La Casina alla Cinese e altre cineserie palermitane
La presenza in Europa di oggetti asiatici, soprattutto cinesi, risale già al XIII secolo, quando i rapporti commerciali tra Occidente e Oriente contribuirono all’idea che il Catai fosse una terra di magia, una sorta di paradiso terrestre.
Furono proprio le trascrizioni dei racconti di Marco Polo, riportati su manoscritti, a far considerare le miniature (opera di artisti che non avevano mai lasciato l’Europa) che li decorano, per il loro carattere interamente fantastico, le prime “cineserie” dipinte. Tartari e cinesi estremamente veridici figurano già nel XIV e nel XV secolo negli affreschi di Lorenzetti, Andrea da Firenze, Gozzoli; le sete cinesi ispirarono i tessitori lucchesi, tramite i mercanti portoghesi lacche e porcellane invasero i mercati di Lisbona, Venezia, Anversa e Amsterdam. I missionari gesuiti, ben visti a Pechino, inviavano disegni di costumi e vesti e copie di pitture, il Padre Castiglione insegnava a Pechino le regole della prospettiva europea, e dipingeva scene su rotoli alla maniera cinese.
Il gusto per l’Oriente si affermerà nel Settecento, al punto che “verso la metà del secolo – scrive Rykwert – non c’era dimora europea di una qualche importanza che non avesse la propria stanza cinese rivestita di carta da parati o pannelli laccati, le sue piastrelle e i suoi vasi Ming”. L’adozione dei temi decorativi cinesi sembra alludere al desiderio del “raggiungimento della felicità”, tramite l’avvicinamento a una “razionalità celeste”, principale nodo interpretativo delle civiltà orientali.
Per la maggior parte degli artisti europei la Cina è un mondo “deliziosamente assurdo, senza peso e senza volume”: Huet1 mescolò cinesi e scimmie nelle Singeries di Chantilly, di Champs e dell’Hotel di Rohan-Strasbourg a Parigi, la Regina consorte Maria Leszczyriska2 fece dipingere prediche di missionari nel suo appartamento di Versailles, Pillement3 decorò con figure e fiori “cinesi” pannelli e sopraporta in Francia, in Inghilterra, in Portogallo, e i suoi taccuini di incisioni servirono da modello ovunque.
Dalla Germania la moda conquistò l’Austria, la Russia, la Polonia, la Scandinavia. A Bral esiste un gabinetto i cui pannelli lignei sono dipinti con scene cinesi, in rosso e blu, il padiglione dell’Amalienburg conserva due piccole stanze dipinte in blu su fondo bianco. Voltaire, che apprezzava tali decorazioni, ne trasmise il gusto a Federico II, che fece costruire a Potsdam una casa da tè, la cui cupola venne dipinta all’interno con personaggi e vasi cinesi. A Oranienbaum, Caterina II fece costruire un palazzo “cinese” con soffitti dipinti, di cui uno rappresenta le Nozze cinesi.
In Svezia, la casa cinese costruita a Drottningholm per la regina Luisa-Ulrica contiene una grande sala ornata da pannelli dipinti con personaggi cinesi in verde ed oro, probabilmente per mano di Johann Pasch4, mentre in Inghilterra il gusto si diffuse soprattutto nella decorazione delle carte da parati.
In Italia il più antico esempio di Cineseria è in Piemonte, il soffitto della Villa della Regina, dipinta nel 1720 con arabeschi frammezzati a figure cinesi, ma la sala cinese della Foresteria di villa Valmarana, presso Vicenza, costituisce l’esempio più brillante: Gian Domenico Tiepolo vi dipinse nel 1757 scene con grandi personaggi ispirati dalle incisioni del citato Pillement. Anche una camera della villa papale di Castelgandolfo fu decorata da cineserie dipinte, nella villa Grimani, presso Padova, una delle pitture murali rappresenta la Giustizia del mandarino, e infine fregi dipinti nel 1790 nel castello di Rivoli presentano scene cinesi, ma già tendenti al neoclassico.
È, quindi, in questo contesto che Palermo esprime una delle più ampie e “integranti” realizzazioni non solo italiane, la REAL CASINA ALLA CINESE, che ormai da più di due secoli è, con il vasto Parco della Favorita, luogo attraversato e fruito dai percorsi e dalle attività dei cittadini.
L’edificio è un caso quasi unico nel genere, poiché le altre realizzazioni “in tema” sono, come abbiamo visto, spesso limitate a singoli ambienti arredati o decorati all’orientale, o soltanto piccoli padiglioni da giardino. La costruzione della “Casina” nel contesto delle complesse vicende politiche che negli ultimi anni del XVIII secolo coinvolgono il re Ferdinando III di Borbone, è un episodio che resta “una delle rare applicazioni della cultura dell’abitare in villa omogeneizzata con i principii dei padiglioni da giardino ad uso dilettevole”5.
Per realizzare per il suo soggiorno palermitano un parco che fosse “luogo di sperimentazione agraria, con riserve di caccia, giardini e parterres”, il re incaricò il Principe di Aci Giuseppe Reggio e Giovan Battista Asmundo Paternò di “acquistare per lui alcuni siti di campagna” prossimi alla città. Uno di questi siti era proprietà di Benedetto Lombardo e Lucchesi Palli barone della Scala, che aveva già affidato a Giuseppe Venanzio Marvuglia l’incarico di realizzare una “casina di delizia alla chinese”, ma morirà prima di vedere completata l’opera. “Or chi lo volea dire che la Casena di Lombardo dovea incontrare tanta fortuna presso il Monarca delle Sicilie… una casena è questa fatta tutta d’ossatura in legno, i balconi di tavolini attaccati alli gattoni di legno con corda, fatta rotonda, ed alla foggia e gusto chinese, con le cupolette di ciascuna campanella che pendono e suonano al volo dei venti e perciò viene chiamata Villa delle Campanelle”6.
La casena si trova nel cuore della Piana dei Colli, attorniata da altre ville della nobiltà, e la presenza reale spinse i titolati che avevano proprietà limitrofe a farne dono al re per consentirgli di creare il Parco; al Marvuglia fu reiterato l’incarico di trasformare la costruzione in una residenza reale, mantenendone comunque l’apprezzato originario stile alla cinese. I lavori di costruzione terminarono nel 1807, e il complesso comprende oltre alla casina i propilei d’ingresso e i due padiglioni per la cappella e i servizi, uno in stile alla cinese e l’altro alla turca.
L’intervento del Marvuglia si attuò nel completamento “strutturale”, nelle aggiunte del piano della “Sala dei Venti”, delle grandi terrazze, dei portici, e delle scale esterne, e negli apparati decorativi interni ed esterni, ispirandosi, per questi ultimi, ai repertori inglesi e francesi.
Hugh Honour7 definisce la costruzione “l’esemplare più raffinato di cineseria italiana del tardo Settecento… la stanza di maggior effetto è la sala da gioco, sulle cui pareti sono dipinti gruppi di cinesi che esibiscono i loro sontuosi abiti… le figure incedono prendendo atteggiamenti di una dignità compassata, che le classifica come distaccati membri del mondo neoclassico”. O il Salone delle udienze in cui i motivi decorativi rappresentano “mandarini riccamente vestiti e pagode dai fregi ricercati”.
L’insieme della Casina e dei suoi giardini interpreta “l’appropriazione di quel linguaggio immaginifico della cultura figurativa cinese nell’ambito dell’abitazione occidentale e del suo patrimonio culturale… a cui si aggiungono il suo essere un padiglione dentro un parco e il costituire sistema all’interno del parco”, con i giardini all’italiana, il parterre de broderie8 alla francese e il giardino di veduta all’inglese9.
Limitando il nostro interesse agli ambienti e alle opere più strettamente legate ai temi “cinesi”, citiamo al piano nobile la sala centrale, la Galleria, magnificamente dipinta nella volta con raffinate logge e figure orientali, eseguite dal pittore Vincenzo Riolo, con le pareti ricoperte da pannelli in seta dipinta a tralci fioriti di manifattura cinese. Nell’ala che accoglie la camera da letto del re, costituita da tre ambienti collegati, le volte sono decorate con raffinate balaustre da cui si affacciano personaggi orientali, opera di Giuseppe Velasco, pittore ufficiale della corte borbonica e Direttore della scuola di disegno dell’Accademia di Palermo, con la collaborazione di Benedetto Cotardi. Nella originaria Camera di compagnia le pareti e la volta recano figure e ambientazioni orientali eseguite ancora da Riolo, tra il 1805 e il 1808.
Recenti studi hanno dedicato particolare attenzione ai “rivestimenti tessili”. L’architettura e l’apparato decorativo degli interni, gli arredi e i rivestimenti tessili10 murari mostrano “una straordinaria uniformità linguistica… Per conferire unità percettiva tra i giardini esterni e gli spazi interni, le pareti degli ambienti di rappresentanza sono in buona parte rivestiti di tessuti stampati, dipinti o ricamati, di fattura cinese e indiana, raffiguranti rigogliosi soggetti floreali, abitati da uccelli e insetti, che si integrano armoniosamente con le superfici affrescate riproducenti squarci sul fantastico mondo orientale dove la natura appare lussureggiante… Il tema iconografico riprodotto rientra nella categoria denominata a fiori e uccelli, tra le più antiche della tradizione figurativa esotica, ampiamente diffusa in Cina… caratterizzata da grandi rami fioriti, uccelli, insetti, in cui spesso la raffigurazione raggiunge forme di grande naturalismo esasperato nella minuziosa e particolareggiata resa del piumaggio dei volatili, nella descrizione accurata dei petali dei fiori e delle varie specie di piante e alberi”.
Il re Ferdinando vorrà poi realizzate delle STANZE CINESI anche nell’appartamento del Palazzo Reale, dandone mandato a Leopoldo di Borbone, governatore della Sicilia nel 1830, che ne affiderà l’incarico ai Patricolo11. Anche qui, come nel “Salottino da gioco” della Casina, figurano, sempre disposti su terrazze affacciate sul paesaggio e con serene espressioni, personaggi cinesi elegantemente vestiti; spiccano, forse un po’ “dominanti”, i sopraporta decorati con vistosi ideogrammi color oro su fondo blu. Merita una particolare attenzione il tavolino “a ribalta”, il cui dorato piedistallo tripode è sostenuto da dragoni, e il piano è istoriato con scene bucoliche, piccole pagode, dignitari e dame in sontuosi abiti, pavoni e altri uccelli, a rappresentare, appunto, una complessiva armonia con la natura.
Anche a PALAZZO FILANGERI DI MIRTO incontriamo una significativa, e più tarda, testimonianza, il Salottino alla cinese decorato alla metà del XIX secolo dal pittore trapanese Giovanni Lentini (padre del più noto Rocco): l’autore ha sicura conoscenza sia della Casina Cinese che delle stanze nel Palazzo Reale, e ne trae evidenti spunti. Anche per questa opera, studi recenti12 hanno individuato nell’archivio del palazzo i documenti relativi ai pagamenti fatti all’artista, che consentono di datare esattamente l’intervento in occasione “delle nozze di Giuseppe Antonio Lanza e Filangeri con Silvia Paternò dei principi di Sperlinga”, nel 1859.
Alle pareti un’interessante sequenza di pannelli in seta, dipinti con scene di vita quotidiana orientale e che illustrano il ciclo produttivo della seta, dalla raccolta dei bachi sino alla stesura dei teli, probabilmente di diretta importazione dalla Cina, come si può supporre grazie ai documenti che testimoniano il pagamento all’artigiano Andrea Pace per “aver tappezzato ed acconciato la tappezzeria nel camerino chinese”, nonché per aver lavorato “agli sgabelli e ai divani”. Merita sicura e particolare attenzione il soffitto, disegnato come uno “stravagante loggiato aperto su una lussureggiante vegetazione, dalla cui balaustra si affacciano” eleganti personaggi che passeggiano tra architetture esotiche, giardini e padiglioni. Il salottino sarà ancora arricchito, sul finire del secolo, dagli originali arredi lignei con “mobili a pagoda” in legno laccato, dai colori nero, rosso e oro realizzati da Antonio Catalano, ebanista palermitano13.
1 Christophe Huet (1694 – 1759) francese, decoratore, disegnatore e pittore, attivo a metà del XVIII secolo, esponente di una famiglia di artisti, il nonno doratore, il padre pittore e il nipote Jean-Baptiste Huet, il più famoso.
2 Maria Leszczyńska, figlia del re Stanislao di Polonia, sposò re Luigi XV di Francia.
3 Jean-Baptiste Pillement (1728 – 1808), alternò il lavoro presso la manifattura di Gobelins con i soggiorni in Portogallo, Inghilterra e Polonia. Autore di disegni e incisioni di gusto cinesizzante, raccolti in due volumi (1767-71) e ampiamente diffusi in Europa come modelli, dipinse prevalentemente paesaggi e vedute con rovine ambientati.
4 Johan Pasch (1706 – 1769) è stato un pittore, incisore e artista decorativo svedese.
5 Giulia Davì, Eliana Mauro, La Casina Cinese nel regio Parco della Favorita di Palermo, 2015
6 F.M. Emanuele e Gaetani Marchese di Villabianca, Diario palermitano, maggio 1798
7 Chinoserie. The vision of Cathay, 1961
8 Termine indicante parte del giardino disposta ad aiuole: il contorno è quasi sempre di piante sempreverdi di basso fusto, che tracciano disegni sul terreno, con all’interno fiori, zolle erbose, terre e ghiaie colorate.
9 Il giardino all’inglese nasce sulla scia della concezione illuminista della natura, che essa generi sensazioni spontanee, senza dover apportare nuovi elementi che creino rigide geometrie. La naturalezza che all’occhio del visitatore appare come un insieme “non organizzato”, richiede invece cura e dedizione.
10 I rivestimenti tessili di importazione orientale presso la Reale Casina alla cinese, di Roberta Civiletto, sta in Le Mappe del Tesoro, volume 11, I piaceri settecenteschi. Ville e palazzi dei Gattopardi, a cura di Maddalena De Luca e Ciro D’Arpa.
11 Salvatore Patricolo (1808 – 1834), fratello minore di Giovanni, fu da questi avviato alla pittura, e i suoi dipinti vennero subito apprezzati; per la morte prematura dell’artista, le opere nel Palazzo Reale furono completate dal fratello.
12 Maddalena De Luca, Il salottino “alla cinese” di Palazzo Mirto, sta in Una vita per il patrimonio artistico: contributi in onore di Vincenzo Scuderi, 2010