Giovanni Brusca: il boss che uccise Giovanni Falcone
Il pluriomicida Giovanni Brusca, responsabile della strage di Capaci, dovrebbe essere rilasciato nel 2022, ma la scarcerazione potrebbe avvenire già il prossimo anno
Giovanni Brusca libero nel 2021?
Per effetto della legge 13 febbraio 2001 n. 45, in quanto collaboratore di giustizia, per lo Stato italiano nel 2022 Giovanni Brusca avrà finito di scontare la propria pena detentiva. Scegliendo di “pentirsi”, il responsabile dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, nonché esecutore materiale della strage di Capaci, ha ottenuto gli sconti di pena previsti dalla legge, cui si potrebbero sommare ulteriori riduzioni (garantite sempre dal sistema giudiziario) che potrebbero riportarlo in libertà già nel 2021.
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La scarcerazione di Giovanni Brusca: emotività contro razionalità
Nicola Aiello, ex gip del tribunale di Palermo, spiega come la scarcerazione di Brusca avverrà per effetto della normativa sui collaboratori di giustizia, un beneficio legislativo che prevede uno sconto di pena sulla base delle confessioni rese dal soggetto entro sei mesi dall’arresto. Precisando come, senza questa politica di contrattazione, sarebbe impossibile convincere i mafiosi a collaborare, il magistrato ammette l’utilità di questo strumento per gli inquirenti.
Si tratta delle due facce di una stessa medaglia, una verità che pur facendo umanamente rabbia, ha portato alla risoluzione di molti altri crimini.
Giovanni Falcone e la legge 13 febbraio 2001 n.45
Il paradosso relativo alla scarcerazione anticipata di Giovanni Brusca risiede principalmente nella legge stessa su cui si basa l’attuale sistema di regolamentazione dei collaboratori di giustizia. Uno strumento fortemente sostenuto dal giudice Giovanni Falcone.
Proprio lui, la vittima eccellente di Brusca, fu tra i promotori della legge n. 82 del 15 marzo 1981 (antesignana e base della legge n. 45 del 13 febbraio 2001), che mutuava ai mafiosi che avessero scelto di collaborare le stesse prerogative riservate ai terroristi dalla legge Cossiga del 6 febbraio 1980.
Quella sull’importanza dei collaboratori di giustizia era una delle molte idee portate avanti dal giudice Falcone, un uomo alla ricerca di ogni possibile metodo per scardinare il velo di omertà e segretezza intorno agli affari di cosa nostra.
Proprio secondo il giudice, le figure che oggi chiamiamo “collaboratori di giustizia” si sarebbero in futuro rivelate indispensabili per riuscire a svelare gli affari delle famiglie mafiose e le loro ramificazioni negli apparati dello Stato.
Giovanni Brusca: l’assassino
Potremmo dire che Giovanni Busca (nato a San Giuseppe Jato il 20 febbraio 1957) sia nato mafioso e che nella propria vita non abbia avuto altra scelta se non aderire alla cosca del padre, il boss Bernardo Brusca. Ma le storie di persone come Rita Atria insegnano come, per quanto difficile, ribellarsi al sistema mafioso sia possibile.
Scegliendo di aderire al sistema mafioso, Brusca scalò rapidamente i vertici di cosa nostra, accumulando ingenti ricchezze e proprietà sia nel proprio paese natale, che nei pressi della vicina Piana degli Albanesi.
Responsabile della morte di Giuseppe di Matteo e della strage di Capaci, a lui vengono attribuiti decine di omicidi di mafia, tra cui quello di Ignazio Salvo. Proprio per questo delitto, il mafioso verrà rintracciato ad Agrigento, dove si nascondeva presso la villetta di un fiancheggiatore della cosca, finendo agli arresti il 20 maggio 1996.
Processato e condannato all’ergastolo, per ottenere un contro sulla pena, sceglierà di collaborare con la giustizia.
Il “pentimento” del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca
La legge n.45 del 13 febbraio 2001 ha sostituito le precedenti emanazioni precisando i termini del contratto tra il supposto collaboratore e lo Stato, stabilendo le informazioni fornite dal potenziale collaboratore debbano essere rilasciate tutte entro sei mesi dall’arresto.
In ogni caso, la legge richiedeva già un certo grado di attendibilità auto accusatoria da parte dei soggetti, ossia la volontà di rivelare reati di cui non si è sospettati, la cui veridicità deve trovare riscontro con le dichiarazioni di altri collaboratori e soprattutto con i rilievi della polizia giudiziaria.
Nel caso di Giovanni, Brusca, la sua pena è stata ridotta a 26 anni di carcere in cambio delle informazioni che hanno permesso di fare luce su numerosi delitti di mafia, tra i quali spiccano:
- l’omicidio del giudice Rocco Chinnici (Palermo, 29 luglio 1983)
- l’esecuzione del commissario Giuseppe Montana (Santa Flavia, 28 luglio 1985)
- l’attentato al vicequestore Ninni Cassarà (Palermo, 6 agosto del 1985)
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L’omicidio di Giuseppe di Matteo
Tra i delitti più crudeli attributi a Brusca, chiamato non a caso lo scannacristiani, figura l’omicidio del piccolo Giuseppe di Matteo.
Il figlio tredicenne del pentito Santino di Matteo venne rapito il 23 novembre del 1993 da un commando di mafiosi travestiti da agenti della DIA.
Tale atto intimidatorio avrebbe dovuto convincere il padre del ragazzo a ritrattare le proprie dichiarazioni rese ai giudici: ma, nonostante i vari e infruttuosi tentativi di ritrovare il ragazzo scomparso, il genitore si rifiutò comunque di cedere al ricatto.
L’efferato omicidio avvenne l’11 gennaio del 1996, in un casolare nelle campagne di San Giuseppe Jato, dove il giovane prigioniero venne strangolato ed il suo corpo successivamente sciolto nell’acido.
La strage di Capaci
Era il 23 maggio del 1992 quando Giovanni Brusca premette il pulsante sul telecomando che avrebbe sventrato parte della A29 Palermo – Catania. Erano le 17:57 quando il corteo di auto blindate, provenienti da Punta Raisi, venne sbalzato per aria per la forza della detonazione del tritolo posizionato in un piccolo canale di scolo sottostante l’autostrada.
Fu Giovanni Brusca a uccidere il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo ed Antonio Montinaro.
Ricordato dai mafiosi come l’attentatuni, quell’atto rappresentò un gesto di sfida nei confronti dello stato e le istituzioni, nonché un segnale di assoluto disprezzo verso i suoi cittadini. Una strage, seguita il 19 luglio da quella in cui sarebbe morto il giudice Paolo Borsellino, che avrebbe colpito al cuore l’Italia e tutti gli italiani.
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La reazione alle stragi del 1992
Il giudice Aiello, in quei mesi ancora agli albori della propria carriera, racconta come ai giorni cupi e pesanti delle stragi, seguì un periodo di forte rinnovamento.
Rispetto alla tragica morte di Giovanni Falcone, personaggio a volte anche contestato e da qualche tempo lontano dalla Sicilia, fu quella di Paolo Borsellino la tragedia che maggiormente toccò le coscienze dei magistrati palermitani
Riportando racconti e sensazioni dei colleghi più anziani, Aiello tiene a precisare come la nomina di Giancarlo Caselli come nuovo procuratore della repubblica presso il tribunale di Palermo, avvenuta il 15 gennaio del 1993, abbia portato ad uno sforzo investigativo senza precedenti nella lotta alla mafia.
Dopo l’iniziale sensazione di impotenza, dopo il peso delle prime settimane, la nomina del nuovo procuratore aveva regalato ai magistrati la consapevolezza dell’inizio di un nuovo periodo, un momento di grande entusiasmo nella lotta contro cosa nostra, culminante con una serie di arresti eccellenti, tra cui anche quello di Giovanni Brusca.