I diari di viaggio: la lente per guardare la Sicilia del Grand tour
Un’isola che passa attraverso il moto dell’arcadia e lo “sguardo massonico” e che ha ispirato Léon Dufourny nella realizzazione del progetto dell’Orto botanico
La Sicilia, l’Etna, Catania, Palermo, la Valle dei templi di Agrigento.
Il momento finale del Grand tour, quel viaggio iniziatico intrapreso da intellettuali – ma anche da giovani rampolli delle famiglie che contavano nella realtà della nobiltà europea – come epilogo del percorso di formazione. Prima dell’affidamento di responsabilità politiche, amministrative o gestionali che li attendevano nei loro Paesi di origine.
Un diario, dei disegni costituivano la testimonianza di questi viaggi che si svolgevano secondo degli standard organizzativi ben precisi: non solo la visita delle vestigia della civiltà greca ma anche la permanenza nelle principali città dell’isola e soprattutto il contatto con la classe dirigente siciliana, con gli intellettuali, con la realtà antropologica del quotidiano.
La rete relazionale di supporto utilizzata dai viaggiatori per potersi relazionare con la realtà siciliana era costituita dal fitto reticolo di logge massoniche nelle quali erano presenti non solo i quadri del governo politico, come il viceré, ma pervadevano l’intera società. I diari dei viaggiatori, le loro raccolte di incisioni e di disegni costituiscono la testimonianza del come loro vedevano e soprattutto “leggevano” la realtà siciliana.
Rileggendo l’incipit dello stimolante lavoro di Michele Cometa, “Goethe e i siciliani Il dialogo delle affinità” (Palermo University Press, Palermo, 2019), riusciamo ad avere una chiave di lettura da utilizzare per muoverci all’interno dell’oceano di materiale prodotto con un minimo di consapevolezza e di visione:
Il viaggio e il soggiorno di Goethe in Sicilia costituiscono certamente uno dei grandi miti letterari della Modernità. Da esso – vera “macchina mitologica” – si dipartono e a esso tendono le fila dei grandi progetti della Goethezeit, dalle mitologie intorno alla vagheggiata Arcadia, alle teorie sull’analogia universale esemplificata dalla metamorfosi delle piante, dalla teoria dei colori ai miti più personali della formazione dell’artista. Quando Goethe, il 20 maggio 1815, scrive all’amico Karl Friedrich Zelter che la sua Italienische Reise sarebbe diventata una «graziosa fiaba» (anmuthiges Märchen) si fa consapevole artefice di questa mitologizzazione.
La Sicilia come l’Arcadia è infatti un mito che si costruisce anche grazie alla stretta interconnessione che i viaggiatori realizzano con la fitta rete delle logge massoniche presenti nell’Isola e con gli intellettuali pervasi dall’impatto con l’illuminismo, che rappresenta il substrato che interfaccia il viaggiatore con la Sicilia, i suoi paesaggi, la sua storia.
Il mito è la lente colorata attraverso la quale si legge la Sicilia, sullo sfondo sta l’antropologia dei siciliani che costituiscono l’elemento di disturbo, in grado di turbare l’equilibrio del mito, che i viaggiatori liquidano spesso con giudizi piuttosto iconoclastici.
Un approccio alla letteratura odeporica dedicata alla Sicilia ci sommergerebbe. Per percepire al meglio questo contrasto tra mito e antropologia consiglio la lettura di un diario di viaggio, sconosciuto alla maggioranza, redatto sotto forma di diario di Léon Dufourny che soggiornò in Sicilia tra il 1789 e il 1793 quando la Rivoluzione francese lo costringe ad abbandonare l’Arcadia siciliana.
Leggere integralmente il diario ci permette di entrare nella quotidianità del suo rapporto con la Sicilia e i siciliani. La descrizione del festino di Santa Rosalia, che troviamo in molti dei viaggiatori stranieri in Sicilia, rappresenta la cartina di tornasole del suo rapporto tra il mito della Sicilia Arcadia e la sua realtà antropologica.
Nel pomeriggio, inaugurazione dei festeggiamenti di Santa Rosalia con la sfilata del suo carro trionfale. La storia di questa santa, della quale si celebra la festa con tanta ricchezza, è talmente poco nota che se ne ignora perfino la data e il luogo di nascita. Solo che un gesuita, per farsi bello agli occhi dei palermitani, ha redatto un libro intitolato Acta de S. Rosalia, a Johanne Stiltengo jesuita, 1741.
Santa Rosalia, con il suo carro, i giochi di artificio, le luminarie e lo “struscio” dei palermitani, viene liquidata con una battuta.
Il mito della Sicilia comunque ha la prevalenza su Santa Rosalia e le rovine di Selinunte affascineranno Léon Dufourny e lo guidarono nell’elaborazione del progetto per la realizzazione dell’Orto botanico di Palermo che rimane a perenne testimonianza della sua adesione ai modelli classici con una profonda influenza della cultura massonica.