Italia e Balcani. Storia di una prossimità
Il rapporto tra i due Paesi nel volume di Alberto Basciani ed Egidio Ivetic
Negli ultimi trent’anni, a partire dalla dissoluzione del blocco comunista in Europa centro-orientale, le relazioni politiche, sociali, culturali ed economiche fra l’Italia e i popoli balcanici hanno conosciuto una forte intensificazione. Eclatante manifestazione di questo processo è stata il sorgere di numerosi stabilimenti produttivi italiani nei Paesi balcanici e il costituirsi di grandi comunità romene, albanesi e serbe in seno alla società italiana, con cifre che oscillano fra il milione e 200 mila di romeni e moldavi e il mezzo milione di albanesi.
Contemporaneamente si è molto arricchita e raffinata la conoscenza italiana della storia e della natura delle relazioni politiche ed economiche fra il nostro Paese e le nazioni balcaniche, grazie al lavoro di numerosi gruppi di ricerca (ricordiamo solo, fra i principali, l’attività di Raoul Pupo e Jože Pirjevec a Trieste, Francesco Guida e Alberto Basciani a Roma, Franco Botta e Luciano Monzali a Bari, Armando Pitassio e Emanuela Costantini a Perugia, Egidio Ivetic a Padova) che con numerose ricerche e opere fondate su un serio lavoro di studio hanno consentito un salto di qualità nell’analisi di tanti aspetti e momenti della comune storia di queste regioni dell’Europa mediterranea.
All’esigenza di un bilancio di questa intensa stagione di studi risponde l’ultima fatica comune di Alberto Basciani e Egidio Ivetic, Italia e Balcani. Storia di una prossimità (Bologna, Il Mulino, 2021), che si pone come obiettivo di compiere una riflessione complessiva sulla storia dei rapporti fra Italia e Balcani partendo dall’Alto Medioevo ai giorni nostri.
Basciani e Ivetic sono particolarmente qualificati a fare ciò in virtù del loro ruolo di protagonisti della più recente storiografia italiana sui Balcani: Basciani autore di numerosi importanti studi sulla Romania, la Bulgaria e l’Albania contemporanee, Ivetic studioso prolifico e raffinato della storia balcanica e adriatica nell’età moderna.
Un primo merito di questo volume è colmare un grave vuoto editoriale, in quanto Italia e Balcani. Storia di una prossimità è di fatto la prima storia complessiva delle relazioni fra italiani e popoli balcanici che sia mai stata pubblicata in Italia. Il libro costituisce quindi un’utilissima introduzione all’argomento, in particolare per un pubblico non specialistico desideroso di approfondire la conoscenza di tanti aspetti poco noti della nostra storia comune con serbi, croati, albanesi, greci, romeni e bulgari.
Il volume è sostanzialmente suddiviso in due parti. Nella prima Ivetic delinea una riflessione sul concetto di regione storica quale punto di partenza per un’interpretazione personale della storia italiana ed europea, fondata sulla sottolineatura dell’importanza della dimensione mediterranea. Grande e difficile sfida per la storiografia italiana, spesso priva delle necessarie competenze linguistiche, dovrebbe essere l’aprirsi maggiormente alla prospettiva interpretativa delle altre civiltà mediterranee, facendo tesoro delle ricerche e delle fonti disponibili nei Balcani, in Turchia, Iran e nei Paesi arabi.
Uscendo dalla esclusiva dimensione occidentale e mettendo al centro il Mediterraneo si può analizzare in maniera più soddisfacente la complessità della storia italiana, che ha assunto frequentemente una centralità nelle vicende del nostro continente proprio per la capacità degli italiani di svolgere un ruolo di mediazione e tramite fra Stati europei e civiltà e imperi mediterranei. Giustamente lo storico dell’Università di Padova nota come la ricostruzione della storia italiana partendo da una prospettiva mediterranea consenta di superare in maniera positiva particolarismi e provincialismi mettendo in rilievo parallelismi e diversità nei processi di sviluppo ed evoluzione delle varie regioni storiche.
Sul piano dei rapporti fra Italia e Balcani bisogna constatare che il processo di forte vicinanza e prossimità fra queste due aree dell’età medievale conobbe un arresto a causa dell’affermarsi dell’Impero ottomano nel Mediterraneo orientale, che allontanò e rese più difficili le relazioni fra italiani e popolazioni balcaniche.
Nella seconda metà del libro, la più estesa, Alberto Basciani compie una brillante ricostruzione della storia dei rapporti fra Italia e Balcani dal Risorgimento ai giorni nostri analizzandone le sue varie dimensioni: dai rapporti diplomatici ai rapporti culturali e commerciali. Sulla base della sua analisi possiamo constatare il crescere di un interesse italiano verso i Balcani a partire dalla fine dell’Ottocento, quando l’accelerazione dello sviluppo economico del Paese e la sua ritrovata stabilità interna grazie al predominio giolittiano, diedero alla politica estera di Roma un nuovo dinamismo. La prima guerra mondiale e l’assurgere dell’Italia a grande potenza europea intensificarono le relazioni fra il nostro Paese e i popoli balcanici. Interessante è constatare la modernità e la versatilità della politica balcanica dell’Italia liberale e fascista, con una politica di potenza che dava grande attenzione alla cultura, alla diffusione della lingua e alla propaganda. In particolare, desiderando perseguire un proprio sogno di egemonia, l’Italia mise al centro della propria politica internazionale l’Europa sudorientale. Gli anni Venti e Trenta del Novecento videro il governo di Roma aprire decine di istituti di cultura e scuole nei Balcani, ispirare l’organizzazione di concerti, rappresentazioni teatrali, mostre d’arte, donazioni di libri miranti a favorire la diffusione e la conoscenza della lingua e della cultura italiane in quella regione.
Giustamente nota Basciani, come nella politica di potenza così “anche nella penetrazione culturale quella italiana fu una rincorsa con il fiatone di ben altre sperimentate culture concorrenti che basavano la loro forza non solo su mezzi maggiori e organizzazioni più collaudate ma soprattutto su legami che risalivano a molte generazioni addietro”; ma innegabilmente risultati interessanti e significatici furono raggiunti, creando delle reti culturali che il secondo conflitto mondiale e la Guerra Fredda non avrebbero del tutto cancellato.
Il tracollo militare dell’Italia fascista nella seconda guerra mondiale e l’affermarsi di regimi comunisti in quasi tutti i Paesi balcanici, con l’eccezione della Grecia, ridimensionarono la presenza italiana in quell’area d’Europa. Il trattato di pace sancì il ridimensionamento politico ed economico dell’Italia, che veniva espulsa dai Balcani. L’espulsione dai Balcani non era solo politica: in Albania, Romania, Bulgaria e Jugoslavia si costituirono regimi comunisti che si fondavano su ideologie antitaliane e propugnavano l’isolamento dall’Europa occidentale e dall’Italia.
Tutto ciò fu accompagnato dal ridimensionamento forzato del peso economico, politico e culturale dell’elemento italiano in Istria, Dalmazia e Quarnero, quell’italianità che svolgeva tradizionalmente un’importante azione di intermediazione fra Italia e popoli balcanici. Le esperienze traumatiche della guerra, la creazione di una società fondata sulla proprietà collettiva e sulla distruzione progressiva di ogni attività economica capitalistica, il forte nazionalismo croato e sloveno favorito dal regime comunista per rafforzare il proprio consenso interno, spinsero la maggioranza degli italiani autoctoni della costa adriatica orientale alla scelta dell’esodo fra il 1946 e la metà degli anni Cinquanta.
Ma ben presto nel secondo dopoguerra agli occhi dei popoli balcanici sottomessi a regimi politici oppressivi e totalitari l’Italia da potenza imperialistica, invadente e minacciosa, si trasformò in oasi di libertà, luogo desiderato e sognato da tanti bramosi di una vita più libera e prospera. Gli stessi rapporti economici e politici fra l’Italia repubblicana e gli Stati comunisti conobbero una progressiva ripresa grazie alla distensione fra i due blocchi in Europa.
Alberto Basciani con acutezza ed equilibrio nota i limiti delle politiche dei governi italiani verso la regione balcanica: la discontinuità dell’attenzione e dell’impegno, il ricorrente provincialismo e velleitarismo, lo spreco e la disorganizzazione nell’uso delle risorse. Ma leggendo la sua bella ricostruzione possiamo rilevare in ogni caso l’importanza del rapporto con i Balcani nella storia dell’azione internazionale dell’Italia unitaria, così come il fatto che il nostro Paese ha avuto un suo importante peso nella vita di nazioni come albanesi, croati, serbi, greci e romeni, giocando un significativo ruolo di ponte fra Europa occidentale e Balcani.
Bei libri come Italia e Balcani. Storia di una prossimità ci mostrano che un risultato significativo di questi ultimi anni è stato il crescere di una consapevolezza nella cultura italiana della necessità di aprirsi sempre più agli apporti provenienti dal mondo dell’Europa sudorientale, perché nella capacità dell’Italia di riscoprire e valorizzare il proprio ruolo di intermediazione fra i popoli del Mediterraneo e dell’Europa si giocano i destini futuri del nostro Paese. Per questo dobbiamo essere grati ad Alberto Basciani e Egidio Ivetic per il loro impegno e per questo piccolo ma importante volume.