La Calabria mediterranea
Una banale lettura dell’opera di Fernand Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, assolutizza la sua tesi del trasferimento del baricentro dell’economia-mondo dal Mare Nostrum all’Atlantico dalla fine del XVI secolo. Nella realtà storica il Mediterraneo continua ad essere non periferico durante il Seicento. Lo dimostrano vari profili. In primo luogo quello geopolitico: sia l’ultima fase della Guerra dei Trent’anni, caratterizzata dal conflitto tra Francia e Spagna, sia le rivolte degli anni Quaranta del Seicento in Catalogna, Napoli e Sicilia, sia l’insurrezione messinese del 1674-1678 vedono lo spazio mediterraneo ancora al centro degli interessi delle grandi potenze, anche di quelle atlantiche. Le istituzioni – ed è il secondo profilo – hanno subito certo un processo di trasformazione rilevante con il primato del valido nel sistema imperiale spagnolo e del favorito in altre aree del continente come l’Inghilterra di Buckingham, che hanno concentrato i poteri di gestione della grazia e il controllo dell’amministrazione. Ma, nonostante tutto, l’antica istituzione mediterranea, il Consiglio, Consejo, Conseil, resiste sia nel sistema polisinodale ispanico sia in altri paesi dell’Europa. Si è scritto anche di un feudalesimo mediterraneo che caratterizzerebbe con tratti comuni sia l’organizzazione socioeconomica sia la giurisdizione su uomini e su terre nella parte europea e nella parte dell’Africa settentrionale bagnate dal Mare Nostrum.
Il Regno di Napoli, nel corso del XVII secolo, fa parte integrante, dunque, di un Mediterraneo non periferico. E le sue province, insieme con la capitale, sono i soggetti protagonisti del processo.
Giunge pertanto a proposito il volume La Calabria e il Mediterraneo nel Seicento. Economia, società, istituzioni, cultura, a cura di Sebastiano Marco Cicciò e Vincenzo Naymo, Rubbettino editore. Il libro raccoglie gli atti di un Convegno Internazionale, organizzato dal Circolo di Studi Storici “Le Calabrie”, diretto da Marilisa Morrone, benemerita associazione composta da accademici e studiosi locali, promotrice di ricerche interdisciplinari sulla storia della Calabria dall’antichità all’età moderna.
Come rileva Maurice Aymard nella sua relazione conclusiva, i contributi presentati si caratterizzano per l’attenzione costante al rapporto fra il particolare, il locale e il generale, per la capacità di collegare fatti e processi, analizzati sulla scala della regione e delle subregioni calabresi, a vicende più complessive del secolo.
Sempre lo storico francese che la Calabria del Seicento si presenta come “una struttura globale differenziata e con capacità di resilienza”. Se è condivisibile il punto di vista di Aymard, va altresì osservato come la regione, nel trend secolare, mostri i segni di una dipendenza a diversi livelli: nel mercato internazionale, perché il grande sviluppo aragonese di alcune voci portanti della sua economia, in particolare cereali, vino, olio e seta, accompagnato dal rilancio cinquecentesco, è interessato ad un battuta d’arresto; nello scambio ineguale che viene a determinarsi tra l’economia della regione e altre aree europee; per la subalternità al capitale e agli hombres de negocios stranieri.
Molti i temi affrontati nel volume. In primo luogo quello feudale. Le ricerche confermano quanto già sostenuto da Giuseppe Galasso nel suo Economia e società nella Calabria del Cinquecento, pubblicato in prima edizione nel 1967, poi ripetutamente riedito negli anni successivi: durante il Seicento, nonostante l’ingresso tra le file della feudalità di mercanti stranieri, esponenti della pubblica amministrazione centrale e periferica, nobiltà titolata più di recente, non si attuò un vero e proprio ricambio, ma una ristrutturazione che non incrinò il nucleo storico del baronaggio calabrese, destinato a durare fino alla legge eversiva del 1806. Più interessante appare l’indagine, proposta in questi atti, sui suffeudi, che consentono il radicamento territoriale e patrimoniale di legali e burocrati attraverso soprattutto il patronage del grande principe Carlo Maria Carafa.
Tra le professioni figura onnipresente continua ad essere quella del notaio. Sarebbe interessante saperne di più su altre ramificazioni del “ceto civile” e sulla figura dei medici, che acquistano sempre maggiore importanza nel contesto calabrese.
Un’attenzione particolare è dedicata ai modelli di santità: potrebbero essi stessi definirsi “mediterranei” per l’influenza sulla loro fisionomia sia di caratteri greci, bizantini, latini, ottomani, sia dell’ascesi barocca.
Musica, arti figurative, scienze, letteratura storiografica sono altri approcci interessanti di un’opera interdisciplinare che ha messo insieme competenze diverse ma fra loro integrate.