Caduti e mutilati, monumenti e retorica fascista nel volume “Dalla memoria del sacrificio alla celebrazione della vittoria. La prima guerra mondiale nella cultura artistica e architettonica in Sicilia”
L’Italia aveva partecipato alla carneficina poi battezzata Grande Guerra, e il prezzo era stato altissimo. Su 36 milioni di abitanti c’erano stati oltre 5 milioni e mezzo di mobilitati, i morti erano oltre 680 mila e gli invalidi quasi mezzo milione. Una tragica contabilità dove la Sicilia – con i suoi quasi sessantamila caduti e un numero impressionante di feriti e mutilati – è ai primi posti, fra le cinque regioni che hanno pagato il prezzo più alto.
La guerra aveva funzionato da acceleratore, aveva cambiato l’Italia. In pochi mesi il Regio Esercito era passato dai 248 mila effettivi a 2 milioni e mezzo di armati, s’erano mescolati dialetti e consuetudini.
Ed è in trincea che nasce un nuovo “sentimento nazionale” bisognoso di trovare espressione compiuta e visibile. Vengono eretti monumenti ai Caduti prima ancora che la guerra finisca, quando le salme rientrano dal fronte e si vuole rendere onore a chi ha perso la vita. E nel solco della memoria da trasmettere si pone la pubblicazione di un poderoso volume a cura di Rita Cedrini, Eliana Mauro, Claudio Minghetti, Ettore Sessa e Mario Zito, Dalla memoria del sacrificio alla celebrazione della vittoria. La prima guerra mondiale nella cultura artistica e architettonica in Sicilia (40due edizioni, 340 pagine), che segue l’omonima mostra tenuta a Palazzo Sclafani.
Anche in Sicilia la diffusa volontà di onorare i Caduti aveva prodotto spontanei monumenti commemorativi, una proliferazione che i contemporanei giudicano talvolta eccessiva e bisognosa di regole. Si lamenta l’ “invasione monumentale”, persino il Ministero della Pubblica Istruzione retto da Benedetto Croce cerca di porre un freno. Ma il sentimento popolare incoraggia a moltiplicare le iniziative. Quando nel 1922 si insedia il primo governo Mussolini i tempi sono maturi: raccontandosi come esito della Guerra, il fascismo si appropria del culto dei caduti e ne accentua il tono nazionalista proiettandolo nel futuro. Per prima cosa pensa a creare viali e parchi della rimembranza in tutti i centri abitati: un’apposita circolare dispone che per ogni caduto le scolaresche mettano a dimora un albero, nessun dettaglio viene trascurato. Agrigento è la prima città siciliana ad aderire e fa le cose in grande: commissiona un elaborato obelisco commemorativo al rinomato scultore Mario Rutelli.
I monumenti comunicano messaggi e necessitano di molte attenzioni: la memoria del sacrificio dovrà mescolarsi col mito dell’eroe, l’immagine della vittoria dovrà lenire il dolore. Bisogna quindi uniformare i criteri estetico-politici e anche i comuni siciliani si dotano di un Comitato pro erigendo monumento ai caduti in guerra, oggi sono circa 380 i monumenti censiti in Sicilia.
Fra le città isolane, a Palermo le cose vanno un po’ a rilento. Viene bandito un concorso di idee, e il 19 ottobre 1926 il Comitato emette il verdetto: nessuno è “degno della vittoria”. Ma a quella data la città già presenta un suo compiuto itinerario monumentale.
È appena il 1919 quando Ernesto Basile realizza un’elegante targa, offerta alla cittadinanza palermitana dalla comunità di profughi friulani e apposta in via Roma, nel cantonale del palazzo delle Assicurazioni Generali di Venezia. Basile è fra i protagonisti di questa stagione: fra le altre cose licenzia il Monumento ai Caduti di Enna, ricorda i nomi degli universitari morti in guerra con le targhe apposte nel cortile d’onore della Regia Università, progetta la chiesa votiva di Santa Rosalia in via Marchese Ugo, con la cripta destinata ad accogliere il sacrario dei Caduti. Ci sono ancora le due versioni per un monumento ai Caduti di Messina e la stele del Giardino Inglese per ricordare i Caduti con medaglia d’oro. Lavori che si concludono nel ’31 con le opere di adeguamento per il Monumento ai Caduti di Palermo, in piazza Vittorio Veneto, definito da Rita Cedrini “pragmatica riconversione” di un monumento inaugurato nel maggio del 1910 – addirittura alla presenza dei sovrani – che già commemorava i morti dello scontro del maggio 1860 a Calatafimi.
L’emiciclo colonnato realizzato su disegno di Basile è la cornice per un più complesso progetto monumentale che a 28 metri d’altezza lascia svettare una bronzea Vittoria di Mario Rutelli, nei pannelli laterali ha i disegni di Basile e nel basamento due statue di Antonio Ugo battezzate Sicilia che si ricongiunge alla madre patria. Di Antonio Ugo è l’immagine forse più conosciuta di questa scultura commemorativa, la Vittoria Alata che torna a mostrare i severi lineamenti di marca futurista a palazzo Ajutamicristo, dopo avere subito l’onta d’essere stata rubata dal palazzo delle Finanze non per la bellezza ma per i suoi quattro quintali di bronzo, e per questo fatta a pezzi per venderla meglio.
Non ci sono solo i monumenti. Nel 1927 il ministero della Pubblica Istruzione invitava a limitarne il numero a favore della costruzione di “opere di pubblica utilità dedicate ai Caduti e alla Vittoria” e, ad eccezione di Agrigento, ogni provincia siciliana realizzò nel proprio capoluogo una casa del Mutilato. A Palermo si dovette scontare un iter burocratico durato quasi dodici anni, solo nel 1936 l’architetto Giuseppe Spatrisano riuscì ad aggiudicarsene i lavori. La prima pietra venne posta il 19 agosto 1937 alla presenza di Mussolini: quasi rincorrendo il tempo perduto, tempo due anni e fu completata. Il prospetto principale in via Scarlatti esibisce l’iscrizione “Tempio munito fortezza mistica”, all’interno si moltiplicano le iscrizioni di chiaro stampo fascista. Culto della memoria ed esaltazione della vittoria avevano prodotto frutti forse inaspettati, la casa del Mutilato era pronta ad accogliere i mutilati di un’altra guerra.