L’impero spagnolo in età moderna: tra “struttura” e “congiuntura”
Sempre attuale si presenta il dibattito su concetti e categorie nell’ambito della storiografia che, non essendo una scienza esatta, non può contare su una nomenclatura codificata, ma deve far ricorso al linguaggio comune per incanalarlo verso le esigenze semantiche specifiche della disciplina. Emergono, dunque, definizioni e termini – più o meno fortunati, più o meno condivisi – che si propongono come chiavi di lettura di fenomeni o eventi, nel tentativo di renderne al meglio il significato e di fornire strumenti di classificazione e sistematizzazione nell’ardua opera di ricostruzione storica. Nell’ambito degli studi modernistici, l’interesse per le dinamiche storiche relative alla bisecolare presenza spagnola in Italia ha portato all’incontro tra studiosi italiani e spagnoli, dal quale sono scaturiti risultati scientifici proficui, anche accompagnati da vivaci dibattiti, che rivelano – se mai ce ne fosse bisogno – l’eterogeneità ermeneutica connaturata alla scienza storica.
Significativi banchi di prova per la vivacità e la varietà delle discussioni scientifiche sono stati offerti da categorie pregnanti, quali “Sistema imperiale spagnolo”, “Sottosistema Italia” e “Viceré barocco”, ampiamente circolate e attestate nell’uso storiografico, che ancora oggi si propongono come oggetto di confronto tra gli studiosi della Monarchia spagnola di età moderna.
Il 10 ottobre 2018 si è tenuta nella sede della EEHAR – Escuela Española de Historia y Arqueología en Roma – la presentazione combinata di due volumi: La catena di comando. Re e viceré nel sistema imperiale spagnolo di Aurelio Musi (pubblicato nella collana “Biblioteca della Nuova Rivista Storica” – Società Editrice Dante Alighieri) e La guerra di Messina, 1674-1678. “Chi protegge li ribelli d’altri principi, invita i propri a’ ribellarsi” di Salvatore Barbagallo (per i tipi dell’Editore Guida). Questa iniziativa si è rivelata un’interessante occasione per argomentare l’efficacia interpretativa dei termini precedentemente citati, volti a condensare gli elementi fondamentali del rapporto tra la Corona spagnola e i suoi domini. Il libro di Musi ha consentito all’Autore di dialogare proficuamente con gli studiosi chiamati a presentare il volume, Luis Ribot García (UNED, Real Academia de la Historia) e Giovanni Brancaccio (Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara), sull’uso dei concetti-cardine da lui utilizzati alla luce di ulteriori acquisizioni storiografiche. Senza cedere alla tendenza – spesso ricorrente – al revisionismo o alla radicale rifondazione, Musi sottolinea l’esigenza di muoversi con equilibrio fra tradizione e innovazione e richiama l’impegno a non indulgere a tentazioni “nominalistiche”, a non fare – insomma – delle parole l’oggetto della riflessione storica, ma a considerarle quali strumenti di comprensione e interpretazione. In quest’ottica va valutata l’efficacia operativa di talune categorie, quando si dimostrino in grado di soddisfare le finalità ricostruttive del lavoro storico. Lungi dal porsi come rigida chiave di lettura, il concetto di “sistema imperiale spagnolo” sembra rispondere alla necessità di contemperare l’unità e la molteplicità, quali fattori intrinsechi alla configurazione geopolitica della compagine spagnola di età moderna: una compagine variegata, “composita” – nella doppia accezione: territoriale e politica – in cui la continua contrattazione con i vari reinos convive con la costante opera accentratrice della corona, impegnata a dare un univoco indirizzo politico all’azione di governo. Anche il termine “Stato” va considerato senza rigidità applicative e senza forzature ideologiche, come il processo di affermazione di una sovranità indiscussa che, molto gradualmente, procede a trasfondere la natura “personale” del potere, incentrato nella figura del re, in una dimensione sempre più “oggettiva”, “astratta” ed “impersonale”. A tal riguardo, la composizione plurale dell’impero spagnolo identifica il suo elemento unificante nella monarchia, il cui ruolo fondamentale è quello di “integrare” le parti nel tutto: ecco, dunque, l’importanza degli studi sulle differenti strategie e sugli svariati strumenti di integrazione a disposizione dei sudditi del re di Spagna, che hanno la possibilità di valorizzare, al contempo, la propria origine nazionale e la propria appartenenza ad una monarchia transnazionale. Al fruttuoso concetto di transnazionalità sono collegabili le altrettanto fruttuose categorie di “monarquía de las naciones” e “monarquía de las integraciones”, che molto meglio di quella di “polycentric monarchy” rendono l’idea di cosa fosse la monarchia spagnola tra XVI e XVII secolo. Allo stesso modo, appare insufficiente la famosa definizione di “composite monarchy”, nonostante essa esprima la natura oggettiva del complesso ispanico e non sia in contraddizione con una visione unitaria delle pratiche di governo espletate dagli Austrias. Del tutto innovativa si presenta, invece, la categoria di “Sottosistema”: in relazione all’Italia, essa indica uno spazio integrato ed interrelato che, coordinando l’azione politica dei reinos appartenenti alla Spagna, ma coinvolgendo necessariamente anche gli Stati indipendenti della penisola, consente di intravedere una specifica dimensione mediterranea all’interno del vasto sistema imperiale spagnolo.
Altre suggestioni emerse durante il denso incontro si sono ispirate agli approfondimenti storiografici recentemente compiuti sul funzionamento del sistema imperiale, in cui l’essenziale “cinghia di trasmissione” tra il centro della corte madrilena e i molteplici territori della Corona –metaforicamente collegabile alla “catena di comando” citata nel titolo del libro – è costituita dai viceré, figure al confine tra l’alter ego del sovrano e il massimo funzionario della monarchia nei reinos dipendenti. Un viceré che viene analizzato sulla base delle fonti e della ricca storiografia coeva, la cui evoluzione segue la periodizzazione della monarchia asburgica spagnola ed offre l’opportunità di individuare alcuni “modelli” di viceré, utili ad interpretare le diverse fasi della dominazione spagnola sui territori aggregati. Un caso esemplare è costituito dal Regno di Napoli, dove – partendo dalle acquisizioni storiografiche proposte da Giuseppe Galasso – l’Autore identifica i momenti salienti del rapporto tra Madrid e Napoli, icasticamente rappresentati dal Toledo – artefice del consolidamento della sovranità spagnola sul Mezzogiorno –, dall’Alcalà – promotore dello sviluppo della corte vicereale –, dal Lemos – cui si addice la definizione di “viceré barocco”, tipica espressione del periodo della privanza –, dall’Oñate – con cui spicca l’incidenza del ruolo di ambasciatore romano e l’influenza della corte pontificia nella politica europea del periodo.
Il volume di Salvatore Barbagallo si inscrive nel filone storiografico degli studi sul sistema imperiale, approfondendo un evento significativo, dirompente, nel rapporto bisecolare tra il centro di potere madrileno e le rappresentanze dei territori della Corona. L’Autore, partendo dagli assunti consolidati della storiografia sul tema – meritoriamente indagato anni fa proprio da Luis Ribot García – arricchisce il quadro ricostruttivo della guerra di Messina, mediante il ricorso a fonti inedite, prevalentemente provenienti dagli Archivi Vaticani. Emergono le dinamiche di interconnessione tra i domini italiani della Corona ispanica, interpretate alla luce di un’unitarietà “mediterranea” delle strategie politiche operate nell’emergenza bellica, che – favorite dalla repentinità degli accadimenti – lasciano intravedere un certo protagonismo delle figure politiche preposte al governo dei territori italiani della monarchia e una convergenza tra le scelte da loro compiute. Ciò testimonierebbe l’indubbia funzione di integrazione che la lunga appartenenza alla Corona spagnola ha espletato nella penisola italiana politicamente frammentata, in cui un potente fattore coagulante è costituito proprio dall’inclusione nel sistema di governo del vasto complesso imperiale, direttamente o indirettamente responsabile – anche nell’ottica negativa dell’emergere di una cultura antispagnolista – della formazione di una coscienza nazionale italiana.
L’analisi degli accadimenti di Messina conferma la centralità delle motivazioni politiche all’origine della rivolta, sempre preminenti rispetto alle rimostranze meramente antifiscali. Motivazioni fondamentalmente basate sulle rivendicazioni tipiche delle insurrezioni di antico regime, ossia la difesa dei privilegi, la salvaguardia delle concessioni regie sui cui poggia l’obbligazione politica. Tuttavia, l’Autore sottolinea l’importanza che le logiche economico-finanziarie assumono nell’episodio messinese, dove gli interessi dei ceti mercantili dominanti in città e le loro esigenze di sviluppo al passo con i cambiamenti dell’economia europea sembrano non essere colte dal governo spagnolo, guidato dalla tradizionale logica della difesa imperiale.
Dunque, davvero molteplici le riflessioni suscitate dall’iniziativa organizzata presso l’Escuela Española de Historia y Arqueología di Roma, pienamente rispondente alle intenzioni dell’organizzatore, Rafael Valladares, direttore dell’ente ospitante, che ha voluto offrire una preziosa opportunità di discussione su un argomento centrale nell’incontro tra storiografia spagnola e storiografia italiana: la dominazione spagnola nell’Italia meridionale viene illuminata dalle pagine di due libri che, fondendo l’analisi della “struttura” – scandagliata nella Catena di comando – con l’approfondimento di una “congiuntura” – oggetto de La guerra di Messina – restituiscono un articolato affresco storico e storiografico.