Il saper vivere come vera sapienza: attualità di Baltasar Gracián – Seconda Parte
2.Sostanza e circostanza, essere e apparire
“Non basta la sostanza, occorre anche la circostanza”1. L’aforisma 14 costituisce una delle chiavi d’ingresso in Oraculo manual. Nell’agire è importante il “come in ciò che si fa”. E nella condotta di vita un bel portarsi ne costituisce l’ornamento. Da qui ha inizio l’intreccio inestricabile, continuamente riproposto dall’autore, fra gioco e vita, la visione della vita come gioco e del gioco come vita. Ciò è sottolineato dall’uso degli stessi termini, della stessa nomenclatura ludica. Quindi “il garbo è il baro dei gusti”2, ossia l’uso sapiente della tecnica del barare riesce ad intercettare le aspettative degli altri. “L’esperto giocatore non gioca mai la pedina che l’avversario immagina, e ancor meno quella che desidera”3: deve saper utilizzare più mosse non previste dall’avversario. “Trovare il chiodo fisso di ciascuno è l’arte di muovere i sentimenti (…) Di ciascuno occorre prima intuire il carattere, poi pungerlo sul vivo e scoprire la sua affezione, il che infallibilmente darà scacco matto all’arbitrio”4. Seguono ancora consigli che possono essere riferiti sia al gioco delle carte sia a quello degli scacchi, come il “saper scartare” considerata come miglior mossa5, l’alternarsi di coraggiose puntate e ritirate strategiche a tempo debito6, giocare la prima mano7, evitare la “matta”, il “banco”8. Come nel gioco, la fortuna è il combinato disposto di caso più abilità9.
E’ una vera sfida, un combattimento quello che si svolge fra il destinatario delle massime di Gracián e il suo ipotetico avversario: e l’arte del “muovere i sentimenti” è assimilata all’arte di saper muovere gli scacchi sulla scacchiera.
Fonti e riferimenti non espliciti sono costituiti da favole di Esopo e opere di Seneca in particolare. L’opera di Gracián è del 1649. Otto anni prima il chirurgo napoletano Marco Aurelio Severino ha scritto La filosofia ovvero il perché degli scacchi, pubblicata postuma da Antonio Bulifon nel 1690. 10 Contiene due opere: La filosofia degli scacchi e Dell’antica Pettia, in altre parole che Palamede non è stato l’inventore degli Scacchi. Questo è un ulteriore manuale di disciplina. Severino considera “la filosofia non dico giuoco ma miracolo et esempio de’ Giuochi”: 11 ad attirare l’interesse del medico calabrese verso gli scacchi è questo carattere particolare che si avvicina assai all’analogia, stabilita da Gracián, fra la dinamica del gioco e la condotta di vita. Severino tratta della “sottigliezza, sagacità, arte maravigliosa del giuoco degli scacchi”, della sua ampiezza, del suo collegamento con le arti e la filosofia, del “giuocatore perfetto”, delle “astuzie e stratagemmi dello scaltro giuocatore”. Il gioco è assimilato ad una “guerra formale”, ad un “combattimento”12.
“Milizia” e “malizia”13: anche la scelta delle assonanze diventa in Gracian un gioco a contrasto fra assonanza fonica e apparente dissonanza semantica. Ma in realtà milizia e malizia non sono in contrasto: anzi sono associate, quasi un’endiadi. “La sagacia combatte con mirati stratagemmi. Non fa mai ciò che indica; suggerisce sì, ma per sviare; accenna vagamente con abilità e opera in maniera impensata, sempre attenta a confondere. Butta là un’intenzione per assicurarsi dell’emula attenzione e subito dopo le si rivolta contro, e ha la meglio quando meno uno se l’aspetta. Ma la penetrante intelligenza la previene con mille attenzioni, la spia indirettamente, capisce sempre il contrario di ciò che vuole che si capisca e riconosce subito qualsiasi finta; lascia passare ogni intenzione esplicita e resta in attesa di un’altra e di un’altra ancora. Se vede che il suo artificio è stato scoperto, aumenta la simulazione e pretende di ingannare con la stessa verità: cambia il gioco per cambiare l’inganno, e fa del non artificio un artificio, fondando la sua astuzia sul più assoluto candore. Accorre l’osservazione che capisce la sua furbizia e scopre le tenebre rivestite di luce; decifra l’intenzione tanto più coperta quanto più semplice”14.
3.La sinderesi: principio di realtà e temperamento dell’immaginazione
La sinderesi è la capacità naturale di conoscere i principi morali universali e di distinguere il bene dal male. Per estensione, il vocabolario Treccani indica il significato di senno, discernimento. Per S.Tommaso e il Tomismo è la legge dell’intelletto che contiene i principi morali.
Sinderesi è uno dei termini più ricorrenti nell’ Oraculo. E’ chiamata in causa unita all’attributo di “prudentissima”, un’aggiunta fondamentale come richiamo al principio di realtà che deve sempre temperare l’immaginazione: “a volte correggendola, altre assecondandola: è il segreto di ogni buona riuscita, e anche un modo per regolare l’accortezza. Finisce per tiranneggiare, né si contenta di speculare, ma agisce e suole anche impadronirsi della vita rendendola piacevole o molesta, a seconda dell’eccesso in cui cade, perché rende contenti o scontenti di sé stessi. Ad alcuni figura dolori in continuazione, trasformata in boia domestico per gli stupidi. Ad altri prospetta felicità e avventure con allegra incoscienza. Tutto ciò riesce a fare se non le pone un freno la prudentissima sinderesi”15.
Altrove la sinderesi è richiamata per moderare “i mostri di stupidità, i vanesi, i presuntuosi, gli ostinati, i capricciosi, gli illusi, gli stravaganti, quelli che i atteggiano a tipi, quelli che fanno ridere e quelli che raccontano storie, gli esagerati, i settari e ogni genere di intemperanti (…) Ma chi potrà correggere un così grande e generale scompiglio? Dove manca la sinderesi non c’è posto per nessuna guida, e quella che dovrebbe essere una riflessione suscitata dall’irrisione è una mal riposta presunzione di un immaginario consenso”16.
Il gesuita avverte qui l’influsso della Seconda Scolastica, del Neostoicismo, dei “moralisti” e suggerisce il modello del laico cristiano17, sintesi di sinderesi e prudenza, di virtù teologali e cardinali, capace di coniugare carisma e autodisciplina. Gracián si distingue dai teorici della Ragion di Stato perché nella sua visione il “governo di sé” è prioritario e prerequisito del buon ordinamento dello Stato e delle sue tecniche: “Per quei re di sé stessi laici, allenati dal gesuita spagnolo e dai suoi intercessori greci e romani al governo di sé, alla ragion di Stato di sé stessi, parenti della ragione di Stato principesca, benché da essa distinta per un impegno molto meno esclusivamente politico, i loro fini personali, naturali e spirituali contano almeno quanto quelli dello Stato, che sono prevalenti per il principe. Essi devono non solo governare fermamente le loro passioni e la loro immaginazione, governarsi abilmente nel labirinto del mondo, ma trovare la giusta misura fra quanto devono al principe e allo Stato e quanto devono a sé stessi e a Dio”18
4.Il carisma e le qualità di chi comanda
Ma per realizzare il programma del perfetto cristiano, capace di governare sé stesso ed essere un buon suddito, è essenziale la guida. Gracián non usa mai il termine “carisma”, ma vi allude egregiamente quando, nell’aforisma 42, descrive i requisiti del comando: “una segreta forza di superiorità”, “il segreto vigore di una connaturata autorità”, “re per merito e leoni per privilegio innato che catturano il cuore e anche la ragione degli altri per il rispetto che ispirano”. I politici di prima qualità sono quelli “che muovono più loro con un cenno che altri con tante parole”19, coloro che persuadono senza parole e ottengono senza meriti20. Il carisma si esprime anche “con una nobile indifferenza che nasce dall’eleganza. Grande capacità di chi comanda è saper dissimulare”21.
Il carisma dunque è qui configurato come la perfetta sintesi di doni naturali ed esercizio, pratica di virtù dative. Il doni naturali come la “forza di superiorità” e la “autorità connaturata” devono essere mantenuti segreti e dissimulati dalla capacità di chi comanda. E’ evidente l’influenza, ancora una volta, del Neostoicismo, della sua visione della disciplina come simbiotica relazione fra chi esercita la capacità del comando e chi risponde con la disponibilità all’obbedienza: questa è la disciplina. Essa non è solo il fondamento del rapporto fra sovrano e sudditi, laddove il primo non è tale tanto per diritto dinastico quanto per “merito” e per la sua capacità di conquistare cuore, ragione e rispetto dei sudditi. La disciplina, così intesa, è anche il fondamento della politica e del potere. I suoi requisiti, virtù dative, in perfetto equilibrio fra loro, sono la forza, il consenso, il rispetto conquistati con la persuasione e non con il dominio violento, la dissimulazione, su cui si tornerà più avanti.
5.La prudenza meglio dell’astuzia
“Meglio prudenti che astuti. E’ a tutti gradita la sincerità nel comportamento, ma non tutti la praticano. La sincerità non arrivi a essere eccessiva ingenuità, né la sagacia eccessiva astuzia. Meglio essere venerati per la saggezza che temuti per la doppiezza. Chi è sincero è amato, ma anche ingannato. Il più grande artificio sarà occultare quanto si presenta come inganno”22.
In apparenza l’aforisma 219 rivela, meglio di altri, l’antimachiavellico gesuita Gracián. Quanto qui espresso è perfettamente in linea con l’inventario delle qualità di chi comanda: il consenso fino alla venerazione si ottiene meglio con la saggezza, il timore per la doppiezza e la furbizia non lo garantisce. Al tempo stesso, la sincerità deve essere sempre temperata con la sagacia prudente. Si tratta di ricercare il giusto mezzo che eviti gli eccessi, tra “la spontaneità” che “fiorì nel secolo d’oro” e “la malizia” che fiorisce “in questo, di ferro”23. Ma è davvero antimachiavellico il gesuita spagnolo? Non si direbbe se si legge attentamente l’aforisma 220 che recita: “E’ riuscita a fare più cose l’astuzia della forza, , e sono più le volte che i saggi hanno avuto la meglio sui coraggiosi che viceversa”24.
La prudenza è misura, è virtù che ha la funzione di applicare le direttrici della ragione alla vita umana, e a quella politica in particolare: Gracián accetta pienamente come punto di partenza la concezione della prudenza aristotelico-tomista. Ma le fornisce un’acuta inflessione verso il carattere pratico; è ben lontano dal realizzare un dualismo tra principio etico interno e puro machiavellismo delle massime ciniche di vita. Il suo obiettivo è il saper vivere, vale e adire l’autorealizzazione pratica dell’uomo25.
La logica del “giusto mezzo” è presente in tutta la trattatistica contemporanea barocca. Un esempio per tutti è il The Anatomy of Melancholy di Robert Burton26.
La personificazione della prudenza e del giusto mezzo era per Gracián Luis de Haro, l’ultimo valido di Filippo IV. L’abilità del de Haro fu quella di rispondere quasi alla lettera al ritratto del perfetto cortigiano proposto dal gesuita Baltasar Gracián nella sua opera El discreto, pubblicata nel 1646. Il tema del libro era la discrezione: la qualità che doveva definire e contraddistinguere la nuova nobiltà dei tempi nuovi. Tenere discrezione equivaleva a comprendere come dovesse essere vissuta la propria vita in maniera soddisfacente. A questa qualità dovevano essere unite altre di carattere pratico come la perspicacia, la pazienza, il discernimento, l’esperienza, il disinganno, capacità per percepire le cose come sono. Un anno dopo lo stesso autore pubblicava Oraculo manual: il controllo e la conoscenza delle virtù e dei difetti erano qui considerate fondamentali per la personalità del perfetto cortigiano e per la sua condotta di vita nel mondo considerato un campo di battaglia. Reputazione e apparenza da sole non erano sufficienti in assenza della verità, del merito, dell’intelligenza, della costanza e della virtù. L’opera era dedicata proprio al de Haro, nella sua qualità di vero modello, del quale il contenuto del libro non era che un’imitazione. “Alla fine de El Discreto le diverse qualità del nobile perfetto si presentavano congiunte nella persona di Haro, loro compendio e incarnazione dell’aspetto più importante della discrezione: la virtù della entereza”27.
1 GRACIAN, op cit., p. 18.
2 Ibidem.
3 Ibidem, p. 20
4 Ibidem, p. 23.
5 Ibidem, p. 25.
6 Ibidem, p. 28.
7 Ibidem, p. 39.
8 Ibidem, p. 49
9 Ibidem, p.
10 Cfr. D.D’ELIA, “Essercitando in me lo stile per iscoprire il vero”. Studi sull’opera scacchistica di Marco Aurelio Severino e sul “Frontespizio” inedito della “filosofia degli scacchi”, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005.
11 Ibidem, p. 73.
12 B.GRACIAN, La filosofia degli scacchi, cit. “ad indicem”.
13 B.GRACIAN, Oraculo manual, p. 18.
14 Ibidem.
15 Ibidem, pp. 22-23.
16 Ibidem, p. 87.
17 B. Gracian, che cerca anche di formare un torero cristiano di gran classe, lo vuole capace per lo meno della saggezza come dell’eroismo pagano, e gli insegna in più una vittoria sulla paura della morte e una fiducia in se dovute sia alla sua autodisciplina acquisita sia ai carismi che riceve dalla sua nobile natura e dalla grazia divina, M.FUMAROLI, Dall’ “Oraculo manual” all’ “Homme de Cour”, in B.GRACIAN, op. cit., p. 217.
18 M.FUMAROLI, op. cit., p. 194.
19 B.GRACIÁN, op. cit., pp. 30-31.
20 Ibidem, p. 31.
21 Ibidem, pp. 50-51.
22 Ibidem, p. 110.
23 Ibidem.
24 Ibidem, p. 111.
25 V.DINI, Prudenza, giustizia e obbedienza nella costituzione della Ragion di Stato in Spagna e in Francia. Assaggi di lettura e prospettive di ricerca in A.E.BALDINI ( a cura di), Aristotelismo politico e Ragion di Stato, Firenze, Olschki, 1995, p. 253.
26 Per cui cfr. A.MUSI, Malinconia barocca, Vicenza, Neri Pozza, 2023, pp.