La famiglia allargata? Non è per niente una trovata moderna
Spose bambine, mogli a tempo, schiave e “amorosie”: le declinazioni della donna nel Medioevo
L’uomo medievale aveva un modo di rapportarsi a temi come amore, cupidigia, desiderio, maternità, matrimoni, amanti, concubine profondamente diverso da quello che caratterizza la relazione nella realtà quotidiana di oggi.
I comportamenti, la morale e il rapporto con la donna di un siciliano del ‘400, per esempio, differivano profondamente dai nostri attuali modelli di riferimento.
Primo momento di confronto è il matrimonio, considerato un affare fra le famiglie e come tale trattato. Le trattative preliminari erano affidate ad un intermediario “il sensale di matrimonio” che aveva il compito non solo di favorire il rapporto tra le famiglie ma anche di concordare le clausole economiche del contratto matrimoniale che sarebbero state successivamente trasferite nel contratto notarile con il quale si definiva e si formalizzava l’intera trattativa. Al sensale spettava un compenso pari all’1% dell’ammontare della dote, compenso fissato dalla consuetudine ma fatto rispettare anche con il ricorso al giudice per costringere genitori già indebitati dalle spese sostenute per il matrimonio a pagare il suo onorario.
Le spose erano nella maggior parte dei casi bambine. I fascicoli processuali della Corte pretoriana – Tribunale di primo grado – ci danno una precisa indicazione sulla forchetta temporale dell’età che le consuetudini considerava corretta affinché le ragazze potessero contrarre matrimonio.
Un fascicolo processuale redatto nel 1484 vede Agata – vedova del nobile Giovanni Ventimiglia contrapposta al figlio Francesco – che deve corrispondere alla sorella Eleonora la dote di onze 500 prevista nel testamento del padre. Il fratello Francesco si opponeva alle nozze sostenendo che la sorella non aveva ancora l’età per contrarre matrimonio. Il giudice chiamato a dirimere il conflitto fa riferimento alla consuetudine e, conseguentemente, convoca numerosi testimoni per acquisire i termini degli usi. I testi sentiti dalla corte affermarono unanimemente che li citelli tantu gintili quantu populari et blebei (le fanciulle sia nobili, sia borghesi, sia appartenenti al popolo minuto) convolavano a nozze fra i 10 e gli 11 anni. La madre rende la sua testimonianza che Eleonora ha quasi 11 anni ed è maliciosa, intelligens et doli capax et saputa comu si fussi di etati di anni tridichi oi in quattordici (maliziosa, intelligente e in grado di pensare al male e conoscitrice del mondo come se avesse tredici o quattordici anni). I testimoni ascoltati ribadiscono la loro tesi ed Eleonora dal tribunale cittadino è considerata matura per contrarre matrimonio anche se il parametro temporale previsto dalla consuetudine era fissato sui 13 o 14 anni.
Gli atti processuali ci permettono di aprire una finestra su sentimenti e modi di comportamento di una società com’è quella siciliana medievale nella quale i dettati della morale cristiana non dovevano essere molto radicati nonostante le ritualità diffusamente partecipate. Il Concilio di Trento e la Controriforma sono ancora lontani.
Essendo il matrimonio considerato un affare – e come tale concluso indipendentemente dai sentimenti dei contraenti e con la presenza delle spose bambine – si diffonde e si consolida la presenza ufficiale nella famiglia della concubina o della “amorosia”. Gli atti giudiziari ci permettono di aprire, anche in questo caso, una finestra sulla vita delle “famiglie allargate medievali” presenti a Palermo.
Riporto un solo caso: quello del nobile Tommaso Crispo. È un cavaliere con un ruolo rilevante nell’amministrazione della città. Ha due figli nati dalla moglie Elisabetta, un figlio naturale, Enrico, legittimato e avviato per la sua particolare intelligenza agli studi universitari, un altro figlio, Giovanni, con la schiava Lucia, che è anche nutrice di suo figlio legittimo Iacobo. Gli atti notarili e in particolare i testamenti ci permettono di potere dire che la schiava concubina del pater familiae, che allo stesso tempo diventa la nutrice dei figli legittimi, è la normalità.
Il ruolo sessuale che la schiava, acquistata sul mercato palermitano, svolge nel contesto delle famiglie si percepisce in modo chiaro leggendo i fascicoli processuali.
Un caso esemplare è ricavato da un fascicolo processuale del 1484: il vecchio mastro Andrea de Amato è proprietario di una schiava e desidera avere un figlio. Nell’impossibilità di poterlo generare si rivolge ad un giovane, Ottaviano Galanteria, concordando di corrispondere una certa somma di denaro e alcuni beni di consumo come olio e legna nell’eventualità che da questa relazione nasca un figlio, che avrebbe dovuto essere consegnato a maestro Andrea. Il figlio nasce ma mastro Andrea muore e i suoi figli legittimi si rifiutano di adempiere ai patti stabiliti.
Inoltre, a Palermo vi erano molti mercanti stranieri che utilizzavano lo schema tipico della tradizione araba del matrimonio a tempo con contratti notarili che prevedevano la corresponsione di una somma di denaro al termine della convivenza. Palermo, per i mercanti che venivano con le loro merci, offriva non solo matrimoni a tempo ma anche “escort”, donne raffinate pronte a rendere piacevoli le giornate ma anche a gabbare il malcapitato.
Vi invito a rileggere la decima novella dell’ottava giornata del Decamerone che ha come scenario il capoluogo siciliano e come protagonista il mercante fiorentino Salabetto e una escort raffinata madonna Biancofiore. La donna mette in atto tutta la sua capacità di seduzione invitando alla fine il mercante in un bagno pubblico dove ha affittato una stanza da letto. In questo splendida alcova madonna Biancofiore lo seduce e si fa prestare 500 fiorini che il mercante non rivedrà più. Rileggetela e gustatevi le contromosse messe in atto dal mercante toscano per rientrare in possesso del maltolto.
Un passaggio significativo per percepire le diverse sfaccettature che assume il rapporto tra uomo e donna nella Sicilia medievale. Accanto alle spose bambine, alle schiave oggetto di consumo sensuale vi erano donne consapevoli del loro fascino e della autonomia di gestione del proprio corpo.
Il soffitto dello Steri ha delle splendide immagini di amanti, di mariti traditi, di delitti di onore e i fascicoli processuali riportano di episodi di uomini che scalano muri, aprono brecce nei terrazzi per andare a trovare le loro amate eludendo la sorveglianza di mariti o di padri arcigni.
Ma nello stesso tempo ci sono donne che hanno il coraggio e la forza di portare il fallimento del proprio matrimonio davanti alla Corte dell’Arcivescovo per l’annullamento.
In un registro della Curia ci sono 7 sentenze di annullamento del matrimonio ne ricordo una particolarmente esemplificativa. Contessa porta davanti al tribunale ecclesiastico il marito Giovanni de Chola: uomo violento che non le ha mai risparmiato le percosse e i colpi di spada. Il comportamento ambiguo dell’uomo porta la donna a tentare la riconciliazione e a riprendere la convivenza ma il marito prova due volte di avvelenarla propinandole occulte inter salciamentum lisargarum et arsenicum. Una storia di violenza familiare che si conclude con l’annullamento del matrimonio.
Tutti questi esempi ci rendono partecipi di un quadro della realtà del pianeta donna nella società medievale siciliana molto articolato e che non può essere riportato ad unità. La complessità della società siciliana non è stata ancora irregimentata infatti dalla Controriforma e dal controllo che eserciterà la Chiesa grazie alla sua struttura capillarmente presente sul territorio.