Henri Bresc, lo storico che si innamorò della Sicilia con “Il Consiglio d’Egitto” – Parte prima
Lo studioso, le sue passioni, I temi che lo hanno condotto a una riscrittura dell’Isola raccontato da una testimone d’eccezione: Laura Sciascia
Come storici della Sicilia medievale, io ed Henri Bresc siamo figli dello stesso padre: che nel mio caso è anche padre biologico. Nel 1966 Bresc, sul punto di scegliere un tema per la sua ricerca medievistica. era stato decisamente influenzato dalla lettura del Consiglio d’Egitto.
“Il montrait…un homme des Lumières, un révolutionnaire, l’abbé Vella, engagé dans l’établissement, par un faux génial, des bases juridiques de l’abolition de la féodalité et de la libération des forces productives […]. Il saississait impitoyablement le rapport entre l’établissement du féodalisme dans l’Île et sa nouvelle dependance, sa périphérisation”.
Dopo un paio d’anni, io, avviata senza troppa convinzione agli studi storici dopo che mio padre aveva sperimentato – scrivendo appunto Il Consiglio d’Egitto e Morte dell’inquisitore – il fascino e i limiti della ricerca d’archivio, intuii per la prima volta la passione che si poteva provare per questo lavoro. Accadde quando sempre mio padre, tornando da un incontro con Georges Vallet, Maurice Aymard e altri studiosi francesi (credo in occasione della pubblicazione del Viaggio in Sicilia e Malta di Jean Houel) descrisse l’entusiasmo e l’emozione del più giovane di loro, Henri Bresc, per gli atti notarili che studiava, in cui “si sentiva scorrere la vita”.
Ma, mentre io sono rimasta a raccogliere fronde sparse, testamenti ed altri Acta Curie, Henri ha riscritto la storia della Sicilia, in quella che noi, suoi coetanei, continuiamo a chiamare “la tesi” e che i più giovani consultano come un classico: i due monumentali volumi di Un monde méditerranéen. Economie et societé en Sicile, 1300-1450.
Monumentale per dimensioni, classica perché indispensabile a chiunque si voglia occupare di storia della Sicilia, l’opera di Bresc mantiene ancora, un quarto di secolo dopo la sua pubblicazione, la freschezza a volte provocatoria di quando è stata scritta. E sotto il titolo austero svela sempre al lettore – e al rilettore – quel rigoglioso, vegetale, germogliare di idee (in siciliano germogliare si dice scattare, scoppiare: e questo verbo mi è sempre venuto in mente parlando con Henri) che da ormai più di quarant’anni è il risultato dello sguardo di Bresc sulla Sicilia. Al di là dell’attenzione dedicata alla storia economica siciliana e mediterranea e al meccanismo dello scambio ineguale, altri due libri di Bresc, Livre et société en Sicile e Arabi per lingua, ebrei per religione, rivelano, infatti, l’acutezza radiografica di questo sguardo che identifica il nocciolo della diversità storica siciliana nella sua cultura.
Livre et société en Sicile, pubblicato nel 1971, dimostrava lucidamente il progressivo disseccarsi del mondo culturale siciliano, erede di una tradizione ricca e originale, su una cultura giuridica “funzionale”, appiattita su modelli stranieri. Trent’anni dopo, tornando alle origini della cultura siciliana, Arabi per lingua, ebrei per religione esaminava la comunità ebraica dell’isola nella sua particolarità, l’uso prolungato dell’arabo, che, unendo alla diversità religiosa quella linguistica, consente la sopravvivenza di un’antica cultura fino alla fine del Medioevo, mantenendo un sottile ma solido legame col mondo arabo-normanno.
Lungo i margini di questo netto percorso è cresciuta quella che può sembrare una foresta, ma è in realtà un giardino: a cominciare proprio da quei Jardins de Palerme che illuminavano il rapporto tra natura ed uomo che si sviluppava attorno alla capitale del regno, per continuare con lo studio della composizione e del processo di acculturazione dei musulmani di Sicilia nel regno normanno. Con l’analisi in una nuova prospettiva del Vespro (1282: Classes sociales et révolution nationale); con la lettura storica e filologica della topografia di Palermo (In ruga que arabice dicitur zucac: les rues de Palerme (1070-1460), Filologia urbana: Palermo dai Normanni agli Aragonesi); con l’attenzione al territorio e alle sue trasformazioni grazie anche all’apporto dell’archeologia medievale e alle campagne di scavo a Brucato e a Calatameth (Il casale suburbano e la sua eredità: l’esempio di Noto, Structure et évolution de l’habitat dans la région de Termini Imerese, Problemi di storia dell’insediamento nella Sicilia medievale e moderna; Motta, Sala, Pietra: un incastellamento trecentesco in Sicilia, Désertions, regroupements, stratégies dans la Sicile des Vépres, Mulini e paratori nel Medioevo siciliano). Con il Mediterraneo, le sue navi, le sue vie, i suoi mercanti e i suoi pirati; con le isole minori, Malta e Pantelleria, come tessuto connettivo di quel mondo (Pantelleria entre l’Islam et chrétienté, Malta dopo il Vespro siciliano, Sicilie, Malte et monde musulman, The «Secrezia » and the Royal Patrimony in Malta, Iles et tissu ‘connectif’ de la Méditerranée médiévale). E soprattutto, strettamente connesse tra di loro, con le ricerche sulla lingua e sulla cosiddetta“cultura materiale”, passando dai nomi di luoghi, persone e cose al loro uso e alla loro storia.
L’opera di Bresc ha avuto ed ha un ruolo particolare nello svolgimento della storiografia siciliana degli ultimi decenni, perché è stata un valido baluardo contro una tendenza sempre in agguato nel percorso di ricerca degli storici siciliani. Quella di ripiegarsi su sé stessi, di prestare un’attenzione ossessiva alle vicende e ai personaggi della storia isolana. Il perimetro geografico e quello storico del Trecento siciliano, del regno di Trinacria, sono difficili da superare. Quel senso di diversità che è stato definito col termine “sicilitudine” – un termine, ricordiamolo, coniato sulla négritude di Senghor, e dunque derivato dalla cultura francese – in campo storico diventa facilmente patologico, e la minaccia dell’autosegregazione è sempre presente.
Per i medievisti siciliani, Bresc è stato un compagno di strada e un interlocutore salutare, percorrendo strade nuove insieme ad archeologi o linguisti, reimpostando la ricerca d’archivio e la tecnica di lettura del documento, sostenendo ricercatori appassionati nelle sabbie mobili della storia locale, aprendo dialoghi fertili e vivaci, non privi in alcuni casi di spunti polemici. E, infine, liberando definitivamente la storiografia siciliana dall’orizzonte claustrofobico della “Sicilia aragonese”. Francesco Giunta, tradizionalista in apparenza, in realtà curioso e aperto alle novità fino all’inquietudine, colse rapidamente e concretamente quello che Bresc poteva rappresentare per gli studi medievistici in Sicilia, e volle sancire questo rapporto con la partecipazione dell’Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Palermo all’edizione di Un monde méditerranéen.
Diversi saggi della produzione di Henri Bresc sono scritti in collaborazione con altri studiosi: con Ninni Giuffrida, Franco D’Angelo, con padre Rocco, siciliani, con Maurice Aymard, Pierre Guichard, Annelise Nef, francesi, per ricordare alcuni nomi.
In tutti, la parte di Henri e quella della persona che ha lavorato con lui sono perfettamente amalgamate, ma dietro l’omogeneità del risultato stanno sicuramente il piacere di lavorare insieme e la felice umiltà dello studioso, che ne fanno un compagno di lavoro irresistibile. Ma la maggior parte dei lavori scritti insieme ad un’altra persona sono quelli con sua moglie, Geneviève Bautier: e qui, ancora, debbo parlare di qualcosa di personale, perché io e mio marito, Salvatore Fodale, abbiamo in comune con i Bresc l’inconsueta storia di un matrimonio che da quasi quarant’anni è anche una stretta vicinanza di lavoro. Ma mentre la dialettica coniugale e professionale tra me e mio marito ci ha prudentemente tenuti al di qua della vera e propria collaborazione, Henri e Geneviève si sono espressi come coppia anche nella scelta dei temi da affrontare insieme. Spesso legati alla ricerca archeologica, che per loro credo sia stata galeotta, alla casa o, in omaggio agli interessi specifici di Geneviève, storica dell’arte e sovrintendente al Louvre, all’arte, dal soffitto dello Steri alla progettazione dell’Orto botanico di Palermo, alla fine del ‘700.
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