Il golpe separatista di Sindona in Sicilia: tutti i segreti e i nomi del complotto
La vicenda del finto sequestro di Sindona e della sua comparsa in Sicilia, delle finalità connesse a tale presenza nonché del ruolo che in tale vicenda ebbero la mafia e la massoneria, costituisce uno di quei fatti che fanno intuire quei “retroterra di segreti ed inquietanti collegamenti” di cui parlava Giovanni Falcone e in ordine ai quali negli ultimi anni si è cominciato ad indagare.
Numerosi sono ancora oggi i lati oscuri della vicenda relativa alla presenza di Sindona in Sicilia e se gli incontri avuti dallo stesso, a Palermo, con elementi di spicco della organizzazione mafiosa, al tempo stesso massoni, fosse finalizzata alla realizzazione di un golpe separatista o se tale tesi altro non fosse che un falso scopo di Sindona.
Qui non si intende dare una risposta definitiva a questi interrogativi, ma si cercherà di illustrare rigorosamente, attraverso le risultanze delle indagini giudiziarie (alle quali chi scrive ha preso parte), tutti i passaggi della inquietante vicenda evidenziando i collegamenti e le connessioni, giudizialmente accertate, tra mafia, massoneria ed altri poteri occulti, collegamenti e connessioni che potrebbero fornire una chiave di lettura dei numerosi omicidi di pubblici funzionari e rappresentanti delle istituzioni, verificatisi negli anni ’70 e ’80.
Occorre premettere che la vicenda di cui ci occupiamo venne inserita nel rapporto che il 7 maggio 1980 la squadra mobile di Palermo, il nucleo operativo dei carabinieri e il nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza presentarono all’allora procuratore della Repubblica Gaetano Costa. Con tale rapporto si denunciavano in stato di arresto 27 persone, ritenute appartenenti alla mafia, per il reato di associazione per delinquere. Il procuratore Costa ritenne che tutti gli arresti andassero convalidati e ciò in contrasto con i sostituti assegnatari del fascicolo i quali ritenevano che non vi fossero sufficienti elementi a carico dei denunciati per procedere alla convalida degli arresti. Il procuratore firmò personalmente le convalide.
In tale rapporto, stranamente non veniva denunciato per il reato di associazione a delinquere Michele Sindona, come sarebbe stato logico e conseguenziale, avuto riguardo a quanto riferito nello stesso rapporto in merito alla sua scomparsa da New York. Si accerterà poi, che tanto il questore che il dirigente della squadra mobile dell’epoca, erano entrambi iscritti alla P2. Il procuratore Costa verrà ucciso il 6 agosto 1980, in pieno centro cittadino, due mesi dopo avere apposto la propria firma sulla convalida degli arresti.
Le indagini comunque sulla presenza di Sindona in Sicilia vennero avviate e sviluppate dalla procura della Repubblica e dal giudice istruttore.
Nell’agosto del 1979 Michele Sindona si trovava a New York dove il successivo 10 settembre avrebbe dovuto subire, dinanzi all’autorità giudiziaria americana, un processo per bancarotta in relazione al fallimento della Franklin National Bank di New York. Nel pomeriggio del 2 agosto Sindona spariva da New York dove ricompariva il 16 ottobre 1979 presentando una ferita alla coscia sinistra.
Subito dopo la scomparsa, il finanziere siciliano aveva tentato di accreditare la tesi di un suo rapimento da parte di un “gruppo proletario eversivo per una giustizia migliore”, rapimento, a suo dire, motivato con il fatto che i suoi rapitori volevano entrare in possesso di documenti comprovanti i suoi rapporti con il mondo politico finanziario italiano. In particolare, secondo quanto scritto da Sindona in una lettera inviata al suo legale Guzzi, interessava ai rapitori la cosiddetta “lista dei 500” nella quale erano indicati numerosi personaggi del mondo della politica e della finanza che, tramite di lui, avevano illegalmente esportato capitali all’estero.
Per rafforzare la tesi del rapimento, in una delle lettere inviate dal Sindona all’avvocato Guzzi, veniva inserita una fotografia raffigurante lo stesso Michele Sindona e un cartello con la scritta “il giusto processo lo faremo noi”. In una telefonata del 26 settembre 1979, un uomo dall’accento siculo-americano, comunicava all’avvocato Gambino, altro legale di Sindona, il ferimento di quest’ultimo e sollecitava un incontro che avrebbe dovuto avere luogo dopo 5 o 6 giorni.
Il giorno 9 agosto si presentava nello studio dell’avvocato Guzzi, alle 9,45, una persona che gli consegnava un plico contenente un messaggio autografo di Sindona e un dattiloscritto. In quest’ultimo i “rapitori”, facevano presente agli avvocati Guzzi e Gambino che l’indomani entrambi avrebbero dovuto recarsi a Vienna per consegnare i documenti (lista dei 500).
Il “messaggero” veniva tratto in arresto ed identificato per Vincenzo Spatola, fratello di Rosario Spatola, entrambi appartenenti al clan mafioso Spatola, Gambino, Inzerillo. Indagini condotte dai giudici di Milano e di Palermo avevano peraltro accertato come Michele Sindona, durante la sua permanenza negli Stati Uniti, avesse contratto legami con esponenti del crimine organizzato siculo-americano. In particolare intratteneva rapporti diretti con John Gambino (nipote del noto boss di Cosa nostra Charlie Gambino) ed era consulente finanziario della società americana G&G (Gambino e Genovese) facente capo agli omonimi boss di Cosa nostra.
Alla luce di quanto emerso successivamente all’arresto di Vincenzo Spatola, si potè accertare che tutta l’operazione relativa al finto sequestro di Sindona fu gestita dalla mafia siculo americana e da altri personaggi insospettabili. Va evidenziato come Sindona risultò in possesso di un falso passaporto intestato a Joseph Bonamico, passaporto utilizzato anche da Rosario Spatola per una operazione di cambio di dollari USA, effettuata presso un noto istituto di credito palermitano. Il possesso di tale documento, valido per l’espatrio, presupponeva l’intervento di una organizzazione criminale, per l’appunto quella degli Spatola, Inzerillo, Gambino.
La venuta di Sindona in Sicilia, come emerso dalle indagini, era stata preordinata alcuni mesi prima del suo allontanamento da New York, avvenuto il 2 agosto del 1979 e che di tale progetto si erano in particolare interessati due personaggi legati a Sindona, Joseph Macaluso, originario di Racalmuto, costruttore edile e proprietario del Motel Conca d’Oro di Staten Island ed Antonio Caruso, ex impiegato della Barclay’s Bank e direttore del Motel Conca d’Oro.
Sindona dunque, partiva in compagnia del Caruso il 2 agosto da New York diretto a Vienna, munito di un falso passaporto intestato, come si è detto, a Joseph Bonamico e recante la sua fotografia. Il 6 agosto partiva da Vienna e si recava ad Atene dove incontrava Giacomo Vitale e Francesco Foderà. Tutti alloggiavano allo stesso Hotel Hilton.
Per organizzare il viaggio, Sindona si rivolgeva a Joseph Miceli Crimi, ex medico della polizia, massone e, come lui sosteneva, delegato della Massoneria Universale per l’unificazione delle famiglie massoniche italiane. Miceli Crimi, a sua volta, decideva di rivolgersi alla mafia e a tal fine, prendeva contatti con Michele Barresi, uno stimato professionista palermitano, affinché lo mettesse in contatto con Giacomo Vitale, cognato del noto boss mafioso Stefano Bontate.
È opportuno sottolineare che tanto Barresi quanto Vitale erano iscritti alla loggia massonica C.A.M.E.A. (Centro di Attività Massoniche Esoteriche Accettate). Miceli Crimi, interrogato dal giudice istruttore, giustificò il fatto di essersi rivolto a Vitale perché questi “era una persona che sapeva mantenere il silenzio”, così dimostrando di essere a conoscenza del fatto che si trattava di un affiliato mafioso.
Ma chi erano Giacomo Vitale e Francesco Foderà? Il pentito Antonino Calderone, nel corso della sua audizione svoltasi l’11 novembre 1992 dinanzi alla Commissione antimafia, parlando dei rapporti tra mafia e massoneria, nell’affermare che nel 1977 Cosa nostra aveva deciso che almeno due uomini d’onore per ogni famiglia dovevano iscriversi alla massoneria, precisava che il più attivo, in questa ricerca, era Giacomo Vitale, egli stesso massone e cognato del capo mafia Stefano Bontate.
Calderone poi evidenziava i buoni rapporti di cui, a suo dire, Vitale godeva nell’ambiente giudiziario, affermando: “Vitale andava spesso a Palazzo di Giustizia di Palermo e godeva di ampio credito presso i magistrati. Francesco Foderà, perito industriale alle dipendenze dell’EMS, così come Vitale, unitamente a quest’ultimo, poneva in essere minacce di ostruzionismo e di danni nei confronti delle imprese con le quali entrambi entravano in rapporti in relazione alla loro attività. In ciò si facevano forti del fatto che Vitale era il cognato del noto capo mafia Stefano Bontate”.
Il 14 agosto 1979 Sindona, insieme a Vitale e Foderà, con una nave di linea arrivava a Brindisi. Tutti e tre, con una vettura, da Brindisi raggiungevano Caltanissetta dove venivano ospitati in casa di Gaetano Piazza, anche egli massone e più precisamente “grado 33” nella Loggia che faceva capo a Miceli Crimi. Piazza li accompagnava poi a Palermo nella abitazione di Paolo Longo, ubicata nella piazza Diodoro Siculo 4, praticamente nel centro di Palermo.
Molto si è discusso sulle motivazioni che avrebbero indotto Sindona a venire in Sicilia inscenando il finto rapimento di cui si è detto. In particolare se la sua venuta in Sicilia fosse stata determinata dalla necessità di recuperare documenti rilevanti che potessero in qualche modo alleggerire la sua posizione processuale in USA o se invece fosse finalizzata alla realizzazione di un progetto separatista della Sicilia dall’Italia. Secondo quanto riferito da Miceli Crimi ai giudici, con la sua venuta in Sicilia, Sindona si prefiggeva la realizzazione di entrambe le suddette finalità.
Lo stesso Sindona infatti, gli avrebbe detto essere sua intenzione inscenare un finto rapimento per potere venire in Italia ed entrare in possesso di documenti da utilizzare nell’ambito delle sue vicende giudiziarie in USA. Sindona, peraltro gli avrebbe anche detto che lo scopo del suo viaggio in Sicilia era anche quello di organizzare la separazione di questa regione dall’Italia, il che sarebbe stato il primo passo per la lotta al comunismo.
L’ipotesi del “golpe separatista” emergerebbe, peraltro, anche da quanto riferito da Caruso Antonino, personaggio coinvolto, come si è visto, insieme a Joseph Macaluso, nella vicenda del finto sequestro di Sindona. Caruso infatti riferiva ai giudici palermitani di avere appreso da Macaluso che Sindona aveva intenzione di attuare un “golpe” che separasse la Sicilia dal resto dell’Italia, progetto questo che avrebbe incontrato anche l’appoggio di Washington e in Sicilia della massoneria e della mafia nonché di un gruppo di rivoluzionari provenienti da Roma, capeggiati da un individuo detto “il partigiano”. Macaluso gli avrebbe addirittura fatto vedere alcune lettere compromettenti intercorse tra Sindona e un ammiraglio americano vicino alla CIA.
Lo stesso Miceli Crimi, tuttavia, si dichiarava convinto che la storia del “golpe” separatista fosse soltanto un pretesto e che in realtà Sindona mirasse esclusivamente ad entrare in possesso di determinati documenti essenziali per la sua difesa nel processo che a New York lo vedeva imputato di bancarotta fraudolenta in relazione al fallimento della Franklin National Bank e che sarebbe iniziato il 10 settembre 1979.