L’”arancina” dell’Amazzonia
Il juane delle foreste peruviane, storia di un popolo attraverso un piatto
Una storia millenaria alle spalle, un esterno invitante, l’unicità irripetibile di ogni singolo chicco di riso e un ripieno appetitoso e accogliente. Sono le qualità che vanta un piatto tipico della gastronomia siciliana: l’arancina (o arancino, per i conterranei del nostro vicinissimo Oriente).
L’arancina, come d’altronde la terra che l’ha vista nascere, è emblema di un tumultuoso crocevia di culture. Furono presumibilmente gli arabi a introdurre il riso in Occidente, iniziando a coltivarlo in Sicilia e in Spagna. Alcuni studiosi considerano le arancine come un’evoluzione di uno dei tipici piatti medievali in cui il riso, condito con zafferano e arricchito con carne e verdure, veniva servito al centro dei sontuosi banchetti saraceni, su grandi vassoi dai quali i commensali potevano servirsi liberamente. Si crede che furono in seguito gli stessi arabi tardo medievali a renderlo un piatto “a portar via”, dandogli la familiare forma rotonda.
La storia dell’arancina è inoltre intrecciata con quella del sovrano più celebre della Sicilia, l’imperatore Federico II Hoenstaufen, soprannominato stupor mundi per via delle sue ambizioni artistiche e l’inusuale desiderio di regnare promuovendo l’armonia tra le diverse civiltà dell’isola. Furono probabilmente i cuochi della multietnica e raffinata corte di Federico II ad avere per primi l’idea di impanare e friggere le arancine di riso per renderlo un alimento saporito, nutriente e non facilmente deperibile, che l’imperatore iniziò a portare con sé durante le missioni diplomatiche e le battute di caccia. Alcuni autori sostengono invece che l’arancina moderna sia nata all’interno dei conventi italiani, altri nelle case baronali, e altri ancora che la sua invenzione sia merito della cucina popolare, come modo creativo per riciclare degli avanzi.
Alla luce di questo passato incerto ma indubbiamente multiculturale, e della sua proverbiale bontà che riesce a unire, quantomeno a tavola, i differenti popoli ancora oggi presenti in terra siciliana, sarebbe da ingenui pensare che questo piatto così internazionale non abbia almeno qualche parente sparso per il mondo.
Inaspettatamente, durante le mie ricerche etnografiche tra le popolazioni amerindie, ho avuto proprio il piacere di fare conoscenza con un agreste cugino dell’arancina, a più di diecimila chilometri di distanza dall’Italia, nel cuore della foresta amazzonica. Il parente in questione si chiama juane e, come l’arancina, è una palla di riso condita, economica, sfiziosa e facile da trasportare.
Nel juane, il riso insaporito con zafferano circonda un ripieno di pollo, olive nere e uovo sodo, e il tutto viene avvolto e cotto all’interno in una grande foglia di bijao(1), che all’occorrenza sopperisce anche alla mancanza di un piatto in cui consumare il pasto.
Come la cugina fritta tanto cara ai siciliani, il juane è l’emblema della ricchezza folklorica di un’intera regione. È un piatto onnipresente su tutte le tavole amazzoniche: in particolare il 23 giugno, data in cui si celebra il santo patrono locale, San Juan, o San Giovanni, da cui l’arancina amazzonica prende il nome e l’aspetto, rappresentando la testa mozzata del santo in seguito all’ordine di decapitazione da parte di Erode.
La festa di San Juan costituisce senza dubbio l’avvenimento più importante della regione amazzonica, che tutti gli abitanti della selva festeggiano con entusiasmo a prescindere dal proprio credo religioso, e una delle celebrazioni sincretiche per eccellenza del calendario, che presenta forti legami con i cicli della produzione agricola. Infatti, mentre nel nostro emisfero settentrionale la commemorazione di San Giovanni Battista insiste su festeggiamenti precristiani legati al solstizio d’estate, nelle foreste dell’America Latina la data di giugno giugno coincide con l’ultimo periodo della semina.
La leggenda narra che la festa di San Juan abbia avuto origine durante la fine del XIX secolo per merito di alcuni membri del gruppo etnico Jivaro o Shiwilu, provenienti dal fiume Aypena. I quali, durante l’epoca dello sfruttamento intensivo del caucciù, stanchi di essere schiavizzati, scapparono nelle profondità della foresta. Nel tragitto i fuggitivi incontrarono una capanna con all’interno proprio l’immagine di San Giovanni, che decisero di portare con loro affinché li proteggesse durante la pericolosa spedizione. Fu così che, miracolosamente sopravvissuti alle difficoltà della lunga traversata, i nativi Jivaro fondarono la loro nuova comunità e la chiamarono San Juan, vicino all’attuale città di Iquitos, dedicandola al santo il cui aiuto aveva salvato loro la vita.
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Da quel momento in poi la festa si diffuse in tutta la selva peruviana, e tutti gli anni, fino all’alba del 24 giugno, processioni pittoresche e balli sfrenati si incrociano nelle città amazzoniche peruviane. Ciascuna città celebra San Juan in modo differente, con bagni di purificazione, messe in lingue indigene e danze rituali intorno a delle palme cariche di regali, come il “ballo della pandilla” intorno all’albero chiamato Humisha(2).
La nostra arancina della selva, il juane, trascende le variazioni celebrative regionali ed è in ogni dove il protagonista della festa. Non esiste città amazzonica in Perù in cui in occasione delle processioni di San Juan non si preparino in casa e si portino “a passeggio” i fagottini di riso, consumandole allegramente tra un festeggiamento e l’altro.
All’interno di società multietniche, sia il l’arancina siciliana sia il suo lontano cugino latinoamericano riescono a mettere d’accordo tutti: li assaporano con entusiasmo e geloso attaccamento regionale i Siculi e i Sicani, le diverse etnie indigene amazzoniche e creoli, i proletari e l’élite. Il juane e l’arancina: specialità gastronomiche semplici ma ricchissime, in quanto fedeli depositarie di un passato eclettico e sincretico, ci mostrano nella loro schietta veracità che l’armonia e l’integrazione, anche a tavola, sono intimamente legate all’interesse verso la nostra Storia e verso le mille storie degli Altri.
Note:
1 Calathea lutea, pianta tipica dell’America tropicale, caratterizzata da foglie larghe e spesse
2 Uno degli alberi festivi tipici delle tradizionali celebrazioni legate al Carnevale e alla festa di San Giovanni