In difesa della cattedra di Filosofia e Storia (e dello storicismo)
Il dibattito sulla riforma della scuola
Nel dibattito sulla riforma della scuola è uso frequente deviare l’attenzione dalla sostanza di ciò di cui si dovrebbe discutere, per focalizzarla invece su argomenti marginali, non permettendo di concentrarsi sui provvedimenti più radicali con cui le autorità ministeriali stanno stravolgendo la natura dell’istituzione scolastica. In un contesto più ristretto, ciò accade anche in merito al dibattito relativo alla didattica della storia; una delle questioni a nostro parere meno urgenti concerne, per esempio, la legittimità della cattedra di storia e filosofia nei Licei. Il tema in sé riveste grande interesse, ma quasi sempre, quando viene ripreso per auspicare il superamento di tale abbinamento disciplinare, l’intenzione è quella di difendere un modello di trasmissione didattica che, come abbiamo anche su questo portale più volte sostenuto, si rivela ostile al sapere storico, e agli obiettivi formativi che esso è in grado di far conseguire. In altre parole, tale innovazione didattica tenderebbe proprio a rafforzare la dimensione del presentismo, già oggetto di importanti riflessioni in sede di teoria della storia; riflessioni che hanno investito, necessariamente, anche la questione della didattica disciplinare1.
La posizione che vorremmo qui sostenere, di difesa dell’unità della cattedra di filosofia e storia, si motiva proprio perché tale abbinamento disciplinare esprime in sè un’evidente incompatibilità con un’idea di istruzione tecnocratica, economicistica, totalmente subordinata a logiche presentistiche, peraltro di corto respiro, da conseguire attraverso una trasformazione del percorso didattico in senso radicalmente antidisciplinare. Questo contesto va tenuto presente per poter avanzare critiche fondate a coloro che giudicano decisivo, per il futuro della didattica della storia, lo scioglimento di tale cattedra. Perché tale proposta cela l’intenzione di valorizzare la scuola delle competenze. Un modello didattico, crediamo, che intende il valore formativo della storia in modo distorto, ovvero quale pura tecnica di ricerca.
L’esperienza gentiliana
Non c’è dubbio che l’istituzione della cattedra di filosofia e storia, introdotta per la prima volta con la riforma del 1923, creò perplessità, com’è naturale, e anche oggettive difficoltà. Soprattutto per il condizionamento dell’impostazione attualistica, che portava a concepire la trasmissione del sapere storico “per tesi”, piegando la narrazione evenemenziale a una logica interpretativa, di derivazione filosofica, effettivamente prevaricante. Se ne accorse, per esempio, Benedetto Croce, che pure era favorevole all’istituzione della cattedra ma che, in una lettera a Gentile, scriveva, «ma a patto che i “filosofi” (intendo i professori di filosofia) non lo rovinino col somministrare, come si comincia a vedere da qualche tempo in qua nei loro libri, storia schematiche, astratte, incolori, tutte grandi movimenti di pensieri e grandi dialettiche, senza affetti e passioni, senza uomini, visi, atteggiamenti, parole, quasi un balletto di idee»2. Ancora più duro il commento di Alfredo Galletti e Gaetano Salvemini: «Colla riforma Gentile […] filosofia e storia furono affidate a un unico insegnante, che troppo spesso forse è filosofo ma certo non è storico. Costui invece di fare tre ore di filosofia e tre ore di storia, fa sei ore di filosofemi, nei quali la storia è succhiata dalla filosofia e gli alunni non imparano a osservare i fatti storici, né a raggrupparli né a ricercarne le cause, né ad essere curiosi degli effetti»3. Non c’è dubbio che l’idea di Gentile avesse forti controindicazioni, e suscitò innumerevoli proteste che furono tutte coraggiosamente pubblicate -in un clima che incominciava a essere molto pesante sul piano della libera espressione delle idee- dalla Nuova rivista storica4, diretta da Corrado Barbagallo; la maggior parte delle critiche mostravano una paradossale eterogenesi dei fini, per cui gli studenti finivano con il ripetere a memoria, nozionisticamente, le tesi comunicate dal loro insegnante, piuttosto che manifestare autonome capacità di interpretazione storiografica.
La questione dello storicismo
Questo riferimento alla riforma Gentile per dimostrare l’inattualità della cattedra di filosofia e storia si rivela alquanto strumentale. Non solo perché quella figura di docente appare quanto mai anacronistica se proiettata ai nostri giorni, ma anche perché, in un contesto riformatore che intende ridurre in modo significativo l’incidenza dello specifico disciplinare, tale riferimento si configura come totalmente inattuale. La contestazione che viene avanzata verso la coppia concettuale filosofia-storia riguarda infatti l’approccio storicistico, di cui l’attualismo di Gentile rappresenta solo un esempio, e che, se concepito in quel modo, inevitabilmente finirebbe per colonizzare la disciplina storica, proiettando su di essa un approccio da filosofia della storia che impedirebbe di esercitare una corretta analisi storiografica. Ma proprio la presa di posizione di Croce sopra richiamata (anche lui uno storicista doc) dovrebbe far riflettere, per rendersi conto come l’intera riflessione didattica di quegli anni, anche quando decisamente polemica con la visione gentiliana, fosse semmai preoccupata di un’involontaria forzatura del fatto storico a un quadro teorico predeterminato, ma non implicasse affatto la critica alla dimensione specifica della storicità quale migliore orientamento alla comprensione dei diversi saperi disciplinari. L’equazione scuola gentiliana-scuola storicistica è dunque forzata, e implica l’ignorare la ricchezza del concetto, nonché la notevole estensione semantica che lo stesso ha conosciuto. Rilevanti, da questo punto di vista, le affermazioni di Giuseppe Galasso: «una direzione di pensiero, che non so se possa essere definita come puro e semplice storicismo (in tal caso ne sarei assai lieto e confortato), ma che, comunque, voleva affermare non tanto la centralità quanto la universalità della dimensione storica nella realtà dell’uomo e del mondo quale l’uomo lo conosce e col quale vive in un rapporto simbolico, perpetuo, ineludibile, di reciproca azione e reazione»5. Come si evince, vi sono tutte le possibilità concettuali per non restringere l’idea di storicismo a quella di predeterminazione del senso, per identificarlo invece quale dimensione trascendentale della realtà. Se letta in questo modo, una didattica orientata in senso storicistico non può essere responsabile della subordinazione della storia ad altro campo disciplinare, ma semmai il contrario; rappresenta infatti quella visione intellettuale capace di cogliere in ogni forma di riflessione, e quindi in ogni approccio al sapere dei più diversi campi, il risultato di un percorso comunque temporale, condizionato dalle configurazioni epocali in cui di volta in volta ha sviluppato i propri contenuti, in una dimensione diveniente. In questo modo si è in grado non solo di produrre sapere critico riferito alle diverse questioni del sapere, ma anche di valorizzare gli obiettivi formativi, volgendo lo studio in una direzione interpretante e non apodittica.
Una visione da estendersi anche al sapere scientifico, in un’ottica completamente alternativa a quella prevista dalle discipline STEM, cioè quella di un’idea oggettivistica della scienza, estranea alla dimensione della storicità. La vera comprensione di come proceda la scienza nelle proprie conquiste del sapere può essere data, come scrive in modo illuminante Fabio Minazzi, proprio da un’impostazione storica dello studio della scienza, quindi di carattere interpretante: «ogni disciplina ed ogni settore di studio deve, in realtà, fare sempre i conti con la propria, irrinunciabile, dimensione storica», in quanto qualsiasi conoscenza, compresa la scienza, non può che manifestare un’oggettività “relativa”, che va compresa inserendola «al’interno di un ambito circoscritto e definito», evidentemente di carattere storico. Come appena detto, l’esatto opposto dell’approccio STEM, totalmente appiattito sulla logica del problem solving e, quindi, della procedura univoca. Con il nuovo acronimo STEAM6 tale impostazione la si vorrebbe estendere addirittura all’arte, riducendola a espressione di creatività e non a conoscenza storica. Merita, a proposito, di ricordare le parole di Giulio Carlo Argan, riprese da Tomaso Montanari: «La storia dell’arte è materia storica, e la cosiddetta classe dirigente che la scuola dovrebbe formare ha più bisogno di coscienza storica che di talenti creativi».
L’importanza della filosofia per la storia
Nel momento in cui si sostiene la dimensione irrinunciabile della storicità quale corretto approccio al sapere, è inevitabile che la teoria della storia si relazioni, metodologicamente e contenutisticamente, con la riflessione filosofica; giustamente pretendendo pari dignità e contestando la deriva filosofica degli ultimi decenni che ha finito con il delegittimare la stessa dimensione storica, come già denunciato, fra gli altri, da Giuseppe Galasso. É questo il motivo per cui è essenziale, se si crede a questa idea del sapere, tenere fermo sull’unità della cattedra di filosofia e storia, per favorire uno studio fondato realmente sull’interpretazione e sul confronto intellettuale e metodologico. Risulta allora più agevole cogliere l’obiettivo di chi si batte per l’abolizione della cattedra: trasformare l’insegnamento della storia nel triennio delle superiori in ricerca storica, prescindendo da una conoscenza organica delle vicende umane nel corso dei secoli, sulla base del poco recepito nei cicli inferiori7. In questo modo l’insegnamento della storia sarebbe assolutamente coerente con i principi della didattica delle competenze, in quanto l’alunno, diventando lui un “piccolo storico”, farebbe attività di ricerca, attuando una procedura guidata che, in altro contesto, risulta simile a quella che dovrà affrontare in un contesto lavorativo. Che poi lo stesso alunno non conosca la storia, nella sua generalità, e non sia in grado di interpretare la realtà da un punto di vista storico, appare ai riformatori del tutto trascurabile. In base a tale impostazione, solo un laureato di storia potrebbe svolgere questo compito; distinguendo, in modo forse un po’ troppo ottimistico, lo studioso di storia con il ricercatore. Comunque ribadiamo: si fa finta di valorizzare la disciplina, cercando nel docente che la insegna una specializzazione estrema, per poi annullarla di fatto riducendola ad attività pratica, dove le conoscenze acquisite non potranno mai dare luogo a un quadro di comprensione olistico, e quindi critico.
La storia si inserirebbe, in questo modo, in quel progetto di costruire l’anno scolastico per macro-argomenti decisi dal Consiglio di classe, rispetto alle quali -come avviene già per il nuovo curricolo di Educazione civica- le diverse discipline danno solo contributi parziali a una conoscenza complessiva rispetto alla quale l’argomento delle singole discipline diventa irrilevante; un obiettivo che con la storia ha poco a che vedere.
Un ultimo appunto: l’insegnante di filosofia e storia, con il suo numero di ore settimanali, può svolgere lavori di approfondimento pluridisciplinari ben più fecondi di quelli appena illustrati. Il che gli fornisce una capacità carismatica per stimolare in modo molto profondo il gruppo classe sul piano dei contenuti culturali, e di agire in profondità nell’evoluzione e emancipazione intellettuale degli studenti. Un rapporto personale che la nuova scuola -quella del docente operatore o facilitatore– vuole scongiurare, diminuendo il tempo di incontro del docente con gli studenti; in questo senso la frammentazione dei tempi implicata dalla separazione dell’insegnamento di storia o filosofia, con la conseguente moltiplicazione delle classi assegnate a ciascun docente, mostra una propria indesiderabile coerenza. No, la storia non c’entra proprio nulla.
Giovanni Carosotti
Note:
- Cfr. F. Germinario, Un mondo senza storia, Asterios, Trieste 2017; A. Prosperi, Un tempo senza storia, Einaudi, Torino 2021.
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B. Croce, Postille. L’abbinamento di cattedre di storia e filosofia, in La Critica, vol. XXI, Laterza, Trani 1923, pp. 319-320.
- A. Galletti, G. Salvemini, Insegnamento della storia, in G. Salvemini, Scritti sulla scuola, Feltrinelli, Milano 1966, pp. 745-746.
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Per un’analisi puntuale dell’intero dibattito mi permetto di rimandare a G. Carosotti, L’insegnamento della storia in Italia dall’unità alla scuola di massa, in F. Bacciola, G. Carosotti, V. Sgambati, Per la Didattica della Storia, Guida, Napoli 2011, pp. 1789-194.
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G. Galasso, Nient’altro che storia, Il Miulino, Bologna 2000, p.11.
- Science, Technology, Engineering, Art e Mathematics.
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Simile proposta è sostenuta da M.Piras, Sull’asservimento della storia nella scuola italiana e sui mezzi per liberarla, relazione tenuta al workshop “Ricostruire ed argomentare”, Bologna 23 febbraio 2018; ripresa poi da M. Caprara, Il naufragio della storia nella scuola italiana, rivista “Il Mulino”, settembre 2017.