Il segno, la scrittura e l’alfabeto: una storia mediterranea
Il segno è la traccia lasciata volontariamente dall’uomo. La volontà corrisponde alla necessità di mantenere fermo il ricordo o la prova di un’azione, di un desiderio, di una paura nella memoria (ecco perché gli uomini ancora oggi lasciano segno della propria volontà con una firma).
Nel suo Viaggio con Erodoto, Ryszard Kapuściński (Pinsk, 1932 – Varsavia, 2007) si chiedeva durante un soggiorno di lavoro in Cina da dove fosse nata la Babele alfabetica che ancora oggi esiste, indipendentemente dalle lingue e dai dialetti parlati. Per il reporter polacco tutto ha inizio da un segno «tracciato per ricordarsi qualcosa, per comunicare un fatto a qualcun altro, per marcare un oggetto o un territorio». [1] Le domande del giornalista, angosciato dalle barriere linguistiche nei suoi primi viaggi in Asia, sono più che legittime e sono ancora oggi oggetto di studio per linguisti, paleografi e archeologi: «Ma perché la gente indicava un medesimo oggetto con segni completamente diversi? Un uomo, una montagna o un albero erano gli stessi in tutto il mondo: eppure ogni alfabeto li definiva con simboli, figure o lettere differenti. Perché? Per quale ragione colui che, volendo per la prima volta descrivere un fiore, in una certa cultura aveva tracciato un trattino verticale, in un’altra un cerchietto e, in un’altra ancora, due trattini e un cono? Erano decisioni prese dal singolo, o dalla collettività? Venivano discusse intorno al fuoco? Confermate dal consiglio di famiglia o da una riunione tribale? Si consultavano gli anziani? Gli stregoni? Gli indovini?». [2] A questi interrogativi il giornalista non dà risposte, ma fatalmente aggiunge che una volta tracciato il primo segno il processo non poté essere più fermato. Da un semplice trattino fatto a destra piuttosto che a sinistra sono vennero fuori «tutte le altre cose, sempre più complesse e ingegnose». Una «logica infernale» ha fatto in modo che col tempo «il sistema si complicasse, diventasse sempre più ostico per i non iniziati, arrivando addirittura […] a non lasciarsi più decifrare». [3]
Il segno prima della scrittura
Il segno è traccia di volontà e dietro la «logica infernale» soggiace la potenza e l’eternità. La volontà corrisponde alla necessità di mantenere fermo il ricordo o la prova di un’azione, di un desiderio, di una paura nella memoria (ecco perché gli uomini ancora oggi lasciano segno della propria volontà con una firma). L’uomo del Paleolitico scoprì per primo la potenza e l’eternità dei segni. Le grotte di ogni continente custodiscono ancora oggi i primi segni dell’uomo: scene di caccia, animali, riti di iniziazione. Segno quindi sono; segno quindi sono stato: nonostante il soggetto trapassi, il segno resta. L’uomo del Neolitico ereditò il segno: ne qualificò l’uso e ne liberò una parte dal suo significato magico. Lo introdusse nella vita quotidiana. Significativi sono i ritrovamenti di dischi di pietra segnati con una croce e che attestavano probabilmente lo scambio di beni “preziosi” (pecore, capre). La Rivoluzione agricola del 10.000 ca. a. C. e il conseguente passaggio dall’organizzazione sociale del villaggio a quelle delle prime città, costrinsero l’uomo a servirsi non più del segno ma dei segni. La complessa organizzazione della città si tradusse in una complessa organizzazione di segni. La città ha i magazzini per i prodotti agricoli, la città ha i templi e le donazioni dei fedeli: la memoria deve essere resa ferma, certa, inoppugnabile.
Le prime forme di scrittura
Le prime forme di scrittura nacquero in Mesopotamia tra il IV e il III millennio a. C. e quasi contemporaneamente anche in Egitto. La scrittura è un sistema di segni organico, convenzionale, riconosciuto ed accettato da altri. I primi sistemi utilizzati sia dai Sumeri che dagli Egizi si basavano sui pittogrammi, ovvero si disegnava ciò che si voleva segnare: “scrivere” la parola «pecora» era “disegnare” una/la pecora. Questa prima forma di scrittura fu tipica non soltanto alle popolazioni della “Mezzaluna fertile”, ma fu comune a molte civiltà, quelle dell’India, dell’Estremo Oriente e dell’America del Nord. [4]
Gli ideogrammi
Al sistema di scrittura pittografica seguì quello di scrittura ideografica, il quale permetteva di scrivere non solo parole che indicavano oggetti materiali, concreti, ma anche concetti astratti, come le azioni. Nella scrittura ideografica il segno non è più soltanto rappresentazione dell’oggetto raffigurato, ma anche di un’idea legata ad esso: il segno stilizzato che raffigura un occhio, non è più soltanto la parola «occhio», ma anche l’azione di vedere, quindi la parola «vedere». Il sistema di ideogrammi fu alla base delle scritture mesopotamica, [5] egizia e cinese. [6] Gli ideogrammi sumeri ed egizi, tuttavia, si differenziano nei segni e nelle modalità di scrittura, nei supporti e negli usi.
I Sumeri e la scrittura cuneiforme
I Sumeri utilizzavano la cosiddetta scrittura «cuneiforme». Questo tipo di scrittura prende il nome dalla peculiare forma dei segni, a cunei appunto, ovvero dei triangoli disposti in posizioni e grandezze diversi. Il caso fortuito di un incendio ha permesso la conservazione delle tavolette d’argilla fino ai nostri giorni. Importante rimane il codice di Hammurabi, prima testimonianza scritta di leggi incisa con caratteri cuneiformi (colonna di pietra, risalente al periodo assiro-babilonese, XVIII sec. a.C.). Di grande rilievo risulta l’iscrizione epigrafica sulla roccia del monte Behistun in Iran risalente al VII-VI sec. a. C., in cui i caratteri cuneiformi vengono utilizzati per scrivere lo stesso testo in tre lingue differenti (babilonese, persiano antico ed elamitico). Questa testimonianza, scoperta e decifrata dall’inglese Henry Rawlinson (1810-1895) [7] mette in luce il passaggio verso l’uso fonetico della scrittura, ovvero l’associazione di un suono, o di un insieme di suoni, a un segno grafico, per mezzo dell’acrofonia. [8]
La scrittura dell’antico Egitto
In Egitto la scrittura ideografica è denominata «geroglifica» (la parola «geroglifico» deriva dal greco e significa letteralmente: «sacri segni scolpiti»). Tracce di geroglifici si hanno già nel III millennio e la forma di scrittura rimase in uso fino al I sec. a. C. nonostante l’Egitto fosse già dal III secolo quasi interamente “grecizzato”. Reperti con geroglifici vengono datati già a partire dal III millennio a. C. e sono giunti sino a noi su tavolette d’argilla, papiri e monumenti religiosi e funerari. Il sistema dei geroglifici era particolarmente complesso e fondamentale alla sua comprensione fu il ritrovamento della stele di Rosetta nel 1799 (lastra in basalto che riporta un’iscrizione in tre scritture: geroglifico, demotico e greco antico), che permise a J. F. Champollion di decifrarlo nel 1822. La scrittura geroglifica poteva essere scritta da destra verso sinistra, da sinistra verso destra, dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso. Anche la scrittura egizia, come quella sumera, subì già nel I millennio a. C. un’evoluzione in senso fonetico. Testi in geroglifico riportano l’uso integrato di ideogrammi e del sistema fonetico. [9]
La nascita dell’alfabeto
La nascita della scrittura alfabetica è stata attribuita, sin dall’antichità, ai Fenici. Plinio il Vecchio scrisse nella sua Storia Naturale: «Il popolo stesso dei Fenici gode grande fama per avere inventato l’alfabeto e le scienze astronomiche». [10] Lucano nella Farsaglia ribadisce questa ipotesi: «I Fenici per primi, se si crede alla fama, osarono rappresentare e fissare con rozzi segni le parole: Menfi non sapeva ancora intrecciare i papiri del fiume, e soltanto belve e uccelli e altri esseri scolpiti nelle pietre conservavano il linguaggio magico». [11] Lo stesso Plinio, riportava nella sua opera altre teorie circa il merito della diffusione dell’alfabeto ai Fenici, ma non l’invenzione, attribuita piuttosto agli Assiri e agli Egizi. Anche Tacito attribuiva l’invenzione dell’alfabeto al popolo del Nilo: «Per primi gli Egiziani rappresentarono le idee con figure di animali, e questi antichissimi documenti del pensiero umano si possono ancora vedere incisi nel sasso. Essi si vantano anche inventori dell’alfabeto, che poi i Fenici, potenti sul mare, avrebbero introdotto in Grecia, conseguendone gloria come se avessero essi inventato ciò che invece avevano appreso da altri». [12] Anche Erodoto, qualche secolo prima, e Diodoro Siculo avevano evidenziato il ruolo fenicio nella diffusione dell’alfabeto, ma non nell’invenzione, la quale invece attribuivano ai Cretesi. La teoria oggi prevalente, e maggiormente diffusa, è quella dell’origine dell’alfabeto fenicio dalla scrittura egiziana. [13] Questa teoria fu formulata per la prima volta dall’egittologo francese Charles Lenornant (1802-1859). Durante la campagna di scavi nell’inverno 1904-1905, la scoperta di alcune iscrizioni risalenti al II millennio nelle miniere di rame rosso nella zona di Serabit el-Khadin nel Sinai, fecero supporre all’egittologo britannico Alan H. Gardiner (1897-1963) « che a ogni carattere corrispondeva la prima lettera della parola semitica designante l’oggetto rappresentato (principio acrofonico). Secondo questo principio il segno della casa si doveva leggere <b> (casa in ebraico si dice bayt) quello di occhio <‘> (occhio si dice ‘ayn), ecc.: sarebbe insomma un’acrofonia importata». La scrittura delle iscrizioni minerarie, dalla quale sarebbe derivata quella fenicia, è convenzionalmente chiamata protosinaica. [14]
Il carattere innovativo dell’alfabeto
L’innovazione dell’alfabeto, nel I millennio a.C., è legata alla sua struttura: ad un fonema (un suono) corrisponde un grafema (un segno grafico). Tale caratteristica rendeva infinita la combinazione tra i segni e di conseguenza la scrittura di qualsiasi parola. [15] L’alfabeto fenicio, formato solo da consonanti, fu mutuato dai Greci, che lo fornirono di vocali, e per tramite della mediazione greca ed etrusca esso arrivò a Roma. L’alfabeto latino, tuttora in uso, è diffuso in tutto il mondo per motivi culturali ed economici ed è uno delle evoluzioni di quello fenicio. L’invenzione dell’alfabeto non ha più messo in discussione il sistema di scrittura utilizzato in Occidente. La storia, l’economia e la cultura hanno sì condizionato l’uso della scrittura, ma quest’ultima, nei quattromila anni circa trascorsi dalla sua invenzione, è stata veicolo ed espressione di quelle. Gli imperi, le cancellerie, le epigrafi, i codici, gli scriptoria, i monasteri e le grandi abbazie, gli studia, la stampa e le leggi sono enti diversi e diversificati del sortilegio e dell’autorità della scrittura. E cosa tenne unità l’Europa che si sbriciolava dopo la dissoluzione dell’Impero Romano, se non la dirompente forza della scrittura? Una flebile unità fu mantenuta grazie alla scrittura, nonostante il particolarismo grafico altomedioevale, [16] usando la felice espressione di Giorgio Cencetti, paleografo ed archivista italiano (1908 – 1970). E cosa, se non l’immane potenza deflagrante della scrittura fece della stampa uno tra i più pericolosi mezzi di distruzione e distrazione di massa? Chi è Virgilio, chi è Alcuino, chi è Gutenberg senza la scrittura? Cos’è la Chiesa, cos’è la Riforma protestante, cos’è la Rivoluzione francese senza la scrittura? Niente, storpiando l’abate Siéyés. L’Occidente è la scrittura: la scrittura alfabetica. I giorni nostri sono contraddistinti da un’alfabetizzazione massiccia, coatta e spersonalizzata, e minati da un analfabetismo di ritorno. In questo scenario il progresso tecnologico e la struttura economica del III millennio d. C. impongono nuovi sistemi di scrittura e nuovi linguaggi, i quali impongono nuove logiche alfanumeriche, binarie e relativiste, lontane da quella alfabetica. Ma anche in questi casi, laddove ai grafemi legati a fonemi si sostituiscono serie infinite di 0 e 1 o di codici alieni, la scrittura rivela la sua arcana potenza di mantenere in eterno, di trasformare e di evolvere.
Pietro Simone Canale
Note in appendice:
[1] R. Kapuściński, In viaggio con Erodoto, Milano, Feltrinelli, 2005, p. 67.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] Si rimanda a J. Friedrich, Decifrazione delle scritture scomparse, Firenze, Sansoni, 1973.
[5] Per un quadro generale sui Sumeri e sulla Mesopotamia si rimanda a G. Pettinato, I sumeri, Milano, Bompiani, 2005.
[6] Si rimanda a W. Watson, La Cina prima degli Han, Milano, Il Saggiatore, 1977.
[7] F. Masó Ferrer, La più grande invenzione della civiltà. La nascita della scrittura, in «Storica. National geographic», numero 34, dicembre 2011, pp. 26-39.
[8] Principio su cui si basa la grafia fonetica semitica ed egizia, dove è parallela al geroglifico; consiste nell’assegnare a un segno in origine pittografico il valore della consonante iniziale della parola da esso rappresentata: così il segno indicante la «mano» vale y nelle scritture semitiche, perché la parola «mano» è in semitico yōd. Uno dei sistemi di numerazione greca prevedeva che i numeri fossero indicati con la lettera iniziale del loro nome (per es., Π=πέντε, 5; Δ=δέκα, 10). Treccani.it L’Enciclopedia italiana, http://www.treccani.it/enciclopedia/acrofonia/.
[9] Si rinvia alla recente opera di M. Betrò, Geroglifici. 580 segni per capire l’Antico Egitto, Milano, Mondadori arte, 2010.
[10] Natur. Hist., V, 12.
[11] Bell. civ., III, 220-221.
[12] Annales, XI, 14.1.
[13] Sull’ipotesi cretese e le altre si rimanda a C. Pastena, La nascita dell’alfabeto, in L’identità di Clio, 31 agosto 2020, https://www.lidentitadiclio.com/scrittura-alfabeto-quando-nasce/ (ultimo accesso: 13/10/2021).
[14] Ibid.
[15] M. E. Aubet, The Phoenicians and the West, Cambridge University Press, London, 20012.
[16] G. Cencetti, Paleografia latina, Napoli, Ed. Jouvence, 1978, pp. 70-5. Per una storia generale della Paleografia latina si consiglia A. Petrucci, Breve storia della scrittura latina, Roma, Bagatto Libri, 1992.