Goethe, il letterato tedesco innamorato della Sicilia
Poeta, narratore e drammaturgo, Johann Wolfgang von Goethe è stato tra i geni poliedrici del XIX secolo. Autore di opere come I dolori del giovane Werther e il Faust, fu un esponente del cambiamento radicale nella coscienza culturale tedesca ed europea.
Goethe ha rappresentò un punto di riferimento per i viaggiatori che intraprendevano il Grand tour, lasciando varie testimonianze: in modo particolare sulla Sicilia. Una terra di contrasti e paradossi, di cui il letterato tedesco non tardò a innamorarsi.
La famiglia e l’infanzia di Johann Wolfgang von Goethe
Johann Wolfgang von Goethe nacque nel 1749 a Francoforte sul Meno.
Il padre, Johann Kaspar, di modesta famiglia originaria della Turingia, valente giurista, gli fu modello nella serietà degli studi e nella inesausta curiosità. La madre Katharina Elisabeth Textor, figlia del sindaco della città e appartenente alla migliore borghesia, gli trasmise il “piacere del favoleggiare”.
Nel dicembre del 1750 nacque la sorella Cornelia Friederike Christiana (1750-1777), la sua compagna di giochi dell’infanzia; gli altri cinque successivi fratelli sarebbero invece morti in tenera età. Tra il 1752 al 1755, Johann e la sorella frequentarono un asilo, ma fu tra le mura domestiche che ricevettero il grosso dell’istruzione, sotto la direzione del padre. Entrarono a contatto con il mondo della lettura e impararono divertendosi.
A causa della guerra dei Sette anni, nel 1759 i francesi conquistarono Francoforte e in casa Goethe risiedette il luogotenente François de Théas, conte di Thoranc, comandante della piazza; alle truppe francesi si accompagnavano attori e cantanti e Johann ebbe modo di assistere a recite delle tragedie di Racine e delle commedie di Molière, oltre ad altre opere e intermezzi musicali, fino alla partenza dei francesi, avvenuta il 2 dicembre 1762.
La formazione del giovane Goethe
Ormai diciassettenne, fu tempo per Johann di frequentare l’università: egli avrebbe voluto seguire i corsi di lettere classiche e retorica a Gottingen, ma il padre scelse per lui gli studi di diritto a Lipsia. Il 30 settembre del 1765, Johann partì da Francoforte per quella città, con in tasca 1.200 fiorini per garantirsi un più che decoroso mantenimento. Durante il soggiorno a Lipsia cominciò a farsi notare per la sua personalità sopra le righe e il suo vestiario stravagante. Continuò gli studi a Strasburgo e lì conobbe il filosofo Herder che lo iniziò all’amore per Shakespeare, per l’arte medievale e la poesia popolare.
Il quinquennio 1770-1775 fu segnato dall’avvicinamento al movimento dello Sturm und Drang e fu uno dei periodi più intensi e drammatici della sua vita, affiancati da una produzione poetica ricchissima. Nel 1774 compose di getto il romanzo epistolare I dolori del giovane Werther che gli assicurò un successo immediato e travolgente: divenne in pochi mesi uno dei poeti più ammirati dai giovani tedeschi.
L’esaltazione per il Goethe irrequieto culminò nel famoso viaggio sul Reno dell’estate del 1774: il poeta, con un gruppo di amici, tutti vestiti alla Werther (in giacca azzurra e pantaloni gialli) incontrò in varie città i suoi ammiratori. In quegli stessi anni compose la prima stesura del Faust, destinato a subire continue rielaborazioni fino agli ultimi giorni della sua vita.
Il soggiorno a Weimar di Goethe
All’età di 26 anni, Goethe accettò l’incarico di precettore presso il giovane duca della cittadina di Weimar ed in questi anni l’artista cominciò a maturare un cambiamento nel suo stile, meno dominato dal sentimentalismo straziante che l’aveva caratterizzato sino ad allora. Inoltre si dedicò allo studio di varie scienze (botanica, mineralogia, ottica) ed ebbe una intensa storia d’amore con Charlotte von Stein, la moglie di un ufficiale dal grande fascino e intelligenza, che gli ispirò numerose liriche e ballate.
Durante il suo soggiorno a Weimar, Goethe fu iniziato in massoneria nella loggia «Amalia» il 23 giugno 1780. Un anno dopo, il 23 giugno 1781, diventò «Compagno», «Maestro» il 2 marzo 1782, con il duca Carlo Augusto di Sassonia-Weimar-Eisenach, che era un suo amico e protettore. Il 4 dicembre 1782 ricevette il quarto grado scozzese della «Stretta Osservanza» e l’11 febbraio 1783 aderì agli «Illuminati».
Fu anche sovrintendente ai musei, e – come si è detto – nel 1782 venne insignito del titolo nobiliare. Quel periodo di radicali cambiamenti, e senza dubbio negazione di sé, finì quando Goethe, nel 1786, all’insaputa di tutti, fuggì in Italia.
Goethe e il viaggio in Italia
Il vero momento di svolta della sua vita è segnato dal viaggio in Italia, desiderato da molto tempo e intrapreso per numerosi motivi: la volontà di allontanarsi da Charlotte e da Weimar ma, soprattutto, la voglia di trovare nuovi stimoli.
Dopo aver visitato le città dell’Italia settentrionale, la Sicilia, Napoli, Goethe si stabilì a Roma e iniziò a studiare l’arte, l’architettura e la letteratura della Grecia, di Roma e del Rinascimento.
Questa esperienza verrà narrata, molti anni dopo, nel Viaggio in Italia. Nella terra del sole e dell’equilibrio delle forme, Goethe compirà la sua evoluzione artistica, avvicinandosi al classicismo e ad un ideale di misura sentimentale e intellettuale. Soprattutto il viaggio in Sicilia divenne un momento fondamentale nel suo viaggio, poiché fece scatenare un amore per l’isola e le sue realtà variegate.
L’amore e i viaggi in Sicilia
Sul viaggio compiuto da Goethe in Sicilia è celebre la famosa espressione la Sicilia come “chiave di tutto”.
Tuttavia esso rappresenta, come ha sottolineato Michele Cometa nel suo testo Goethe e i siciliani, edito da Palermo University Press, una vera e propria “macchina mitologica”.
Uno dei tanti aspetti a livello paesaggistico di cui rimane colpito Goethe è sicuramente il clima e il paesaggio urbano che trova a Palermo. A riguardo il poeta tedesco scrisse:
Come essa ci abbia accolti non ho parole per esprimere: gelsi d’un verde appena nati, oleandri sempre verdi, spalliere d’agrumi […]; in un giardino pubblico [villa Giulia] grandi aiuole di ranuncoli e di anemoni. L’aria è dolce, mite, profumata; il vento tiepido. La luna sorgeva dietro ad un promontorio e si specchiava nel mare: quale godimento dopo aver passato quattro giorni e quattro notti in balia delle onde!
Nella descrizione dei suoi viaggi in Sicilia, Goethe descrive la sua visita al santuario di Santa Rosalia, a villa Palagonia a Bagheria e i templi di Segesta ed Agrigento.
>> Leggi anche: Goethe, la Sicilia, i siciliani: il dialogo delle affinità nel libro di Michele Cometa
Le frasi celebri di Goethe sulla Sicilia
Nel corso del suo itinerario, Goethe descrive il clima, il paesaggio della Sicilia. Quando arrivò a Palermo, come si è visto, rimane estasiato dal paesaggio e dal clima.
Quando visitò la domenica di Pasqua Monte Pellegrino, sede del santuario di Santa Rosalia, esclamò:
forse tutta la cristianità […] non possiede altro santuario che sia addobbato e venerato in modo più ingenuo e commovente.
Tuttavia rimase inorridito dinnanzi alla quantità di sporcizia per le strade della città. In merito a tanto orrore si pronunciò con le seguenti parole: “si ha paura che, a portar via tutto questo letamaio, si veda ancor più chiaramente in quali pessime condizioni si trovi il lastricato della via; per cui si scoprirebbero alla loro volta anche le magagne della pubblica amministrazione”.
Il lunedì di Pasqua, si recò a Bagheria per visitare Villa Palagonia. Il giudizio di Goethe sulla cosiddetta “villa dei mostri” è assolutamente negativo, come anche emerge dalla descrizione data dallo storico Nicola Cusumano nel libro Mostri e prodigi. La Sicilia e il meraviglioso, edito dalla Palermo University Press.
Ne rimase sconcertato e si dispiacque di aver sprecato tutto il giorno per vedere delle mostruosità che, secondo lui, erano figlie della mente di un folle, di uno squilibrato.
Rimase disgustato sia degli arredamenti eccentrici della villa, sia delle statue mostruose, sostenendo che “l’aspetto disgustoso di questi mostri abborracciati da un qualsiasi tagliapietre, è reso ancora più evidente dal volgarissimo tufo in cui sono scolpiti”.
La Sicilia per Goethe rappresentò una sineddoche storico-socio-culturale, potremmo dire, una chiave di lettura per leggere i problemi legati alla penisola italiana del XIX secolo.
Il ritorno a Weimar e la morte del letterato tedesco
Al ritorno a Weimar, lo studioso rinunciò a quasi tutti gli incarichi e si legò stabilmente a Christiane Vulpius (1765-1816), una semplice fioraia.
La pubblicazione delle Elegie romane (Römische Elegien), racconto del periodo italiano, suscitò indignazione per i suoi aspetti sensuali e licenziosi. Nel 1790 fece un breve viaggio a Venezia che gli ispirò gli Epigrammi veneziani (Venezianische Epigramme). Scrisse la Metamorfosi delle piante e i Saggi sull’ottica. Non condivise gli ideali della rivoluzione francese; fu invece ammiratore di Napoleone, pur avendo capito che era un tiranno, che ebbe modo di conoscere nel 1808.
L’insieme degli eventi chiuse Goethe in una sorta di isolamento sociale, ma soprattutto spirituale. La consapevolezza di essere incompreso e la dolorosa coscienza della propria momentanea aridità poetica lo portarono al disprezzo e rifiuto di tutto ciò che fosse lontano dal proprio modo di pensare. Dal 1794 si dedicò principalmente alla letteratura. Nel 1808 uscì l’edizione Opera omnia in 12 volumi, ma ancora doveva pubblicare Le affinità elettive (Die Wahlverwandschaften) e la Teoria dei colori.
Negli ultimi anni conobbe e si affezionò al giovane Felix Mendelssohn, che lo intratteneva con la musica e la colta conversazione. Dopo una vita di straordinaria fecondità creativa, morì nel 1832 a Weimar.