Henri Bresc, lo storico che si innamorò della Sicilia con “Il Consiglio d’Egitto” – Parte seconda
Lo studioso, le sue passioni, i temi che lo hanno condotto a una riscrittura dell’Isola raccontato da una testimone d’eccezione: Laura Sciascia
Vent’anni fa, alcuni dei saggi di Bresc furono riuniti in un volume (Politique et société en Sicile XIV-XV siècles). Una scelta rigorosa, limitata ad articoli classici – molti li ho citati sopra – e ai temi basilari delle sue ricerche, ma tutt’altro che sufficiente per le esigenze dei suoi lettori e discepoli, specie siciliani. Ad ogni problema, ad ogni incertezza, ad ogni documento più o meno interessante, chiedersi se non l’avesse già studiato, esaminato, risolto Bresc è il tarlo ineluttabile per lo studioso del medioevo siciliano, che provoca sempre l’affannosa ricerca nella memoria e nelle biblioteche, la consultazione di indici di riviste e dei ricordi dei più anziani, e lascia il dubbio che qualcosa comunque sfugga.
L’anno scorso, gli allievi francesi di Bresc – Benoît Grévin, Annelise Nef e Emanuelle Tixier – gli offrirono un volume di saggi (Chrétiens, juifs et musulmans dans la Méditerranée médiévale), che conteneva, com’è d’uso, anche la bibliografia delle opere del maestro. Di fronte alle trecento voci di quell’elenco l’istanza di raccogliere in volume almeno una parte di quel bendidio era chiaramente improrogabile. Ma stabilire un criterio di scelta e selezionare i testi non era facile: Bresc stesso, infine, ne ha selezionati alcuni, raccogliendoli in base a vasti ambiti di ricerca, e io e Ninni Giuffrida abbiamo poi effettuato la selezione definitiva, non senza esitazioni, ripensamenti e rimpianti. Marcello Pacifico, il più giovane degli allievi cresciuti da mio marito e da Henri nell’ambito di un antico progetto Erasmus, ha curato l’assemblaggio e la presentazione dei testi.
Un tema si imponeva con immediatezza: quello della Sicilia normanna, del suo ruolo nel mondo mediterraneo e dell’evoluzione della sua composita popolazione: già nelle più antiche ricerche (Mudéjars des pays de la Couronne d’Aragon et sarrasins de la Sicile normande: le problème de l’acculturation, del 1975; Féodalité coloniale en terre d’Islam. La Sicile (1070-1240), del 1978, entrambi raccolti nel volume del 1990), Bresc indicava la via per esorcizzare i «vieux phantasmes d’un optimisme qui prend ses racines dans les images idéalisées du Siècle des Lumières», mentre sottolineava la capacità della feudalità normanna di raggiungere un efficace compromesso con il passato islamico: l’analisi minuziosa dei tre atti di vendita contenuta nello studio sulla Propriété foncière des Musulmans dans la Sicile du XIIe siècle segna il punto d’arrivo di questo itinerario, ampiamente descritto in Les Mozarabes siciliens (1100-1300).
Il secondo gruppo di saggi è un percorso negli ultimi secoli del Medioevo siciliano, dalla Sicilia di Carlo d’Angiò a quella di Alfonso il magnanimo, passando attraverso la vita cittadina dei maggiori centri siciliani del XIV secolo. Dal progetto di una “Svizzera insulare”, proposto dal Vespro contro una monarchia angioina che riprendeva di fatto puntualmente le strutture amministrative e le tradizioni di quella normanno-sveva, attraverso il “regno errante” di Martino di Montblanc – Bresc adopera questa espressione per indicare la costituzione, da parte di un sovrano conquistatore, di una sua struttura di governo e di un gruppo di nobili a lui legati – si arriva così al progetto dell’impero personale, tutto rinascimentale, di Alfonso il magnanimo, osservato dal punto di vista – è il caso di dire dall’angolo – siciliano, dove l’antica tradizione di fedeltà alla monarchia si dissolve e si risolve in un nuovo legame tra sovrano e sudditi, uomini di cultura o soldati di ventura.
L’esame del ruolo degli stranieri, legati alla monarchia o presenti nelle strutture politiche e sociali delle città, e del meccanismo di concessione della cittadinanza porta, invece, alla Sicilia isolana del XIV secolo, in un momento in cui si percepisce la scissione tra il potere dei feudatari e dell’aristocrazia catalana e quello del “Palazzo”, sopravvivenza dello Stato normanno e federiciano.
> La prima parte e la terza parte dell’articolo