Il potere istituente in Machiavelli, e la vita e la scrittura di Machiavelli nelle e per le istituzioni. Note su libri meno e più recenti.
Nel 1984 Roberto Esposito, allora docente di Letteratura italiana del Rinascimento nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli, pubblicava presso l’editore Liguori di Napoli il volume Ordine e conflitto. Machiavelli e la letteratura politica del Rinascimento italiano. Quattro anni prima, nel 1980, sempre presso lo stesso editore Liguori, aveva pubblicato La politica e la storia. Machiavelli e Vico.
Ordine e conflitto (1984) comprendeva saggi già presenti in riviste e saggi nuovi, che testimoniavano la solidissima conoscenza della letteratura politica del Rinascimento italiano attraverso le fonti primarie e la letteratura critica al tempo disponibile. In La figura del ‘doppio’ nell’immagine machiavelliana del Centauro (pp. 13-39) il problema sintetizzato nel titolo era quindi affrontato attraverso letture da Marsilio da Padova, Aristotele, Cicerone, Egidio Colonna, Agostino, Gregorio Magno, Isidoro di Siviglia, Tommaso d’Aquino, Dante, Giovanni di Salisbury, Manegoldo di Lauterbach, Francesco Patrizi, Enea Silvio Piccolomini, Filippo Beroaldo, Leon Battista Alberti, Bartolomeo Sacchi detto il Platina, Coluccio Salutati, Tolomeo da Lucca, Antonio Beccadelli detto il Panormita, Francesco Filelfo, Giovanni Pontano, John Wyclif, Ficino, Pico della Mirandola, Pietro Pomponazzi, Niccolò Machiavelli, Étienne De La Boétie.
Nel capitolo La fondazione etica della politica. Il mito del tiranno tra ‘Antico’ e Rinascimento (pp. 40-74) gli autori di riferimento erano Machiavelli, Thomas Hobbes, Francesco Vettori, Francesco Guicciardini, Eschilo, Erodoto, Euripide, Platone, Aristotele, S. Ambrogio, S. Agostino, S. Gregorio Magno, Isidoro di Siviglia, Seneca, Albertino da Mussato, Cicerone, Bartolo da Sassoferrato, Coluccio Salutati, Guarino Veronese, Giovan Battista Guarini, Giovanni Pontano, Antonio Brucioli, Pier Candido Decembrio, Leonardo Bruni, Gregorio Dati, Matteo Villani, Alamanno Rinuccini, Poggio Bracciolini, Lorenzino de’ Medici, Niccolò Machiavelli, mentre la letteratura critica era costituita sostanzialmente da Eugenio Garin e Hans Baron.
In Un’arte che non pare essere arte. La semantica dell’autocontrollo tra Petrarca e Castiglione (pp. 75-108) Esposito trattava il problema leggendo passi di – oltre a Francesco Petrarca e Baldassar Castiglione – di Severino Boezio, S. Agostino, Poggio Bracciolini, Dante Alighieri, Bonaccorso da Montemagno, Bartolomeo Sacchi detto Platina, Cristoforo Landino, Antonio De Ferraris detto il Galateo. La letteratura critica era rappresentata da Carlo Ossola, Adriano Prosperi, Amedeo Quondam, Carlo Dionisotti, Hans Blumenberg, Quentin Skinner, Francesco Tateo.
Il capitolo Il ‘posto del re’. Metafore spaziali e funzioni politiche nell’idea di ‘Stato misto’ da Savonarola a Guicciardini (pp. 111-178) leggeva passi dal primo volume della traduzione italiana Sei libri dello Stato di Jean Bodin nella edizione curata da Margherita Isnardi Parente nel 1964, Alberto Tenenti, Donato Giannotti, Paolo Paruta, Roberto Bellarmino, Pier Paolo Vergerio, Niccolò Contarini, Tacito, Giovan Battista Vico, Traiano Boccalini, Thomas Hobbes, Robert Filmer, John Fortescue, David Hume, Girolamo Savonarola, Bartolomeo Scala, Marco Antonio Sabellico, Giovanni Rucellai, Sallustio. Gli studiosi contemporanei le cui riflessioni critiche erano prese in esame erano Donald Weinstein, Nicolai Rubinstein, Renzo Pecchioli, Myron P. Gilmore, Delio Cantimori, Felix Gilbert, W.G. Bowsma, Francesco Ercole, A. Bonadeo, Nicola Matteucci, Giancarlo Mazzacurati, Jean-Jeacques Marchand, Federico Chabod, Umberto Mazzone, Alberto Tenenti, Carlo Dionisotti, John G.A. Pocock, Friedrick Meinecke, Gennaro Sasso, Giorgio Cadoni, Franco Gaeta, Innocenzo Cervelli, Leo Strauss, Vittorio De Caprariis, Enrico Gusberti, Emanuela Scarano, Augustin Renaudet, Corrado Vivanti, Erich Cochrane.
L’ultimo capitolo Ordine e conflitto in Machiavelli e Hobbes (pp. 179-220) prendeva in esame il problema in questione tramite le edizioni machiavelliane di Jean-Jacques Marchand, Mario Martelli, Fredi Chiappelli, e le edizioni hobbesiane di Arrigo Pacchi, Tito Magri, Gianni Micheli, Ottavio Nicastro. Le riflessioni di Max Horkheimer e Jürgen Habermas (quindi, la scuola di Francoforte dalle origini a uno dei suoi in parte prosecutori ancora vivente) accompagnavano la lettura dei due classici nella comprensione della «genesi multilineare e complessa del moderno» (p. 181) insieme a quelle di Norberto Bobbio, Michelangelo Bovero, Nicola Matteucci.
In questo capitolo, per la coppia concettuale Governo/Conflitto (pp. 183-192) analizzata attraverso letture di Carl Schmitt, Mario Tronti, Ferdinand Tönnies, Michel Villey, Francesco Ercole, Otto von Gierke, Anna Maria Battista, Gianfranco Borrelli, Agostino Biral, Nicola Badaloni, William Dilthey, Manfred Riedel, Pocock, Vittorio Dini, Leo Strauss, Reinhardt Koselleck, Roman Schnur, Roberto Esposito dedicava alcune pagine al ruolo di Roma nel pensiero machiavelliano (pp. 183-186). Qui il problema stato misto e il problema conflitto erano posti in stretta correlazione: Machiavelli «è certamente il solo ad apprezzare lo stato misto non nonostante ma proprio per la conflittualità sociale che esso innesca», scriveva Esposito in relazione a Discorsi, 81 (p. 184).
Elencare, come ho fatto sopra, fonti primarie e letteratura secondaria nel libro di Roberto Esposito del 1984 può avere un senso – come io credo – se si prende in considerazione il problema Machiavelli nella riflessione recentissima di Esposito, attraverso e dopo il suo passaggio dall’insegnamento di Letteratura italiana del Rinascimento a quello di Storia delle dottrine politiche (1987), quindi a quello di Filosofia teoretica (1993), compresi anche Filosofia morale e Biopolitica, approdando da Napoli a Salerno alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Non è infatti consuetudine degli studi machiavelliani che uno stesso studioso consideri l’opera di Machiavelli da diverse prospettive disciplinari, tutt’altro.
Tra il 2020 e il 2023 Esposito ha pubblicato quella che lui stesso ha definito una trilogia: Pensiero istituente (Torino, Einaudi, 2020); Istituzione (Bologna, il Mulino, 2021); Vitam instituere. Genealogia dell’istituzione (Torino, Einaudi, 2023).
I tre libri sviluppano un confronto serrato con il pensiero di Martin Heidegger, Gilles Deleuze, Michel Foucault, di Antonio Negri (ma non solo), opponendo ai due paradigmi di ontologia politica della ‘potenza destituente’ e del ‘potere costituente’ quello del ‘pensiero istituente’, alla cui origine è posto proprio Machiavelli per la sua valutazione del rapporto tra ordine e conflitto. Si tratta di una riflessione immersa nella crisi profonda della politica contemporanea, ai cui contenuti qui si può solo accennare. Lo scopo minimale è quello di attirare l’attenzione su questa trilogia, nella convinzione di chi scrive che possa essere molto utile anche a quegli storici modernisti che, in prospettiva indubbiamente dissimile, questi stessi problemi si pongono. E pure di segnalare come il problema delle istituzioni in Machiavelli sia centrale in un’altra recente monumentale monografia sul Segretario fiorentino, scritta a conclusione di decenni di ricerca da due studiosi che a partire dalla fine degli anni Ottanta dello scorso secolo sono stati i traduttori in francese e commentatori delle opere di Guicciardini, Machiavelli, Savonarola: Jean-Louis Fournel e Jean-Claude Zancarini, Machiavel. Une vie en guerre (Paris, Passés/Composés, 2020).
Tra il Machiavelli della trilogia di Esposito e quello di Fournel e Zancarini c’è un elemento in comune, a mio parere. Si tratta dell’importanza ricoperta per tutti e tre gli studiosi, per quanto più o meno esplicitata, dello studio di Claude Lefort del 1972, Le travail de l’oeuvre Machiavel. Nel terzo capitolo di Pensiero istituente (pp. 157-234) in cui peraltro Esposito tratta approfonditamente anche dell’istituzionalismo di Maurice Hauriou, Santi Romano, Léon Duguit – Lefort è centrale per la sua lettura di Machiavelli e Marx, e delle note di Gramsci a Machiavelli sul problema della realtà come prassi. Una lettura che sottolinea le tensioni interne «tra il Principe e la prospettiva repubblicana dei Discorsi. L’opposizione tra nobili e popolari, Repubblica e Principato, tiranno e legislatore, piuttosto che un ostacolo ermeneutico da superare, è al cuore dell’opera di Machiavelli. Non solo essa non va sfumata per salvaguardare la pretesa coerenza dell’autore, ma valorizzata come l’espressione di un discorso immerso nei contrasti del tempo. Machiavelli riproduce questa dinamica conflittuale, intensificandola, per far emergere la realtà in tutta la sua complessità. Il realismo, per tornare alla questione di partenza, non si riduce alla rappresentazione del reale come un unico campo di forze. Non consiste soltanto nel descrivere una data situazione, rintracciandone cause ed effetti, ma piuttosto nel sottoporla a una serie di domande che non sempre hanno risposta. La grandezza di Machiavelli sta proprio in questa consapevolezza – nell’indeterminazione in cui anche le sue tesi più nette sono calate, lasciandone apparire l’irresolubile problematicità» (Pensiero istituente, p. 196).
Rimanendo per il momento a Esposito, in Istituzione (2021) l’istituzione viene definita come «ciò che garantisce al conflitto politico di continuare a svolgere il proprio ruolo attivo e regolativo all’interno della società. Da questo punto di vista si può dire che, sotto il profilo genealogico, il primo pensatore del potere istituente sia stato Machiavelli. Nessuno come lui ha colto e teorizzato il carattere produttivo del conflitto politico nella società. Non in contrasto con l’ordine, ma in relazione necessaria ad esso. Diversamente da Hobbes, che pone in alternativa ordine e conflitto, condizionando la nascita del primo all’estinzione del secondo, per Machiavelli il conflitto è il motore fondamentale dell’ordine politico» (p. 61).
In Vitam instituere. Genealogia dell’istituzione (2023) Esposito riprende le problematiche già affrontate nei primi due libri della trilogia, dando particolare rilievo al ruolo di Machiavelli nel pensiero di Baruch Spinoza (terzo capitolo, pp. 59-86) dopo il secondo capitolo dedicato interamente a Machiavelli (pp. 31-58) e il primo capitolo su vitam instituere nel diritto romano (pp. 3-29). A Conflitto, nella riflessione di Lefort su Machiavelli sono dedicate alcune pagine (pp. 134-137) del quinto capitolo su Novecento (pp. 115-144).
Un «discorso immerso nei contrasti del tempo» quello di Machiavelli, come scrive Esposito in Pensiero istituente (p. 196). Una vita trascorsa e opere scritte all’interno e per le istituzioni del suo tempo, quelle di Machiavelli nella monografia di Fournel e Zancarini Machiavel. Une vie en guerre (2020). Nel capitolo 14, sul problema dei conflitti, si legge di come Machiavelli abbia pensato una storia politica, scegliendo Roma (pp. 255-259 Penser une histoire politique: le choix de Rome) in quanto la storia romana era per il Segretario fiorentino rivelatrice della storia fiorentina, proprio in relazione al problema della guerra interna e del ruolo del Tribunato della plebe. Per questo Machiavelli tratta il «tumulte comme question ouverte, radicalment ouverte, qui dit en partie comment l’histoire de Rome n’est pas un réservoir de modèles à reproduire, mais un boîte à outils pour penser la politique contemporaine, au risque de la contradiction, de l’ambiguïté ou du renoncement à proposer des solutions définitives» (p. 287).
Un ultimo punto in comune tra il Machiavelli di Roberto Esposito e quello di Fournel-Zancarini: Antonio Gramsci. Praticando esplicitamente la stessa metodologia seguita per Machiavel. Une vie en guerre, Zancarini ha scritto insieme a Romain Descendre, traduttore in Francia di Giovanni Botero e studioso di Botero, della ragion di Stato, e pure di Machiavelli, l’imponente biografia L’oeuvre-vie d’Antonio Gramsci (Paris, La Découverte, 2023).