Giovanni Agostino De Cosmi -Umanista illuminato
Giovanni Agostino De Cosmi fu un siciliano anomalo, un sincretista mite con la vocazione dell’educatore. Visse in anni che sembrano molto lontani ma dove ritroviamo le radici del nostro contraddittorio presente.
Considerata l’epoca, De Cosmi ebbe vita lunghissimi: morì nel 1810, vecchio di 84 anni. Come dire che attraversò almeno tre mondi diversi. Conobbe il conformismo pauroso d’ogni novità che in pieno Settecento vigeva in Sicilia, fu tra i protagonisti della breve stagione illuminista, infine visse il riflusso e fu lambito dal sospetto quando la parentesi riformista ebbe tragicamente fine. E sempre dimostrò d’essere uno spirito libero, sostenuto da una fiducia nell’umanità che è tipica del più genuino illuminismo.
Nacque a Cateltermini, il padre era un genovese mercante di tessuti che senza dubbio gli trasmise una curiosità per niente ortodossa. Restò orfano appena adolescente, continuò a studiare grazie ad una borsa di studio. Fu ordinato suddiacono, diventò maestro di retorica e predicatore famoso. Le sue prediche erano in dialetto per essere comprensibili a tutti, ma lui era ben lontano dal cliché del religioso tradizionalista. Al contrario, era uno studioso di storia e un umanista che cercava una mediazione fra il paganesimo dei classici e l’etica cristiana, teorizzando che solo il raggiungimento del benessere collettivo poteva assicurare l’armonico sviluppo di tutti gli individui; quello che serviva era una saggia politica economica, che permettesse di scoprire e coltivare vocazioni utili alla società. Da parte sua De Cosmi cominciò ad elaborare un metodo pedagogico per niente provinciale, a partire dalla struttura del linguaggio e dall’insegnamento della matematica come studio degli schemi elementari del discorso. Quando dal 1759 al ’62 i giurati –vale a dire il Consiglio comunale- di Castronovo lo incaricarono di dirigere le scuole pubbliche di quel paese, lui programmò un insegnamento ripulito dalle implicazioni metafisiche, da adeguare “al naturale sviluppo dei bisogni, dei sensi, delle curiosità del fanciullo”: si trattava di un metodo sperimentale ispirato alla filosofia di Locke e Hume, in quegli anni adottato nelle più rinomate università europee. Da quel momento dedicò le sue migliori energie all’organizzazione della scuola pubblica.
Era rettore del convitto universitario di Catania quando, nel 1767, l’espulsione dei gesuiti dalla Sicilia creava un campo d’intervento tutto da definire ed essenziale per la nascita del cittadino, cioè l’istruzione laica organizzata dallo Stato. De Cosmi si ritrova a dovere combattere contro la pletora dei tradizionalisti, attaccati come ad un articolo di fede a quella che lui chiamava la strana illusione che “la Sicilia fosse tra le nazioni illuminate”. Era la solita permalosa percezione di sé che portava a vedere come nemici quanti si fossero azzardati a criticare l’esistente, e De Cosmi usava parole di fuoco per bollare la “barbarie erudita” e le “scienze immaginarie” in cui s’erano dilettate intere generazioni di dotti. Col risultato che in Sicilia tutto il sapere era da rifondare, dal momento che una vera tradizione mancava in qualsiasi campo e anche le scienze empiriche come l’ingegneria, la geometria o la nautica si limitavano ad essere spunto per astrusi ragionamenti. Scriveva: c’è “gran numero di medici ma senza esperienza fisica, senza meccanica, senza sezioni anatomiche: essi imparano la medicina dai libri e non dalla natura”. Mancavano le scuole, e “il peggio è che neppure il bisogno ne è avvertito”.
A scontrarsi coi numerosi paladini di una tradizione inventata era una piccola pattuglia di riformatori, ma per un breve periodo i riformatori furono al potere. A Napoli e poi anche a Palermo. Nel 1779 De Cosmi venne incaricato di redigere un progetto per la regia università ed elaborò un piano mai diventato operativo, che riservava grande spazio alle scienze applicate come la meccanica, l’idraulica, la nautica, e puntava all’aggiornamento dei docenti nell’ottica di formare una categoria di tecnici in grado di capovolgere il ritardo già molto evidente in cui si trovava la Sicilia. Stava riorganizzando le scuole del seminario di Catania e al contempo insegnava materie ecclesiastiche quando venne accusato di eresia, colpevole di diffondere in quel seminario un pensiero “miscredente” e le sue tesi, che volevano armoniosamente affiancare l’empirismo con l’ortodossia cattolica, furono condannate dalla Santa Sede. Allora si dimise dall’incarico perché, come scrisse nella sua biografia, “non si deve far del bene a chi non ne vuole”.
De Cosmi è fra i pochissimi siciliani a condividere sino in fondo l’azione riformatrice del viceré Caracciolo. Quando il viceré scrive un suo libretto indirizzato all’opinione pubblica europea oltre che ai siciliani, per dimostrare i danni derivanti da un’economia fondata su un commercio ormai del tutto speculativo come quello del grano, De Cosmi non esita a sostenerlo. Stampa un suo commento che gli aliena molte simpatie, chiama Caracciolo “il filosofo governante”, argomenta intorno a speculatori che “pongono a profitto le pubbliche calamità”, sottolinea i vantaggi della piccola proprietà e l’importanza della politica: “gli uomini per lo più sono tali, quali li vogliono coloro in cui mano sta che siano in questa o in quell’altra maniera”. Concorda col viceré anche nel denunciare il sottosviluppo della Sicilia in cui tanta parte ha la sua classe dirigente, quel dipendere dalle “nazioni straniere” a cui l’isola è condannata dall’assenza di manifatture. De Cosmi è per una società borghese sostenuta dall’etica della solidarietà, con lo Stato che attraverso l’istruzione renda possibile la riuscita di tutti i cittadini. La cultura diventa così la via per una “pubblica felicità” che è “l’aggregato del maggior numero possibile delle individuali prosperità”, sembrandogli “malvagia e disumana” quella politica che coltiva l’ignoranza nazionale “sul falso presupposto che si governino meglio gli uomini degradati ed accecati, degli uomini illuminati”. Nel 1788 riceve l’incarico di organizzare le scuole pubbliche, l’anno dopo Palermo ha la prima delle sue Scuole Normali dove fra la diffusa ostilità del baronaggio si insegnava al popolo a leggere, scrivere e far di conto. Scuole che, attivamente boicottate, solo in pochi casi riescono a sopravvivere.
Nel frattempo era cambiata la storia, le paure suscitate dalla rivoluzione francese preparavano la fine del riformismo nel Meridione. Nel 1795 De Cosmi venne sospettato d’essere l’ispiratore della congiura giacobina di Francesco Paolo di Blasi, un’accusa che poteva costargli la vita. Si isolò fra i suoi libri, continuò a scrivere pensando agli “uomini futuri” e, circa i suoi accusatori, un giorno annotò che se il loro giudizio era vero allora erano giacobini pure Platone, Cicerone, San Giacomo e la Divina scrittura. Ma “meglio errare con Platone che avere ragione con voi”.