La figura del bodyguard in Sicilia a cavallo tra il ‘500 e il ‘600.
La figura della guardia del corpo, o bodyguard come si dice in chiave moderna, si afferma in Sicilia tra la seconda metà del XVI secolo e la prima metà del secolo successivo.
Bisogna subito puntualizzare il fatto che essa non va confusa con la figura del cicisbeo, affermatasi ai primi del ‘700, in quanto il cicisbeo non fu come la guardia del corpo un addetto alla protezione e alla sicurezza della dama, ma quella dell’accompagnatore nella vita sociale.
L’argomento del presente saggio mostra l’attualità di questa figura in quanto anticipa di ben cinque secoli il film sentimentale dei nostri tempi “Guardia del corpo“del 1992, regia di Mick Jachson, che vede come protagonisti, la compianta Whitney Houston che si cimenta sia come attrice che come cantante, con la sua divina voce che la colloca in un posto di prestigio della musica internazionale e l’attore Kevin Costner, il quale impersona la figura di un ex agente dell’ F.B.I. e che con il suo fascino non può non dare luogo a un risvolto amoroso con la donna che egli era stato chiamato a proteggere, cosa che nel ‘500 e nel ‘600, secoli durante i quali si svolge il fenomeno del presente lavoro, non era assolutamente possibile e le cui conseguenze sarebbero potute essere per lui funeste o quanto meno compromettenti per il suo futuro di addetto alla sicurezza delle dame.
Al tempo stesso, questo mestiere part time, anticipa di oltre un secolo il fenomeno sociale del cicisbeismo, almeno in alcuni aspetti, se teniamo conto del fatto che il cicisbeo, tra i suoi compiti aveva quello di accompagnare la dama dappertutto e non solo nei suoi impegni religiosi. Infatti egli la accompagnava oltre che alla messa. anche alla passeggiata, al pranzo, alla conversazione, nonchè al teatro e al gioco. Esso fu un accompagnatore della dama per tutti i suoi impegni sociali e mondani e non un addetto alla sicurezza.
Cicisbeismo che, a sua volta, non bisogna confondere con l’altro fenomeno di origine spagnola quale quello della cavalleria e della galanteria, causati da diverse circostanze storiche.
Secondo Lady Mary Wortley Montague, l’abitudine del cicibeismo inizia con il radicarsi aGenova dal 1718, da dove, in seguito, si diffuse in tutta Italia. Riguardo a questa diffusione del cicisbeismo, tanto hanno scritto A. Neri in I cicisbei a Genova (GE., 1883) e A. Salza in I cicisbei nella vita e nella letteratura del Settecento (Riv. d’Italia, Roma, agosto 1910).
Il fenomeno si afferma e si radica in quanto il marito in casa ci sta poco e ciò lo riferisce il Richard: …i negozi, gli uffici, il servir dama lo tengono lontano; mentre vi è assiduo il cicisbeo, la scelta del quale è un affar di famiglia. Stipulandosi il contratto matrimoniale d’una giovane nobile, si pensa, d’accordo col marito, a scegliere un cicisbeo (ma talvolta se ne scelgono fin quattro!). Il cicisbeo deve aiutar la dama ad abbigliarsi, accompagnarla da per tutto,… S’arriva dunque alla legalizzazione per contratto. Su questo fenomeno diversi studiosi scrivono parecchio da G. A. Costantini, il Parini, il Foscolo, Vittorio Alfieri, Vittorio Imbriani e ai giorni nostri il lavoro interessante è quello di Roberto Bizzocchi Cicisbei (Laterza, 2008).
A conclusione di questo breve excursus sul fenomeno del cicisbeismo, diciamo che un lavoro il quale merita di essere pure citato e quello di Giuseppe Leanti da Noto, dal titolo “La Satira contro il Settecento galante in Sicilia“ pubblicato a Palermo nel 1919 e ristampato nel 1999 con una bella introduzione della professoressa Maria Carmela Coco Davani direttrice dell’Istituto di Lingue della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo. Questo lavoro del Leanti in particolar modo ci interessa in quanto riguardante il fenomeno del cicisbeismo in Sicilia. Così scrive la Coco Davani: […] la connotazione “galante” del termine derivante dal verbo francese galer, divertirsi era ancora usata per designare uno stile di vita, piuttosto che una classe sociale. Era il tempo dei Borboni e del cosiddetto dispotismo illuminato. Era il tempo delle Accademie, dei Casini di Conversazione, delle Biblioteche pubbliche e nobiliari, delle feste sfarzose nei palazzi. Tutto procedeva secondo schemi della più rigida etichetta. Etichetta della conversazione, del gioco, del vestire, del cicisbeo, dell’abate. Il cicisbeismo era diventato una istituzione di platonica rispondenza tra la gentildonna e i suoi corteggiatori, accettata anche dal marito, forse per alleviare il peso dei matrimoni combinati per interesse o per coprire qualche scandalo…
Tornando a parlare della figura del bodyguard, diffusasi in Sicilia tra la seconda metè del ‘500 e la prima del ‘600, possiamo dire che la mia ricerca comprende documenti che vanno dal 1554 al 1619, periodo di ben 65 anni durante il quale l’usanza si è potuta abbondantemente consolidare. Emerge infatti un dato inoppugnabile quale quello della diffusione del fenomeno presso la classe borghese emergente, che cerca di imitare e scimmiottare in qualche modo gli aristocratici, i quali, a loro volta, non avevano bisogno di persone che garantissero la loro incolumità in quanto avevano già il loro personale che provvedeva a scortarli quando uscivano dal loro palazzo,
Va precisato che il compito di questi uomini di rispetto si concretizzava in linea di massima contro le eventuali aggressioni e le molestie del delinquente comune e non contro i componenti delle agguerrite e ben organizzate bande criminali che dominavano tutte e tre le valli della Sicilia e imponevano le loro ferree leggi talvolta con la complicità delle istituzioni, quali la chiesa e l’aristocrazia, interessate a evitare rappresaglie nei loro luoghi di influenza, ivi compresi i capitani di giustizia e i capitani d’ arme i quali con eccessiva complicità, rilasciavano i cosiddetti guidatici, sorta di dazio del genere del pedaggio, per entrare in compartecipazione nei proventi di tutte le azioni criminali portate a termine dai banditi con l’estrema sicurezza a loro garantita (G. Marrone, Città campagna e criminalità nella Sicilia moderna, 1995, p.136)
Prestigio, sicurezza, gelosia, erano i motivi che inducevano i mariti a procurare un bodyguard alle proprie mogli: prestigio in quanto , come già detto, la classe borghese cercava di imitare quella aristocratica; sicurezza in quanto, in età spagnola, come già detto, in Sicilia era diffuso il fenomeno del brigantaggio sia rurale che urbano e nei confronti della quale sicurezza lo Stato era pressochè assente; gelosia dettata da un fattore genetico che caratterizzava i Siciliani a partire dalla Rivoluzione del Vespro.
Questa figura del bodyguard è quella di un personaggio che in quell’epoca poteva rappresentare tanti sentimenti e tante iniziative che riguardavano l’interesse delle donne e che potevano  essere: protezione, evasione, civetteria, nonchè ostentazione e mostra di alcuni capi di abbigliamento alla moda e di gioielli molto preziosi.
Il termine comune che troviamo in tutti questi documenti rinvenuti è il verbo “associare” con il quale lo stipulante del contratto, sia esso il marito, il padre o un fratello della dama da accompagnare, per l’occasione la affidava a questo uomo che, per il suo aspetto fisico e possente e di rispetto, la poteva proteggere e garantire in tutte quelle occasioni nelle quali ce ne fosse stato di bisogno.
Come si evince dai documenti rinvenuti presso l’Archivio di Stato di Palermo e riportati nell’appendice documentaria, i percorsi di queste dame borghesi sono sempre di natura religiosa: messe, feste, processioni, cortei nonchè visite dei Sepolcri nel periodo quaresimale, visite presso i monasteri e non solo, mentre non si fa alcun cenno ad altri percorsi secolari e frivoli come teatro, gioco, conversazione e passeggiata che erano diffuse presso le dame del ceto aristocratico.
Queste guardie del corpo venivano generalmente arruolate presso il ceto degli artigiani e riscontriamo infatti falegnami, tessitori, sutores come venivano chiamati i fabbricatori di scarpe e cerdi ovvero ciabattini, senza potere escludere appartenenti ad altre maestranze varie. Questo ruolo insolito che essi rivestivano part time, poteva significare alterità, agilità, sguardo sveglio, rispetto, discrezione, capacità di non farsi notare e capacità di trasmettere paura nei confronti di eventuali ladri, molestatori o male intenzionati.
Questi maestri artigiani davano maggiore garanzia e sicurezza di altri uomini in quanto facenti parte delle rispettive maestranze che, a loro volta, avevano il loro peso a livello sociale e che appoggiavano e garantivano il ruolo di questi loro colleghi. Va messo in risalto pure il fatto che questi uomini di rispetto, assoldati per proteggere e accompagnare le dame della nuova borghesia emergente, sono generalmente palermitani o quanto meno cittadini palermitani e non di altri centri della Sicilia in quanto era nella loro città che essi godevano di tutte quelle garanzie che davano loro la possibilità di svolgere bene questo delicato ruolo. Unica eccezione a tutto ciò il siracusano Andrea Jorlando (doc.9), il quale non era palermitano come la maggior parte degli altri accompagnatori, ma nel contratto stipulato con il commerciante Pietro Moricone, il suo ruolo primario non era quello dell’accompagnatore ma quello di servire il suo padrone nella bottega. Altra guardia del corpo non di Palermo ma originaria della Spagna, anche se aveva la cittadinanza palermitana, era Nicolaus Franco (doc.19) il quale si impegna con il fabbricatore di scarpe Giuseppe Marchese di Palermo per accompagnare le donne della sua famiglia. Aggiungiamo a questi accompagnatori non palermitani Giovanni Leonardo Palmeri di Salemi (doc.2), Pietro Lucchisi di Agigento (doc.6) e infine Francesco Stampa milanese (doc.8).
Dall’analisi dei documenti rinvenuti e riportati in ordine cronologico nell’appendice documentaria, si evince che non sempre gli ingaggiatori delle guardie del corpo erano i mariti, in quanto in due documenti (docc. 16 e 17) ricorrono come stipulanti del contratto le donne stesse, come nel caso di Maria Boccone vedova di Gio: Batta Boccone, e nel caso di Melchiona Cotta e Dorotea Chichina probabilmente nubili, o entrambe vedove, le quali si univano nel percorso cittadino e si consociavano in quanto amiche e che, a loro volta, potevano dividere la somma da dare al loro accompagnatore e in fine Suprana de Liuni (doc.8). Aggiungiamo pure donna Odrolice Chiaramonte doc.14) che ingaggia personalmente Matteo Francuni, il quale, l’anno precedente era stato assoldato da Ercole Chiaramonte per scortare la mamma e la sorella. Si vede che il Francuni il ruolo di accompagnatore lo aveva svolto abbastanza bene al punto che Odrolice Chiaramonte, componente della stessa famiglia, l’anno successivo lo ingaggia nuovamente.
Particolare attenzione merita il contratto del 3 ottobre 1575 (doc.4) stipulato presso lo studio del notaio Cesare Lo Cicero, nel quale si legge chiaramente che l’accompagnatore Alfio di Milazzo si impegna ad associare pro homo alla spalla di donna Tiberia Curcio e in esso contratto il marito s’impegna a pagare una onza fissa per ogni anno e in seguito pagarlo per ogni uscita che si sarebbe prospettata.
Improntato pure allo scopo di risparmiare, allo stesso modo delle precedenti due committenti, fu il contenuto del contratto stipulato dal predetto commerciante Pietro Moricone (doc.10) il quale, assunse direttamente come lavoratore presso la sua bottega il siracusano Andrea Jorlando, per la durata di un solo anno, ma lo ingaggiò con il duplice impegno riportato nel contratto tramite il quale, quando le donne della famiglia Moricone lo avessero richiesto, egli si sarebbe reso disponibile ad accompagnarle in qualsiasi luogo da loro indicato.
Tra gli ingaggiatori uomini (docc. 8 e 13) troviamo due liberi professionisti quali Don Pietro Vitale artis et medicinae doctor nonchè Don Leonardo Scuderi notaio. Troviamo altresì il commerciante di zucchero Ottavio Taurella (doc.5), il mercerio Vincenzo Rinforzo (doc.18), il pisano Francesco de Brusca (doc. 1) probabilmente ricco mercante che abitava a Palermo, Pietro Moricone commerciante che gestiva una bottega a Palermo (doc.10), Giuseppe de Marchisio sutor o sarto che dir si voglia (doc.20), Paolo Sigiar catalano e cittadino palermitano molto probabilmente mercante (doc.11), Ercole Chiaramonte (doc.14), Odrolice Chiaramonte probabilmente moglie o sorella di Ercole Chiaramonte (doc.15), il chierico Girolamo Lo Re e il cognato Vincenzo La Magna (doc.16) e infine il notabile Cesare Ciurchio (doc.4)
Diciamo pure che è probabile che questa usanza di “associare” o affidare la dama per essere protetta nei suoi percorsi per le strade della città, in Sicilia tragga origine dalla dominazione spagnola che aveva inventato il fenomeno della cavalleria e della galanteria.
Concludiamo questo breve lavoro su questa singolare figura dei bodyguards nel ‘500, anche se in un contesto diverso, ricordandoci di una usanza che in Sicilia, fino agli anni ’90 del XX secolo era diffusa e della quale si è testimoni diretti. Ciò lo si può considerare un ultimo retaggio del fenomeno cavalleresco dell’accompagnamento di epoca spagnola, ed era l’usanza che ogni anno si continuava a mettere in atto durante le feste del carnevale, soprattutto nei paesi dell’interno della Sicilia, nel caso specifico a Palazzo Adriano in provincia di Palermo, paese di origine dello scrivente. Esso consisteva nel fatto che, quando i vari gruppetti di maschere carnevalesche che ogni sera giravano per il paese, recandosi in tutti i circoli pubblici e in tutte quelle case private che per l’occasione venivano aperte per ospitarle e farle danzare a suon di polche, valzer, mazurche e tanghi e che, come si diceva “tinianu u sonu”, ad accompagnarle come una guardia del corpo, era il così detto bastoniere, il quale aveva la responsabilità e il compito oltre che di accompagnarle e di farle ballare e divertire, anche di proteggerle da eventuali aggressori o male intenzionati che potevano molestarle, soprattutto per la curiosità di capire chi si nascondeva dietro quelle maschere.