Jeeg Robot d’acciaio: una lezione di storia giapponese
L’antico e mostruoso popolo Yamatai, antico abitatore del Giappone, si risveglia improvvisamente dal suo sonno millenario e sotto la guida della regina Himika si lancia alla conquista del Paese del Sol Levante. Trova, però, sulla sua strada l’inaspettata resistenza del giovane Hiroshi, un pilota di Formula 1 trasformato dal padre scienziato in un cyborg in grado di assumere la forma di Jeeg, un potente robot d’acciaio, alla guida del quale egli respinge le ondate di guerrieri Haniwa e i mostri androidi che la perfida regina scaglia inesorabilmente sulla superficie dalla sua base nel sottosuolo. Così, di episodio in episodio, la lotta tra Jeeg e gli Haniwa si snoda tra colpi di scena e utilizzo di armi tecnologicamente sempre più perfezionate sino a quando Himika, riuscita a entrare in possesso di un rituale formula della campana di bronzo, evoca il Signore del Drago per schierarlo in battaglia accanto a sé. Quest’ultimo, però, si rivela troppo forte per essere dominato e una volta eliminata Himica trasforma di fatto il regno Yamatai in un impero votato alla conquista del mondo intero. Da questo punto la guerra contro i terrestri vive le sue fasi più drammatiche sino a quando l’Impero viene completamente annientato da Hiroshi che riesce a sconfiggere l’Imperatore in un drammatico scontro finale.
Quando, nel 1979, la serie fu trasmessa dalle tv commerciali italiane riscosse un successo sempre crescente in pubblico di giovanissimi già sensibilizzato dall’arrivo sulla Rai, alcuni anni prima, del capostipite dei manga giapponesi del genere in italiano, Atlas Ufo Robot (Goldrake). Ma ciò di cui i piccoli spettatori di quegli anni erano inconsapevoli, incantati dai colori dei robot e dalla potenza delle loro armi, era il fatto che la serie, in realtà, non era altro che un autentico concentrato di storia giapponese.
Innanzitutto, il regno Yamatai richiama alla memoria l’omonimo regno che ha ricoperto un ruolo importante nella storia antica del Giappone. Sviluppatosi attorno al VII secolo a.C., esso assunse una posizione egemonica nell’arcipelago nipponico dandosi precocemente una struttura “feudale”. Nella serie animata, infatti, la regina è coadiuvata dai suoi fedelissimi ministri i cui nomi, Ikima, Amaso e Mimashi, risultano identici a quelli di alcune antiche province giapponesi su cui si estendeva il regno Yamatai. Il nome della stessa regina poi, Himika, è chiaramente allusivo di quello di un’importante sovrana di quella dinastia, Himiko (175-248 d.C.)
Allo stesso modo, i guerrieri di quest’ultima sono chiamati Haniwa, come le omonime statuette di terracotta che nella cultura giapponese (e cinese) erano utilizzate a scopo rituale e funebre per essere sepolte assieme ai defunti. L’astronave ammiraglia dell’Impero Yamatai, inoltre, a metà tra un prodigio tecnologico ed essere vivente, è una rielaborazione di Yamata no Orochi, figura mitica giapponese a forma di drago a otto teste. La forma di Jeeg robot (così come quella di altri robot dei cartoni giapponesi del genere, si pensi a Daitarn 3 per esempio) richiama chiaramente alla mente l’immagine di un samurai in armatura.
Ma il legame tra la serie e la storia giapponese non si limita solo ai riferimenti al passato remoto del Paese del Sol Levante. Lo sviluppo stesso della trama mostra inconfondibili anche i segni della controversa e drammatica storia del Giappone contemporaneo. Innanzitutto, appare significativo che il “male” contro cui lottare nella serie provenga direttamente dal passato della nazione. Che poi questo passato sia molto remoto ha poca importanza ed è una spia fin troppo chiara della difficoltà della società giapponese a fare i conti con la propria storia più recente.
Himika, infatti, non è un’aliena, come spesso accade per i “cattivi” di altre serie animate giapponesi, e una volta risvegliatasi –come si vede nel discorso iniziale ai suoi ministri e soldati- rivendica il trono del Giappone che “legittimamente” dice di appartenerle. Inoltre, appare estremamente significativa la svolta, collocata più o meno a metà della serie, costituita dall’avvento dell’Imperatore del Drago che, una volta eliminata Himika, proclama la nascita dell’Impero e si lancia in un piano espansionistico che va ben oltre il Giappone. Come non vedere in tutto ciò un riferimento neppure troppo velato all’evoluzione del Sol Levante la cui “hybris imperiale” lo avrebbe condotto, dalla fine del XIX secolo, a una politica sempre più aggressiva sino al fatale scontro con gli Stati Uniti? Non sembra essere allora un caso che, al termine di ogni battaglia, il mostro Haniwa colpito da Jeeg esploda in una palla di fuoco che presenta tutte le caratteristiche di un’esplosione nucleare. Del resto, anche la base da cui Jeeg parte per le sue missioni si chiama “base anti-atomica”, ulteriore segno di quanto profondamente l’olocausto nucleare abbia marchiato a fuoco la memoria collettiva giapponese.
Infine, appare molto significativo anche che, mentre gli Haniwa presentano chiaramente tratti somatici orientali, tutti gli eroi positivi del cartone siano invece rappresentati con fattezze occidentali: un richiamo ai valori contenuti nella costituzione postbellica dopo la resa incondizionata del 1945. L’occidentalizzazione dell’eroe, dunque, quale ulteriore ammonimento a che certe memorie e certe pulsioni provenienti dal passato giapponese è bene che restino sopite, addormentate, come Himika prima del suo drammatico risveglio.