Il digitale al servizio della Storia, o il contrario?
La didattica della storia
La “didattica della storia” è un campo di studi piuttosto problematico, soprattutto quando intende presentarsi come disciplina a sé stante, con un proprio statuto epistemologico. Il principio che alcuni sostengono è che essa non possa svilupparsi autonomamente a partire dall’esperienza degli stessi storici, ma debba comprendersi attraverso una relazione virtuosa con le riflessioni di carattere pedagogico, creando di fatto una sintesi tra le due discipline, peraltro secondo un criterio gerarchico che relega lo specifico disciplinare in posizione subordinata. Se, da una parte, la stessa metodologia della storia non può concepirsi senza un confronto con riflessioni di carattere filosofico, allo stesso modo la pedagogia ha sempre tratto la sua forza nel momento in cui ha agito all’interno delle stesse riflessioni filosofiche, cui poteva o meno aderire, evitando di cadere in una specializzazione tecnicistica, trasformandosi cioè in pura pratica; esito infelice per un’esperienza, quella didattica, dove la relazione esistenziale e la trasmissione di conoscenza tra soggetti con esperienze differenti introduce variabili di carattere sociale e spirituale che evitano qualsiasi approccio deterministico. L’insegnamento non si riduce allora a un incontro tra tecniche e pratiche, bensì fa sempre riferimento a una problematizzazione della realtà rispetto a una determinata concezione del mondo. La questione relativa alla didattica della storia sviluppatasi negli ultimi anni è stata condizionata invece dalla aprioristica convinzione che la pedagogia abbia ormai compiuto un definitivo salto epistemologico, in qualche modo affrancandosi dalle problematiche filosofiche; ridotta a tecnica, a «scientismo pedagogico» [la definizione è di C. Laval, F. Vergne, p.177] essa basa la propria legittimazione dall’avere compreso le procedure capaci di rendere efficaci i processi di apprendimento; una convinzione cognitiva che tende a snaturare le caratteristiche delle discipline caratterizzate in primo luogo dalla facoltà interpretante (la storiografia nel caso della storia), per sostituirvi procedure formalizzanti, sacrificando i contenuti ai risultati “attesi”. Un discorso che abbiamo già proposto più volte.
La difficoltà del singolo sapere disciplinare a ribadire la propria rilevanza
Risulta evidente come in questo contesto, nonostante tutti gli sforzi da parte degli apologeti di tale nuovo approccio pedagogico nel ribadire come esso non trascuri e umili affatto le discipline, il singolo sapere disciplinare ha difficoltà a ribadire la propria specificità e rilevanza, soprattutto nel discorso formativo; o può farlo solo sacrificando se stesso, in vista di obiettivi formativi completamente estranei, alternativi a quelli che per lungo tempo sono stati invece al centro della vita didattica della scuola italiana. Quanto più lo sforzo risulta difficile, tanto più si moltiplicano le pubblicazioni tese a legittimarlo. Si potrebbe individuare una specifica tecnica retorica messa in atto per raggiungere lo scopo, tesa a parcellizzare, a illuminare singoli momenti parziali, che perdono di vista – volontariamente però – un prospettiva olistica sulla disciplina stessa; non rendendosi conto così di umiliarla nelle sue più specifiche caratteristiche sia contenutistiche, sia metodologiche e formative.
Un esempio
Nel caso della didattica della storia, ne forniscono un esempio diverse pubblicazioni, la cui stessa struttura manifesta la debolezza del tentativo. Vorremmo proporre qui un riferimento al volume “I Linguaggi della Contemporaneità. Una didattica digitale della scuola.” (AA.VV, Il Mulino, Bologna 2018). Lo studio manifesta una sua ambizione, in quanto intende fare il punto sulle potenzialità che il digitale possiederebbe per sviluppare al meglio l’insegnamento della storia. E i singoli contributi che lo compongono sono in buona parte di notevole interesse. Lascia però perplessi l’impianto generale, una disomogeneità di fondo che rende il testo forse utile per singole pratiche settoriali, ma non capace di offrire una valutazione ad ampio spettro sulle problematiche che la didattica della disciplina conosce nei tempi presenti.
Il ruolo arricchente dell’universo digitale
L’introduzione, dovuta all’autorevole penna di Giovanni de Luna, si preoccupa di mostrare come l’universo digitale, riferito al sapere storico, e considerato dunque prevalentemente come fonte archivistica, non possa che svolgere un ruolo arricchente sia per la ricerca storica sia per la pratica didattica. Lo storico mostra l’analogia del ricercatore “digitale” con lo «storico orco» di Marc Bloch. Vi si ritrovano però alcuni giudizi (che appaiono a dire il vero più affermazioni aprioristiche prive di evidenza empirica) che tendono a cedere alla teoria del digitale come nuovo modello cognitivo, destinata a superare la relazione della frontalità, anche in questo caso descritta in modo generico, manifestando una conoscenza non adeguata dell’attuale mondo della scuola. Si mostra allora una fiducia eccessiva nel «mediatore», senza che venga data una spiegazione convincente del perché sarebbe più efficace (immaginiamo rispetto al libro cartaceo) nel trasmettere un determinato sapere. Insomma, in questa introduzione ci sembra si rifletta un limite che appartiene poi a diversi saggi del volume: si passano in rassegna i diversi strumenti collegati alla didattica digitale, senza riuscire pienamente a convincere sul fatto che il loro uso rinnoverebbe la didattica favorendo migliori processi d’apprendimento. I saggi dedicati al valore delle immagini e alla fotografia, oppure al cinema, sono assolutamente pregevoli rispetto alla tematica che affrontano, individuando limiti e potenzialità del mezzo. Ma, nel farlo, la didattica viene praticamente tralasciata, salvo essere recuperata nelle righe conclusive, con un inferenza tanto banale quanto di scarsa pregnanza. Segno, come spesso accade in simile letteratura, che un apparato teorico appariscente, che sembra vincente solo sulla carta perché si appoggia su teorie dell’apprendimento mai verificate, quando poi deve concretizzarsi, manifesta tutta la sua insufficienza e non sa effettivamente tradursi in un prassi complessa, articolata, che possa vantare un effettivo carattere alternativo.
La centralità dei videogiochi
Ma l’elemento che più colpisce è la centralità che, in un paio di saggi tra i più voluminosi, assumono i videogiochi. In uno di questi, nel tentativo di esaltarne l’efficacia, se ne mettono paradossalmente in luce tutte le insufficienze. Praticamente, nessun videogioco può essere dedicato a un evento specifico, per il fatto stesso che il giocatore agisce nel determinare lo sviluppo degli eventi; l’unica loro validità, imponendo al giocatore stesso di fare la storia, è quello di mostrare un «percorso virtuale di crescita delle civiltà», in senso generico. Discutibile risulta anche l’affermazione per cui, essendo il giocatore un manipolatore di storia, il videogioco avrebbe il pregio di «rimediare al determinismo» con cui spesso la narrazione storica procede. E favorirebbe, peraltro, la stessa pluridisciplinarità, guarda caso secondo quella discutibile generalizzazione tanto cara al ministero e al nuovo esame di stato («[…] con tutti i limiti dell’ipersemplificazione dei processi storici, riescono ad affrontare il tema dello sviluppo umano, culturale e sociale in una prospettiva di convergenza tra discipline (scienze politiche, antropologia, sociologia ma anche biologia, studio del territorio, meteorologia e cambiamento climatico»). Più antropologia che storia, a nostro parere; dove semmai la possibile caduta nel determinismo andrebbe combattuta attraverso l’approccio storiografico, non certo con tali strategie distraenti. Ma perché questa enfasi sul videogioco? Perché, come furbamente fa la nuova pedagogia, si offre un ritratto dell’alunno assolutamente deprimente, caratterizzato dalla tendenza alla distrazione, difficile da coinvolgere sul piano intellettuale rispetto al quale i saperi vanno fatti assumere in forma quasi inconsapevole («[…] i manuali […] risultano anche sufficienti a formare un sapere storico ben costruito? […] Se misuriamo l’atteggiamento di demotivazione vissuto dai ragazzi nei confronti della disciplina storica, le risposte non possono essere che problematiche e negative.»). Insomma, l’impressione è di uno scritto forzosamente apologetico verso i principi più discutibili del pedagogismo, che forza le analisi sui vari tipi di media digitali, per farli coincidere con tali assunti, considerati già in anticipo come validi e inaggirabili.
Un saggio dedicato alla vita di trincea nella Prima Guerra Mondiale
Anche il primo saggio, dedicato alla descrizione di un progetto didattico effettuato in un Istituto superiore di Piacenza, dedicato alla vita di trincea nella Prima Guerra mondiale, suscita perplessità. Innanzitutto perché la descrizione di un progetto di tal fatta lascia inevasi alcuni interrogativi: ha senso dedicarsi a questa tematica senza una conoscenza completa delle dinamiche relative alla Prima Guerra mondiale? In un monte ore di due alla settimana, che senso può avere conoscere molto bene la vita di trincea senza che poi si possa avere, per ovvi motivi di tempo, una conoscenza adeguatamente approfondita della storia del Novecento? Come si inserisce, quindi, un tale progetto all’interno della programmazione complessiva? Sospettiamo che si voglia accreditare quel proposito, da noi già discusso in altra sede, per cui al triennio delle superiori si debba solo svolgere ricerca storica su singoli argomenti, appoggiandosi a quanto svolto (sicuramente insufficiente!) durante i cicli inferiori. Una prospettiva che, a nostro parere, porterebbe all’annullamento della cultura storica a scuola.
Proseguiamo. Sicuramente risulta interessante un percorso di ricerca sulla vita nelle trincee; ma perché, al posto di realizzare una pubblicazione magari ricca di foto e di fonti d’archivio, si è voluto realizzare un videogame? Perché si deve sempre a priori scartare la forma didattica più efficace, come se l’impegno diretto nella disciplina fosse improponibile e di principio rifiutato dagli alunni? Veramente sarebbe impossibile impegnare gli studenti in una ricerca più consona? Onestamente, non sembra proprio essere questa l’evidenza empirica riscontrata dalla maggior parte dei docenti; e comunque sarebbe in primo luogo da stabilire caso per caso, per eventualmente ideare strategie didattiche a spingere gli alunni verso l’impegno di studio, piuttosto che assecondare la tendenza naturale alla distrazione. Nel saggio dedicato alla Graphic Novel si afferma, a nostro parere eccedendo in arrendevolezza, che l’approccio finzionale susciterebbe «nei fruitori quelle emozioni e quelle passioni che la manualistica non sa evocare». Un ragionamento a nostro parere assolutamente insufficiente, laddove l’identificazione emotiva («sentire la condizione umana di vittima, straniero, emarginato») spesso anch’essa produce reazioni tutt’altro che positivamente identificative, come qui ingenuamente affermato.
Pregi e limiti del volume
Sia chiaro: se ci si limita al valore informativo, il volume possiede indubbi pregi. Per esempio, il saggio dedicato all’analisi delle voci di storia su Wikipedia. Ma quando si arriva all’aspetto didattico, manifesta tutta la sua insufficienza. Per un errore di fondo: avere a priori considerate valide le opzioni teoriche del pedagogismo, e sulla base di questa adesione avere poi costretto le argomentazioni sulla varie possibilità del digitale ad aderirvi forzosamente.
Una necessaria scelta di campo
Sarebbe necessario prima proporre una scelta di campo: decidere se, in particolare nella scuola secondaria superiore, si debba procedere a un’esposizione comunque completa degli eventi storici nei vari secoli, oppure privare gli studenti di sufficienti conoscenze pregresse per realizzare singole ricerche specifiche. Soluzione quest’ultima a nostro parere esiziale per la disciplina. Sarebbe opportuno invece aumentare nuovamente le ore del curricolo, potenziare la didattica disciplinare e non i “traguardi per competenze”, e poi inserire in tale percorso una ricerca, sicuramente utile, di carattere monografico. Senza però cedere alla tentazione non necessaria di realizzare video games in cui la storia mantiene per forza di cose una posizione marginale. Ricordare che è il digitale a doversi subordinare alle discipline e non il contrario, come dimostrano gli studi più autorevoli, colpevolmente ignorati anche dal progetto Scuola 4.0 che proprio di questi tempi sta investendo le scuole di tutt’Italia.
Giovanni Carosotti