella Gherardi, Rubbettino Università, Soveria Mannelli, 2012, p. 102.
13 Anonimo, Dello Stato Militare Navale e Terrestre della Russia e dell’Impero Ottomano, cit., p. V.