La piega storica di una comunità Passato Presente. «Il grande mediatore. Tranquillo Vita Corcos, un rabbino nella Roma nei papi» di Marina Caffiero (Carocci)
di Marina Montesano
Tranquillo Vita Corcos è stato una figura di enorme importanza nell’ebraismo italiano, vissuto tra fine Seicento e primi decenni del Settecento, ossia in un periodo di recrudescenza delle politiche proselitistiche nei confronti degli ebrei, nonché di frequenti conversioni: fra gli stessi avi di Tranquillo Vita Corcos ve n’erano state parecchie. La famiglia sefardita dei Corcos si era stabilita a Roma dopo l’espulsione degli ebrei dalla Spagna fra 1492 e 1497: David Corcos fu il primo a trasferirsi dalla Castiglia a Roma, e suo figlio Solomon divenne rabbino; da allora in poi diversi membri della famiglia si erano distinti per la dottrina rabbinica, nonché per l’acume finanziario.
NEL 1537 due fratelli Corcos avevano aperto un banco in città che divenne subito fiorente; nel tempo la famiglia si sarebbe così affermata in tutti i settori della vita civile: sul piano spirituale come su quello economico, amministrativo, culturale. Proprio per questo, le conversioni dei Corcos al cristianesimo rappresentavano per il papato e il mondo cattolico in generale un fatto importante; non si trattava di convertiti qualsiasi.
A Roma queste conversioni portarono a una scissione nella famiglia, che finì per presentare due rami: quello dei Corcos ebrei e quello dei Boncompagni Corcos cristiani. È per questo che l’apice della vicenda umana di Tranquillo Vita Corcos può essere configurato dal momento in cui, nel 1697 si presentò alla Congregazione del Sant’Uffizio per confutare le calunnie antiebraiche diffuse da Paolo Sebastiano Medici. Il Medici a sua volta non era un personaggio qualunque: era nato a Livorno nel 1671 da Elisad Leone e da Rosa e alla nascita aveva ricevuto il nome di Moisè.
Nel 1688 aveva chiesto di ricevere il battesimo e suo padrino era stato il granduca Cosimo III de’ Medici, rappresentato da un ufficiale di Livorno. Il favore granducale si era spinto fino a dargli il nome del suo casato e una rendita annua di cinquanta ducati, al fine di garantirgli una vita dignitosa all’interno degli ordini religiosi. Nel 1695 Paolo Sebastiano Medici era divenuto sacerdote, ma già nel frattempo, all’interno dello Studio fiorentino, insegnava lingua ebraica e scriveva una grammatica ebraica in italiano, a quanto pare la prima.
Fine ultimo dell’encomiabile lavoro culturale, però, era la predicazione agli ebrei, svolta nel Granducato di Toscana e nelle aree sottoposte alla giurisdizione della Chiesa, testimoniate da un paio di opuscoli nei quali, con toni trionfalistici, si descrivevano i risultati conseguiti in termini di conversioni. Come molti fra i convertiti, anche Paolo Sebastiano Medici non si sottraeva dinanzi alle accuse più diffamatorie, facendo proprio un bagaglio di stereotipi tipici della polemistica antigiudaica. Contro queste accuse nel 1697 Tranquillo Vita Corcos, in qualità di rabbino della comunità romana, presentò un memoriale stampato lo stesso anno dalla tipografia della Camera apostolica nel quale si contrastava con pacatezza e fermezza il Medici, smentendo soprattutto le accuse di superstizione rivolte contro la ritualità ebraica e chiedendo che non fosse consentita la pubblicazione del libello redatto dal neofita; sebbene il suo successo non sia stato completo, riuscì se non altro a bloccarne l’uscita per un trentennio.
«Non sappiamo se e come abbia influito su Tranquillo la vicissitudine dolorosa dei numerosi famigliari convertiti, ma era difficile che egli non avesse ben presenti le tracce, evidenti e quasi scolpite nella pietra della sua città, lasciate da un evento così conturbante e dai suoi protagonisti. Ma potremo anche ipotizzare che proprio le numerose conversioni di famiglia avvenute in un passato non tanto lontano abbiano consentito al rabbino Corcos una vicinanza e familiarità con i pontefici del suo tempo forse mediata proprio da quel passato e da quei parenti.
IN OGNI CASO, anche l’avversione per il convertito Medici e per le sue scritture apologetiche antiebraiche in cui comparivano anche i Corcos convertiti illustri poteva essere nata da lì». Così si esprime Marina Caffiero in Il grande mediatore. Tranquillo Vita Corcos, un rabbino nella Roma nei papi (Carocci, pp. 156, euro 16), un libro che arriva a colmare un vuoto poiché, seppur nota attraverso altri testi dedicati all’ebraismo italiano e romano, mancava uno studio dedicato nello specifico alla biografia del rabbino Corcos.
COME TUTTE LE BIOGRAFIE, l’equilibrio fra specificità individuale e contesto diviene essenziale. Lo studio di Caffiero è in tal senso esemplare: attraverso le vicende di Tranquillo Vita Corcos riusciamo a leggere quelle di una intera comunità. Allo stesso tempo, la personalità di ‘grande mediatore’ in una società in cui la mediazione poteva essere difficile, ma tutt’altro che impossibile, emerge molto bene. La richiesta del Corcos a Papa Innocenzo XII di autorizzare la riduzione degli onerosi affitti pagati nel ghetto ebbe successo (1698). Ottenne anche qualche modifica della censura dei libri ebraici (1728), e si assicurò il ritiro di una diffamazione di sangue a Viterbo (1705). Come in altre sue pubblicazioni precedenti, Marina Caffiero è attenta nel sottolineare il ruolo giocoforza complementare delle autorità religiose cattoliche ed ebraiche nel regolamentare la vita interna della comunità ebraica (si veda il quinto capitolo: «Mantenere l’ordine in ghetto con il sostegno del papa»). È tuttavia l’ultimo capitolo, quello dedicato alla difesa dalle accuse di superstizione, a risultare particolarmente nuovo. Da un parte, Tranquillo Vita Corcos si presenta come personaggio razionale e aperto, attento a presentare al mondo esterno un’immagine «depurata» della sua comunità; e tuttavia, lui stesso non si sottraeva al fascino della Kabbalah e dell’interpretazione magica dei simboli dell’ebraismo, oppure all’influenza del sabbatianesimo. Si sbaglierebbe, sottolinea giustamente Caffiero, a leggere tutto questo in termini di ipocrisia, di doppiezza o di contraddizione. Non solo nel mondo ebraico, d’altronde, ma anche in quello cristiano convivevano interessi di tipo magico e di tipo scientifico che ai nostri occhi paiono irrazionali, ma che tali non erano nella cultura dell’epoca.
CAMBIANDO SCENARIO, lo mostra molto bene anche lo studio dedicato ai simboli eucaristici da Anselm Schubert: Pasto divino. Storia culinaria dell’eucarestia (Carocci, pp. 228). Bella cavalcata che parte dalle origini del cristianesimo, quando il pasto comune è momento di condivisione, per arrivare alle nuove Chiese contemporanee nelle quali birra, coca-cola e cocco finiscono per accostarsi o per soppiantare gli antichi elementi.
Nel mezzo, la clericalizzazione dei simboli eucaristici e le controversie teologiche intorno ad essi. È un percorso sottile ma godibilissimo, che mostra come epoche e contesti differenti abbiamo dato risposte le più varie a problemi comuni. Conoscere quali e spiegarle è, in fondo, uno dei punti centrali del fare storia.
Ultimo aggiornamento per la sezione Rassegna Stampa: 03/05/2019
Responsabile della sezione Rassegna Stampa: Nicola Cusumano – rassegna@stmoderna.it